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A9N4: Molti nemici

Comico-giocoso-surreale-nonsensico-stralunato

Intervista a Paolo Albani, poeta visivo, performer, patafisico e professore alla Facoltà delle Scienze Inutili.

Il titolo originale di questa intervista è molto importante. Perché l’ha scelto Paolo Albani, l’intervistato. Si chiamava “Domande e questionario di Chiara Caprio” ed è successo perché, tra una e-mail e l’altra, Paolo ha preso in mano la situazione e mi ha impaginato l’intera intervista. Lo sapevo che era un tipo più unico che raro, e mi sono praticamente innamorata appena ho visto tornarmi indietro l’intervista in un file allegato con l’intestazione, le domande in corsivo e le risposte in minuscolo, precedute da una D maiuscola puntata e da una R maiuscola puntata. Per me era l’ultimo dei problemi, ma Paolo Albani, “scrittore e artista in proprio”—come si definisce poeta visivo, performer e direttore di Téchne, rivista di bizzarie letterarie, è uno degli intellettuali più raffinati, gentili e pazzoidi che l’Italia ci abbia regalato.

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Paolo ha gli occhi azzurri, grandi, e un sorriso simpatico, ed è anche una persona che da decenni porta avanti la cultura surrealista in Italia, insegna alla Facoltà delle Scienze Inutili di Barcellona ed è un cultore delle follie letterarie, del gioco poetico, della pazzia creativa, della patafisica—oltre a essere un profondo conoscitore della letteratura italiana e internazionale. Per avere un’idea del genere, potete guardare su YouTube alcuni video che lo vedono protagonista, come la breve perfomance in compagnia di Dario Longo presso il Comune di Pistoia: Paolo è inserito in una torre di dizionari che poi crolla al centro della sala. Ma oltre ad aver unito azione e letteratura, il suo studio ossessivo per i lati più estremi e giocosi l’ha portato a pubblicare diversi libri, come Mirabiblia. Catalogo ragionato di libri introvabili, Il dizionario degli istituti anomali del mondo e l’ultimo, I mattoidi italiani, un repertorio di pensatori, creatori, inventori italiani che non hanno atto la storia.

Insomma, un personaggio così vale la pena incontrarlo. Ho dovuto pregarlo per avere questa intervista, perché tutto questo gioco letterario, che ha radici profonde, lo porta spesso in giro per l’Italia. E così tra un viaggio e l’altro ci siamo scambiati telefonate ed e-mail, culminate in questa chiacchierata, dove Albani si mostra in tutta la sua sintetica precisione.

Paolo Albani nella sua casa di Pistoia.

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VICE: Da bambini leggiamo Cipì, da adolescenti leggiamo Il Giovane Holden, e quando andiamo al liceo siamo costretti a leggere il naturalismo francese e Verga. A giudicare dalla tua attuale produzione, mi sembra che tu da giovane abbia letto tutt’altro. Come ti sei avvicinato alla poesia visiva?
Paolo Albani: Mi sono formato in prevalenza sui testi delle avanguardie storiche, futurismo, dadaismo e surrealismo, con una passione per gli scrittori che lavorano sul linguaggio più che sulle atmosfere, e con una forte inclinazione verso quegli autori più ironici, irregolari, giocosi e dissacranti, da Sterne a Belyj, autore del bellissimo Pietroburgo, tanto per citarne due a caso.

Negli anni Settanta, il Gruppo 70 ha creato Tèchne, una rivista molto anni Settanta. Poi negli Ottanta tu hai fondato la nuova edizione di Tèchne. Perché hai deciso che era ora di rilanciare una rivista di bizzarrie letterarie?
Quando Eugenio Miccini, fondatore del Gruppo 70 insieme a Lamberto Pignotti, smise di occuparsi della sua rivista Tèchne, pensai che sarebbe stato interessante riprendere la pubblicazione dandogli un taglio più orientato al tema delle bizzarrie, non solo letterarie, un po’ sul modello de Il Caffè di Giambattista Vicari, anche perché non c’era (come ancora oggi, del resto) nessuna rivista che si occupava del genere comico-giocoso-surreale-nonsensico-stralunato.

Qual è il tuo numero preferito di Tèchne?
Il numero monografico dedicato al ‘nulla’ che si apre con un testo di un autore che amo molto, Jaroslav Hašek, quello delle avventure del buon soldato Svejk, uno dei libri più belli che ho letto.

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Quanto è importante l’aspetto visivo nella rivista?
Molto. L’intreccio immagine-linguaggio mi ha sempre intrigato, perciò cerco di dare spazio a interventi visivi di illustratori e disegnatori.

Ho provato a pensare come passi la tua giornata e mi sono solo risposta che probabilmente ti diverti un sacco. Mi racconti come ti vengono in mente questi libri-raccolte, queste enciclopedie? Come nascono le idee?
La risposta è apparentemente semplice: con la ricerca, la sperimentazione, lo studio, la lettura, non certo sotto i cavoli, che per altro adoro e fanno anche bene alla salute.

E invece le tue performance come le decidi?
In genere le elaboro in occasione di mostre di poesia visiva o di eventi letterari, magari adattandole allo spazio espositivo; le mie performance sono spesso dei giochi puramente sonori.

Perché ti piacciono le stranezze? Ho letto la tua Enciclopedia dei Mattoidi Italiani e se da un lato mi sono innamorata di molti di loro, allo stesso tempo mi ha trasmesso una certa sensazione di disagio.
Mi stupisce che tu abbia provato disagio leggendo i miei Mattoidi, in genere sono gente eccentrica e bislacca, ma simpatica, che invita al sorriso; non si tratta di alienati in senso clinico, ma di persone normali che hanno solo una “stanzetta in disordine” come dice il Dossi paragonando l’intelligenza umana a un appartamento formato da tante stanzette. E chi non ha una stanzetta in disordine?

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Vasta ha scritto che tu hai conferito “articolazione e struttura” allo scenario dei mattoidi. Quindi in realtà tu sei il contrario di quello che pratichi: fornisci struttura laddove sembra non esserci. Alla fine, la struttura—anche letteraria—vince sullo spirito anarchico dei mattoidi.
Mi ritengo un archivista di cose bizzarre, un compilatore di fenomeni curiosi, un po’ come Bouvard e Pécuchet di Flaubert.

Ho visto che sei Console Magnifico dell’Istituto Patafisico Vitellianense. Mi piace pensare che la patafisica potrebbe salvare il mondo. Dici che la sto sopravvalutando?
No, assolutamente. In quanto “scienza delle soluzioni immaginarie,” la patafisica è un fenomeno nutriente e salutare, uno sberleffo utile contro gli accademismi e la seriosità propinata dai professoroni gonfi d’aria fritta.

E invece quando fai uno dei tuoi seminari di poesia visiva cosa insegni esattamente? C’è un concetto che ti sta particolarmente a cuore che pensi dovremmo sapere tutti?
Credo che scoprire gli aspetti anomali e insoliti in vari campi del sapere, ad esempio i tic e le teratologie del linguaggio, sia di grande interesse per avvicinarsi in modo divertente e allo stesso tempo arricchente alle faccende della vita.

Ho visto che sul tuo sito pubblichi una selezione di racconti-bonsai. Cosa sono i racconti-bonsai e perché si meritano uno spazio a parte?
Li ho chiamati “bonsai” perché sono brevi, a me piace molto la brevità, in ogni salsa condita, la considero una delle qualità umane più importanti.

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In una tua intervista/performance spieghi che ti piacciono i solisti. Ma non pensi che nel mondo contemporaneo ci sia bisogno di persone che hanno voglia di stare insieme invece di anime solitarie e indipendenti? O gli artisti è meglio che stiano soli?
Un mio amico scrittore dice che per fare lo scrittore (che non è un mestiere, ma una passione, diciamo così) bisogna vivere come dei “monaci laici”. La solitudine ha il suo fascino, come il silenzio, per me è indispensabile per lavorare, anche se poi ho bisogno d’immergermi nell’affetto delle amicizie care.

Qual è il tuo autore-artista preferito di sempre e quello contemporaneo (magari coincidono anche)?
Non ho alcun dubbio: Marcel Duchamp. Non ha mai fatto delle opere ripetitive, amava il gioco e il nonsense e poi a un certo punto ha smesso di fare l’artista, scelta meravigliosa. Ce l’ha forse ordinato il dottore di fare gli artisti per tutta la vita? Che noia sarebbe!

In realtà questo discorso ci fa tornare a bomba agli anni Settanta. Allora l’arte, la letteratura, erano anche politica. Oggi invece mi rimane spesso addosso la sensazione di passare attraverso dei libri, delle riviste, senza rimanerci legata, senza avere la percezione che qualcosa si è depositato e un giorno fermenterà. Per non parlare del fatto che gli autori “famosi” oggi vengono criticati per essere anche “personaggi”. A volte però penso che il difetto non sia questo: in fondo anche Picasso era un personaggio, ma era Picasso, quindi era ok. Oggi i personaggi sono molto più superficiali e meno interessanti. Forse è questo il vero problema?
Il vero problema, rispetto a quello che dici, se non ho capito male, è non prendersi mai troppo sul serio.

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Pensi che ci sia un rapporto tra qualità della letteratura e fama dell’autore?
Assolutamente no. Ci sono autori stupendi, prendi ad esempio Manganelli, Delfini o Landolfi, che hanno sempre venduto poco, eppure sono degli scrittori formidabili, per fortuna non commerciali.

Infine, vorrei esprimere un desiderio. Potresti dedicarci una poesia?
Volentieri, vi dedico questa mia poesia su Leopardi, intitolata Elogio della banalità, con la quale mi accomiato, sperando di lasciarvi di princisbecco:

se il colle solitario che sempre caro fu
al giovane Leopardi malaticcio e tenebroso
non avesse avuto quella siepe disgraziata
davanti all’orizzonte
noi - è vero -
avremmo perso l’Infinito
ma lui almeno si sarebbe goduto il panorama

Segui Chiara su Twitter: @ChiaraCaprio

Altre interviste a scrittori che ci piacciono:

Bret Easton Ellis