Brian Wilson ha fatto pace con le voci nel suo cervello

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Brian Wilson ha fatto pace con le voci nel suo cervello

La biografia del genio dei Beach Boys racconta di un ragazzo tormentato e in costante lotta con la propria mente. Lo abbiamo intervistato per parlare del passato, del futuro e di Pet Sounds.

I Am Brian Wilson racconta la triste e tormentata storia di Brian—l'autore e genio dei Beach Boys—che fa più o meno così: un ragazzo dalla faccia d'angelo di Hawthorne, California, all'alba degli anni Sessanta, rimane sconvolto dalle convergenze melodiche dei Four Freshmen e dalla scintillante grandeur spectoriana di "Be My Baby" e forma una band con i suoi due fratelli e suo cugino stronzo, la chiama The Beach Boys e compone filastrocche ultra-orecchiabili di semplicità quasi Zen che parlano di surf, hot rod e ragazze (nonostante sia stato reso sordo all'orecchio destro a forza di schiaffi dal padre tiranno e sadico); il ragazzo diventa una pop star internazionale, ha un crollo nervoso e smette di andare in tour, rinchiudendosi in studio, studio nel quale entra in competizione con i Beatles per chi arriva per primo al prossimo livello; il ragazzo prende LSD, il ragazzo si spacca il cervello e vede Dio, il ragazzo comincia a sentire una strana e meravigliosa musica nella sua testa, il ragazzo suona lo studio come uno strumento, canta cori angelici, crea musica di una maestosità, bellezza e tristezza totalmente fuori dall'ordinario, il ragazzo crea il più grande disco pop di tutti i tempi (Pet Sounds) e la miglior canzone del Ventesimo secolo ("Good Vibrations").

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Nel frattempo, il ragazzo comincia a sentire voci terrificanti nella propria testa, assalito da demoni interni ed esterni (il tiranno sadico di suo padre, lo stronzo di suo cugino), il ragazzo perde la testa e, infine, la fiducia dei suoi compagni della band che staccano la spina alla sua rivoluzionaria "sinfonia adolescenziale per Dio" che originariamente doveva chiamarsi Dumb Angel, ma poi fu ri-intitolata Smile. Il ragazzo si ritira in un eremitaggio casalingo lungo anni basato sul consumo di quantità eroiche di droga, obesità e dolce pazzia; da qui parte un effetto domino, la famiglia ingaggia il mefistofelico psichiatra/vampiro psichico Dr. Eugene Landy, che sostituisce la dieta fissa del ragazzo (cocaina, Scotch, pigrizia e autocommiserazione) con una terapia zombificante di medicinali, ginnastica nazista e controllo mentale 24 ore al giorno; il ragazzo incontra una ragazza (Melinda Ledbetter, che diverrà la sua seconda moglie) in un concessionario Cadillac e si innamora, la ragazza salva il ragazzo dalle grinfie del dottore cattivo, il ragazzo vive felice e contento, o perlomeno un po' più felice e contento di quanto fosse prima. In breve, è la storia di Icaro sulla spiaggia, del ragazzo che ha volato troppo alto, troppo vicino al sole con le sue ali di cera, e dell'uomo che è caduto a terra.

Brian Wilson non parla molto. La musica, non la chiacchiera, è il suo dono. Per i suoi lavori migliori si è affidato a un autore—Tony Asher per ​Pet Sounds​, Van Dyke Parks per ​Smile​ e il suo cugino stronzo Mike Love per "Good Vibrations". Non è uno di quegli artisti che amano usare il formato dell'intervista per comunicare lunghe riflessioni sul Mondo Secondo Brian Wilson. Anzi, avendolo intervistato varie volte nel corso degli anni, è evidente che vede la stampa come un male necessario al business dello spettacolo. ​​​Ma devo dire che, quando ho parlato con lui qualche giorno fa, l'ho trovato più coinvolto, presente e, soprattutto, allegro rispetto a ogni altra intervista passata. Anzi, in confronto alle risposte monosillabiche che avevo ricevuto in passato, questa volta è stato un vero chiacchierone (e se Brian Wilson è felice, dopo una vita di dolore e tristezza, tanto mi basta). Ciononostante, non tuffatevi in questa intervista aspettandovi di essere sommersi di parole. Anche un'ottima intervista con Brian Wilson sarà sempre quella che nel gergo giornalistico si chiama "intervista con un cane parlante": non è tanto quello che dice, a sorprendere è il fatto che parli.

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Noisey: Il tuo libro mi è piaciuto molto. Lo hai scritto insieme a Ben Greenman del ​New Yorker​. Ti va di parlarmi di come avete costruito la storia?
Brian Wilson: Be', siamo partiti dalla mia nascita e siamo andati avanti fino ad adesso.

Ben prendeva appunti dalle vostre conversazioni o avete registrato e poi trascritto tutto?
Sì, mi chiamava al telefono e passavamo mezz'ora al giorno a parlare finché non abbiamo scritto tutto.

E quanto ci avete messo?
Be', non so, circa mezzo anno.

Il tuo rapporto con tuo padre è stato molto complicato. Puoi dirmi quali sono le cose migliori che ti ha insegnato e quali sono le cose peggiori che ti porti dietro dai conflitti con lui?
Mi ha insegnato l'intraprendenza, sai, mi ha insegnato a essere più deciso e positivo.

C'è qualcosa che hai ereditato da tuo padre che vorresti non aver ereditato? 
Be', mi sculacciava molto.

Nel libro a un certo punto si parla brevemente del tuo incontro con un giovane Michael Jackson nei primi anni Settanta a una festa. Di che cosa avete parlato? Te lo ricordi?
No, ci hanno soltanto presentati. "Ehi Brian, questo è Michael Jackson". Lui mi ha detto ciao e poi è andato via.

Hai mai ascoltato la musica di Michael Jackson? Se sì, come ti è sembrata?
Be', la maggior parte delle cose sue che ho sentito mi sono piaciute. Non ricordo il nome di quella ballata, una cosa tipo [canta una melodia irriconoscibile], come si chiamava quella?

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Uhm, forse "Billie Jean"?
Già, "Billie Jean"!

C'è un passaggio nel libro in cui parli della tua collaborazione con Eric Clapton e Paul McCartney nel 2004 per l'album ​Over My Head​, e non eri contento delle loro prestazioni, e hai dovuto stare loro un po' addosso perché si impegnassero di più. Sono curioso di sapere come hai fatto a dire a Eric Clapton di suonare la chitarra meglio.​
È impossibile. Non c'era nulla che potessi dirgli. L'ha semplicemente suonata di nuovo da solo. Penso che sapesse che poteva fare di meglio.

Menzioni di aver dovuto dire a McCartney che stava cantando mezzo tono troppo alto e mi chiedo se gliel'abbia mai detto qualcun altro. È come dire a Gesù che non è abbastanza gentile. Che cosa ha risposto lui?
Ha detto: "Oh Brian, mi spiace, cercherò di essere più intonato".

Tuo fratello Dennis è famoso per essere entrato in contatto con Charles Manson dopo aver dato un passaggio a un paio di ragazze della Family che facevano l'autostop. Tu hai mai conosciuto Charles Manson?  
No, non l'ho mai incontrato. Mio fratello mi ha parlato di lui, ma non l'ho mai conosciuto.

Quando hai saputo degli omicidi della Family, hai pensato immediatamente a tuo fratello? Eri preoccupato, avevi paura? 
Be', avevo paura che mio fratello fosse coinvolto. Non so se lo fosse, non lo so proprio.

Sembri sempre in lotta o in causa legale con Mike Love e lui è famoso per essere stato il primo a scoraggiarti mentre lavoravi a ​Pet Sounds ​e ​Smile​—i dischi che molti considerano i tuoi lavori più visionari e innovativi—eppure non ti ho mai sentito dire una parola negativa su di lui. Come fai a essere sempre così gentile con lui? 
Be', adoro la sua voce, adoro il modo in cui canta, sai?

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Un paio di domande ipotetiche. La prima è: metti che ti svegliassi nel cuore della notte e casa tua stesse andando a fuoco, e avessi tempo di prendere un solo disco prima di metterti in salvo. Che album sceglieresti e perché?
Prenderei [l'album dei Beach Boys del 1965] Summer Days (and Summer Nights!!).

E perché proprio quello?
Perché mi piace il rock and roll.

La seconda domanda ipotetica è: hai scritto alcune delle migliori canzoni del Ventesimo secolo. Quale canzone scritta da altri avresti voluto scrivere tu?  
Avrei voluto scrivere "She's Leaving Home" di Paul McCartney.

Pet Sounds è probabilmente il miglior disco pop di tutti i tempi. Ma gli artisti sono spesso i critici più severi di se stessi e quando ascoltano la propria musica non sentono altro che gli errori o le cose che avrebbero voluto fare in modo diverso. Quindi mi chiedo: che cosa cambieresti di quell'album col senno di poi? 
Nulla. Non cambierei una nota di quell'album.

Penso sia la risposta esatta. Il titolo di lavorazione di ​Smile​ era ​Dumb Angel​—un titolo molto intrigante. Da dove ti è venuta quell'idea? Come mai avevi scelto quel titolo?​​ 
Sai cosa? Non me lo ricordo. A quei tempi ero sempre fattissimo e mi dev'essere venuto in mente così. Non lo so proprio.

Nel libro usi un'ottima analogia per spiegare come mai completare ​Smile​ la prima volta fosse impossibile. Dici che era come "fare un puzzle sul muro invece che sul tavolo, i pezzi continuavano a cadere". Ma nel 2004, 37 anni dopo averlo abbandonato, sei stato in grado di finire il disco. Che cosa è cambiato?   
Be', Van Dyke Parks e io abbiamo finito il terzo movimento. Avevamo due movimenti, e abbiamo scritto il terzo.

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Tutto qui, eh? Se solo ci fossi arrivato nel 1967. Nel libro dici che sei pentito di aver preso l'LSD, che ti ha messo le voci nella testa. Pensi che l'acido abbia veramente messo le voci nella tua testa o che siano sempre state seppellite da qualche parte e che l'acido le abbia fatte emergere?
Non so proprio cosa rispondere. Dovevano essere seppellite dentro di me, da qualche parte. Sì, seppellite nella mia mente.

Quando avevi queste allucinazioni uditive, sentivi più di una voce?
No, soltanto una voce.

Che cosa ti diceva? 
Diceva "ti uccideremo, ti uccideremo", questo tipo di cose.

E tu rispondevi alle voci? 
Sì, ci provavo, ma loro erano più forti.

Dev'essere stato terrificante. Come sei riuscito a mettere questa cosa sotto controllo? Ultimamente sembri piuttosto sano, felice e produttivo. Senti ancora le voci?
Le sento ancora, ma non così tanto.

Che cosa fai quando le senti? Hai una strategia per affrontarle?
No, è passato molto tempo e sono diventate meno cattive. Ora sono più gentili.

Tutte le foto per gentile concessione della stampa.

Jonathan Valania è Editor-in-Chief di Phawker.com.

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