Buon compleanno U2, e buon anniversario della vostra morte

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Buon compleanno U2, e buon anniversario della vostra morte

La band irlandese ha appena compiuto quarant'anni. Ma tutti sappiamo che ad un certo punto hanno deciso di sacrificarsi al POP, quindi celebriamo anche il ventennale della loro dipartita.

Non starò a fare troppa introduzione perché l'avrete già letto in tutte le salse, è in arrivo l'ennesimo anniversario del rock: parlando in modo campanilista, chi si lamentava del cinquantennale dei Pooh probabilmente dovrà fare marcia indietro. Stavolta, infatti, a spegnere i candelotti di dinamite sono gli U2, che di anni di storia ne compiono quaranta. E in questi casi scatta l'allarme "invasione della Polonia", altro che quisquilie. Già in cantiere il nuovo album (nome provvisorio Songs of Experience), già pronto il tour, già si prevede il tutto esaurito in ogni dove per una macchina da soldi stritolante che attende solo lo start sulla pista. E dire che in quel 25 settembre del 1976, quando i nostri si trovarono per la prima volta a provare in una cucina, nessuno di loro a parte il batterista Larry Mullen sapeva da che parte tenere gli strumenti. Bono quando cantava faceva schifo a tutti, rimane un mistero come abbia fatto a convincerli che fosse la persona giusta: ancora non era nato il punk e i nostri avrebbero rischiato di diventare i nuovi Godz.

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Eppure, da zero a numeri uno: impossibile ignorare l'influenza che gli U2 hanno avuto su almeno tre generazioni, nel bene e nel male. Anche se non li sopportavi, ti entravano sottopelle: una cosa non tanto diversa da quando più tardi ce li misero a forza negli iPhone durante la campagna promozionale di Songs of Innocence. "With or Without You" ad esempio: al liceo si trasformava in un manifesto di turbe amorose adolescenziali, lo poteva aver scritto un ragazzino in preda a una cotta per quella del primo banco, ma manteneva un'epicità che gli dava smalto e quel che di vissuto. Il fatto che fosse cantata ai falò accanto a "Ci Vorrebbe Un Amico" di Venditti o a "Come Mai" degli 883, però, indicava che qualcosa non quadrava… Ok c'era Brian Eno, Daniel Lanois, la "infinite guitar" di serie, c'era una certa ambizione di creare qualcosa di avant- anche rimanendo negli stereo della qualunque, ma—come dire—tutto sommato rassicuravano, in una bambagia di dichiarato stampo cattolico (la fede di Bono è onnipresente in tutte le loro opere). I dischi degli anni Ottanta degli U2 sono come una specie di rito religioso in una chiesa moderna di provincia: costruita da qualche architetto scoppiato, sì, ma con dentro preti agguerritissimi. Chi vi scrive ha avuto un rapporto con gli U2 piuttosto strano: mai capito del tutto il fenomeno di massa, ero però immerso nell'atmosfera spirituale che grondava delle chitarre delayate di The Edge. Certo, poi ho scoperto Keith Levene dei PIL e Paul Reynols degli A Flock Of Seagulls, entrambi bellamente saccheggiati dal guitar hero degli U2, e due domande me le sono fatte. E poi ovviamente se aborrivi la guerra, gli U2 facevano per te: "Sunday bloody Sunday" era tipo la canzone della pace che si cantava dappertutto… Tranne che alle manifestazioni (in effetti il testo è molto vago, un po' pace per la pace e diamogliela buona).

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In sostanza, andando a ritroso, mi accorsi che i dischi che davvero amavo degli U2 erano Boy, il primo vagito del gruppo con quella copertina disarmante, la musica che strizza l'occhio alla stortezza e la destabilizzante "I Will Follow " in cui Adam Clayton esegue l'unica linea di basso veramente basculante della sua storia, e da lì fino a War. Insomma il periodo più wave: poi è subentrata quella cosa per cui tu dici: "ma 'sto gruppo esiste o no? Il loro lavoro in studio era infatti finalizzato alle canzoni e basta, minimale, essenziale, scarno. Insomma lavoravano sui limiti (il nick"the edge" non nasce a caso), aggrappati alla discreet music di Eno perfetta per trasformare in arte le loro "pecche" e per rendere il tutto una sorta di "misticismo post folk". In questo, assolutamente geniali.

I dischi degli anni Ottanta degli U2 sono come una specie di rito religioso in una chiesa moderna di provincia.

Visto che l'unico guizzo veniva forse proprio da The Edge, che tutto funzionasse era quasi un miracolo. Da qui spiegato l'entusiasmo di massa: se possono loro, tutti possiamo suonare come gli U2. E infatti molte band nascevano sotto la loro stella (e altrettante, diciamolo, proprio per questo finivano nel giro di pochi mesi). In Italia, a parte i Litfiba che fecero loro il concetto "frontman e solido gruppo dietro" anche il primo Ligabue diventò famoso grazie al fatto di essere un bignami emiliano del gruppo irlandese ("Regalami Il tuo Sogno", ad esempio, è un chiaro omaggio). Nonostante questi evidenti punti "popular" a favore del loro successo, continuavo a interrogarmi sul perché tanta foga nei loro confronti. Forse i testi, carichi di messaggi politici, citazioni letterarie colte e nello stesso tempo di facile presa? Sì, ok, ma voglio dire… I Big Country—anche loro clienti di Steve Lillywhite, lo storico produttore degli U2—gli facevano il culo sia dal punto di vista musicale che dal punto di vista della poetica/politica. Eppure niente ragazzine urlanti o quasi (il povero Adamson è finito pure suicida). Insomma, ancora oggi il mistero non è chiaro, ma sono certo di una cosa: gli U2 di oggi non sono gli U2. Forse dovremmo festeggiare un diverso anniversario: quello della loro fine. No, non è che stanno per sciogliersi, parlo del ventennale delle registrazioni di POP, il disco che a mio parere ha segnato la parola "stop" alla parabola vincente dei nostri. Il 1996 è infatti l'anno in cui sarebbe dovuto uscire il disco più odiato in assoluto dai fan (fu poi rimandata la pubblicazione al 1997) e meno suonato dal vivo, e meno citato quando c'è da citare. Eppure, è il canto del cigno degli U2, quelli veri, che osano, che addirittura sembrano voler seminare il loro pubblico per fuggire su Marte. Mi riferisco agli U2 degli anni Novanta, ovvero quelli che inanellano un terzetto di dischi in cui il rock dalla mistica filoamericana visto da degli irlandesi in cerca di fama (Joshua tree e The Unforgettable Fire sono innegabilmente due parti di occhi abbagliati dall'American Dream) lascia il posto al delirio che questa fama ormai raggiunta distribuisce e disperde a piene mani. Achtung Baby, Zooropa e infine Pop, appunto: una trilogia bizzarra.

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Quando Achtung Baby uscì nei negozi, molti fan storici aggrottarono le ciglia: ma cosa sono questi suoni distorti, sto casino? Che mi significano queste chitarre ipereffettate, i falsetti, questi arrangiamenti arditi e quest'abbigliamento da rockstar consumata di Bono, co 'sti occhialoni neri, la giacca di pelle consunta e le movenze di un attore decadente drogato di barbiturici che va agli sportelli SIAE per elemosinare briciole di diritti d'autore? Be' ragazzi, lì ci vedevo finalmente una certa onestà.  Voglio dire, per tanti anni fai il paladino dei poveri, della pace, insomma la tua immagine è quella del bravo ragazzo ribelle ma pulito che non si droga, non dice parolacce, un po' il ragazzetto che imita i suoi miti rock senza mai caderci dentro e così via, ed ecco che tutta sta perfezione formale svanisce tra barbe incolte suoni acidi e confessioni di cadute dal paradiso. "Every artist is a cannibal, every poet is a thief/All kill their inspiration and sing about their grief": questo verso sintetizza perfettamente la fase corrente. Che però, attenzione, è coerente col retroterra cattolico di Bono: se prima era profeta, ora è peccatore s'inchina sui ceci al confessionale e cerca il perdono agli occhi dei suoi fans e di Dio (ricordiamo che in "God part 2" non dice mai "non credo in Dio", a differenza di Lennon il cui brano omonimo è chiaramente citato).

Gli U2 fanno la parodia di loro stessi, ma nel miglior senso possibile. EVERYTHING YOU KNOW IS WRONG è la frase che campeggiava nei megaschermi dello Zoo Tour, in cui da gruppo rock i nostri diventavano uno spettacolo multimediale che sezionava chirurgicamente il ruolo nefasto dei media nell'inquinare la realtà. Gli spettatori erano letteralmente bombardati d'informazioni contrastanti e disturbanti, tanto che ne uscivi paradossalmente disintossicato, anche e soprattutto dal mito degli U2 in quanto tale (nello show a un certo punto salivano sul palco a ballare dei tizi con maschere di cartapesta con le caricature della band). Posso confermare, poiché assistetti alla data dello Zoo TV a Roma nel '93, che fu un'esperienza notevole. Be', sfido: fra gli altri a curare il discorso video c'erano gli EBN, il grandissimo collettivo di terroristi mediatici—quelli che smontavano e campionavano discorsi presidenziali, video di Maria Carey e interviste a serial killer per farci poi dei pezzi di mutant dance eccezionali, tra i miei gruppi preferiti di sempre (la cover di "We Will Rock You" in apertura concerti​, ottenuta con i discorsi di Bush, era opera loro). Ai comandi della produzione del disco c'era Flood, che tutti ricordiamo per i suoi lavori con PJ Harvey, i Depeche Mode e i Nine Inch Nails. Con dei collaboratori così gli U2 non potevano che cadere in piedi: perché di base non è che l'idea di smontare i media fosse originale, tutte cose mutuate da Burroughs da William Gibson e tutta roba che nel mondo industrial andava forte (e poi pensiamo anche ai Disposable Heroes of Hiphoprisy o ai Clock DVA, che con the Hacker nel 1989 avevano già superato il problema). Nel mondo del pop un po' meno, e agli U2 va dato atto di aver sdoganato tutta una serie di generi alternativi che poi, in effetti, sono entrati nel mainstream: dall'industrial, appunto, al suono di madchester, dal grunge all'electro. Ricordiamo che ad aprire molti concerti c'erano i Pearl Jam e che in Zooropa (per l'esattezza nell'eccezionale brano "Daddy's Gonna Pay for your Crashed Car") c'è un campione del grande Mc 900 ft Jesus. Insomma, avete presente Madonna?  Una versione formato rockband in tempi non sospetti. In un certo senso hanno risucchiato come un aspirapolvere il meglio della musica giovane per tirarci fuori …Zooropa appunto.  Magari non è proprio cosa di cui vantarsi, ma le cose stanno così.

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Zooropa infatti è la trasposizione in album del carrozzone live; una specie di mischiozzo di tutti i generi che all'epoca facevano furore nell'underground, spinti a forza d'interferenze audio nell'impianto U2 vecchio stile, cioè quello di cose semplici, less is more, know your limits. Poi un bello spruzzo dei miti musicali del gruppo, soprattutto i Velvet Underground praticamente saccheggiati ("Baby Face"), Prince ("Lemon"), e Johnny Cash (che addirittura canta "The Wanderer" un improbabile pezzo electro country). Miti ancora una volta americani in un disco che paradossalmente ha l'ambizione di essere ancora più europeo di Achtung Baby, secondo la band lo specchio di una Berlino finalmente capitale dell'avanguardia continentale, cosa che in effetti fu, ma ahimè è durato poco (forse perché appunto gli USA…). Per il resto, il disco non funziona perfettamente, perché la semplicità cozza con l'ambizione di complicare tutto con arrangiamenti estremi. Si ha spesso la sensazione che sia un disco di lati B di Achtung Baby, ma forse anche per questo è come il loro Magical Mystery Tour: ha il fascino dell'imperfezione, probabilmente dovuta ai massacranti turni di registrazione recuperati fra una pausa e l'altra dei tour, prendendo aerei last minute per ritrovarsi sul palco la sera e in studio la mattina a kilometri di distanza: completamente incoerente. Insomma, una confusione che nel disco è palpabile soprattutto in quella "Numb" che a tutt'oggi è il brano più pesante degli U2 e alla voce solista The Edge a cantare una "canzone mononota" sul rincoglionimento da eccessi (ricordo che Robert Smith dei Cure la tacciò di cagata colossale o roba del genere). Ma ha funzionato forse l'Europa? No. Da questo punto di vista è un fedele specchio di un'era, non c'è dubbio.

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Fatto sta che il peggio (o il meglio, secondo i punti di vista) deve ancora arrivare: il succitato POP decide di diventare una specie di "album discarica", nei cui testi e musiche sono compressi tutti gli aspetti della società dei consumi fino all'annullamento totale. Se ci pensiamo, è un po' come se gli U2 avessero anticipato le teorie accelerazioniste sperimentandole sulla propria pelle. Certo, rimane un nucleo di brani lenti da classici U2, ma paradossalmente sembrano anch'essi roba da supermercato, volutamente "prevedibili", da comprare nel reparto "ballate". Ma i pezzi più interessanti sono quelli dalla patina kitsch come il singolo "Discoteque", una specie di aggiornamento della discomusic in chiave "ciucciata". Che gli U2 siano diventati delle scatolette di sugo pronto è sotto gli occhi di tutti, e principalmente dei loro. L'operazione POP è forse la più estrema nella storia del quartetto: decisi a rinnegare la semplicità degli esordi, già con i Passengers (progetto parallelo con ai comandi Brian Eno) le tentazioni sperimentali erano talmente inseguite che Larry Mullen le definirà col senno di poi "autoindulgenti". In effetti c'è un certo sbilanciamento e in più cose tipo la formula "rock e Pavarotti" di Miss Sarajevo oltre ad essere già stata "sperimentata" da Zucchero, più che sperimentale sembra imbarazzante. In queste session però troviamo il coinvolgimento di Howie b, paladino della dance moderna, capace di passare dal big beat al trip hop e via dicendo con grande scioltezza, in pratica sarà il deus ex machina di Pop: ma forse più di tutti lo sarà, suo malgrado, ancora una volta il batterista /fondatore, ovvero Larry Mullen. Impossibilitato a suonare la batteria per un'operazione alla schiena, darà il La involontario ai suoi compagni a usare drum machine e campioni al suo posto. Howie b comincia a campionare a cazzo di cane tutto quello che gli passa per la capoccia, costringendo gli altri a improvvisarci sopra, e non contento se li porta pure a ballare nei club per far capire alla band che aria ci tira. Mullen all'inizio ci rimane di merda, poi quando ritorna in studio è costretto all'inizio a usare e campionare materiale altrui e poi a risuonare tutte le parti, per poi ricampionarsi. Stessa cosa succede ai compagni di merende, praticamente ricostruiti in studio. Per dire, il basso di Adam Clayton è sovente trasformato in una bassline, le chitarre di The Edge sono maciullate da pensatissima effettistica e il più delle volte sintetizzate, Bono cerca di cantare in maniera meno enfatica per annullare il suo stesso mito eighties fatto di vocalità epiche e cose del genere.

Insomma, di base la genesi di POP è lunga e complicata, tanto che i nostri non riescono assolutamente a ottenere la versione ufficiale del disco, ma, a loro dire, una versione ancora in fieri, sentendo che i brani continuavano a mutare in sede di completamento. Una specie d'illusione di "controllo" sul materiale che poi in effetti sarà il mood quasi rassegnato della seconda parte del disco. Dalle stesse parole di Bono, POP "inizia come un party e finisce come un funerale": sfido io, dev'essere stato abbastanza stressante vedere che era impossibile venirne a capo, solo per "MOFO" Howie b usa un cut and paste di tre diversi mix dello stesso pezzo! E avanti così. Certo, lavorare con un dj come produttore non dev'essere stata una scelta saggia, ma gli stessi U2 cercarono poi di sistemare un po' la cosa seminando mix alternativi dei pezzi nei singoli e nelle raccolte. Un'occasione persa? Mah, in realtà no. Almeno l'atmosfera ricorda tipo il libro Invisible Monsters di Chuck Palahniuk, regna in tutto il disco la plastica che lentamente si brucia e si respira alla grande, non avrei visto male dei pezzi di questo lavoro nella colonna sonora di The Neon Demon (Miami e The Playboy Mansion sono spaccati di ricca vuotezza, di jet set tutto champagne, autoreferenzialità e Barbie girls). "MOFO" in particolare è un pezzo in cui Bono mette a nudo i suoi disturbi mentali e comportamentali, forse per la prima volta con una grande onestà. La sua storia personale non facile (nonno morto durante l'anniversario del suo matrimonio, madre morta durante il funerale del nonno) l'ha reso quello che è, cioè una persona ferita profondamente che in apparenza proietta all'esterno quello che vorrebbe essere (la perfezione, la giustizia, la pace, gli ideali cristiani) e dentro forse è più quello che descrive, cioè un bastardo, un MOFO appunto.

"Madre, sono ancora tuo figlio?" La domanda rivolta allo spirito della madre dice tutto: "Bad" al confronto è una canzoncina, qui invece il ritratto è molto simile a quello polemico di Harry Browne contenuto nel libro Nel Nome del Potere, in cui il cantante viene completamente massacrato in quanto falsa "icona della bontà". "White dopes on punk staring into the flash /Lookin' for baby Jesus under the trash". Sappiamo un po' tutti delle parentele di Bono e the Edge con I Virgin Prunes: bene, fino a questo disco gli U2 sono sempre stati l'alter-ego di quel progetto ben più eccentrico con cui condividevano gozzovigli e luoghi di appartenenza (ma non solo: evidente l'influenza di Gavin Friday sul cantato di Bono, forse anche da considerarsi reciproca, visto che poi anche i Prunes si alleggerirono). Qui invece gli U2 sembrano prendere una piega che li riavvicina a un mondo di spettri, alla teatralità dei loro colleghi (ricordiamo il Popmart Tour, un altro spettacolo multimediale ipertrofico con gli U2 praticamente agghindati come personaggi di cartoni giapponesi) come se tornassero a casa. "A sort of homecoming" come dicevano proprio loro. Homecoming che purtroppo prenderà la piega che non ti aspetti: il flusso della strada non si concentra sulle loro origini sperimentali, ma è deviato da un vigile chiamato commercio per tornare agli U2 "rock". Dopo le recensioni non proprio entusiaste di POP e il parziale flop del disco, i nostri temono di cadere nel dimenticatoio e recuperano i produttori del passato (addirittura tornando a Lillywhite) per rischiare il minimo. Contando sulla fanbase di una volta e nell'interesse di chi non li conosce ancora, sfornano alcuni dischi in cui alternano momenti credibili a cadute di stile, come ad esempio l'ostinarsi di Bono a cantare in una tonalità che, arrivata una certa età, è difficile mantenere senza sforzarsi e fare una figura barbina (in questo torniamo al paragone iniziale, Facchinetti docet). E nell'ultimo disco del 2014 c'è la zampata definitiva dell'industria musicale che, ora sì, li ha trasformati in un pacchetto di caramelle per i "giovani". Tutto schiacciato e arrangiato come vuole il pop rock di oggi tanto che quando sentii per caso il singolo "Every Breaking Wave" pensavo fossero i Coldplay: in un certo senso gli U2 si riprendevano quello che era loro (la band inglese li copia senza se e senza ma, diciamolo), ma una volta fatto questo che cosa hanno ottenuto? Non lo sappiamo. Resta da capire se "Wake Up Dead Man" come incitamento valga anche per loro. Alla fine della fiera secondo me dopo POP sono diventati i pupazzi che impersonavano in quel tour: capaci sempre di esternare, pontificare e farsi trovare nei posti giusti al momento giusto tipo al Bataclan, certo, ma sempre delle "action figure" rimangono. Altro che Faul McCartney ragazzi: tanti auguri agli U3. Segui Demented su Twitter: @DementedThement