Ho provato a diventare Jamiroquai

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Musica

Ho provato a diventare Jamiroquai

A volte bastano un cappello, un amplificatore e un biglietto della metro di Londra per diventare una stella del pop britannico.

(Fotografie di Jake Lewis) È il 2008. È una sera primaverile, e siamo nella camera da letto reale di un'antica villa del Buckinghamshire, costruita più di cinquecento anni fa. Jason Louis Cheetham—meglio conosciuto come Jay Kay, frontman dei Jamiroquai—è a casa sua, e sta provando ad andare a letto presto. Solitamente a quest'ora si starebbe sparando qualche episodio di The IT Crowd, ma domani è un grande giorno. Domani, competerà in una gara automobilistica di Top Gear. Dovrà sconfiggere Simon Cowell per tornare al primo posto del tabellone, dato che ha accettato di partecipare a una sorta di mini-campionato automobilistico televisivo tra VIP. E alla fine ce la farà, Jay, a sconfiggere Cowell: è il nono episodio dell'undicesima serie. Ed è piuttosto palese che gliene freghi più di qualsiasi altra cosa. Quando esce vittorioso dalla portiera, Jay comincia a saltellare e se ne esce con una dichiarazione delirante: "Non me ne frega un cazzo della musica!" Tutto quello che avete appena letto è contenuto in un video di YouTube che dimostra bene o male quanto Jay Kay sia un po' uno stronzo, invece del tizio misterioso che è sempre sembrato. Ma poi ti pare in autoplay il video di "Virtual Insanity," un pezzo complesso, ballabile e orecchiabile—un'ottima canzone, no? E ti convinci che Jay Kay deve avere qualcosa da nascondere. Poi ti concentri un po' di più. Ascolti il testo: "Ora non c'è alcun suono / Perché viviamo tutti sottoterra"—una frase che non significa nulla. Vai sulla sua pagina di Wikipedia; impari che ha vissuto in diversi squat, che si dice che sia stato accoltellato, e pensi che effettivamente riuscire a fare quello che ha fatto partendo da una situazione simile sia stata un'impresa. Poi trovi un video di lui che si fa dare una testata in faccia da un paparazzo e finisce col naso sanguinante a gridargli addosso attraverso la vetrina della lobby di un hotel. Ti rendi conto che niente di quello che stai facendo ha senso, e ti arrendi. La verità è che Jay Kay non ha alcun senso, così come non avevano alcun senso il fatto che ai tempi della loro fondazione i Jamiroquai avevano un tizio che suonava il didgeridoo. Non ha davvero senso. Un tizio di Manchester con un accento del sud? La sua collezione di Ferrari? Tutti i Grammy che ha vinto? È impossibile capire chi sia veramente, lo Space Cowboy. Un enigma? Una facciata? Tutti ci poniamo domande come questa, e lo facciamo da una vita. Quindi credo che l'unico modo possibile per capire Jay Kay sia diventare Jay Kay. Indossare le sue scarpe, imitare il suo look inconfondibile, scrivere musica come lui. Ed è esattamente quello che farò. Sì, per riuscire nell'impossibile sarei diventato… Jay Kay. Dovevo solo seguire cinque passi essenziali.

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1) L'UOMO

Passando oltre i preoccupanti risvolti psicologici della sua apparizione su Top Gear assieme a Jeremy Clarkson, mi sono reso conto che Jay Kay ha una qualità insolita, almeno per l'idea che abbiamo di lui—è una persona soddisfatta. Jay e Jeremy parlano di come "condividono le stesse passioni", il che ha senso dato che sono entrambi cresciuti con una mentalità di paese. E l'inizio del mio viaggio non poteva che cominciare da qua: sarei andato a Barnes, un vero paese all'interno di Londra Ovest, un Giardino dell'Eden per ricconi.  Curioso, entro in negozio di antichità; saltello tra le pozzanghere; mi soffermo troppo a lungo a considerare l'acquisto di collezioni di papere di porcellana. Anche se è carino qua—come essere in una realtà alternativa pensata da un personaggio di sitcom il cui ruolo è "fare lo snob"—non sono sicuro di riuscire a immaginare Jay Kay che se la cammina col fuoco nei tacchi delle sue Adidas Gazelle sui bucolici sampietrini di queste strade. Ma poi lo vedo: il Bull's Head. Un jazz bar—in un paese—pronto a servire jazz dal vivo con cibo thailandese di contorno, sera dopo sera?

Nella pancia della bestia, sento jazz mediocre e il suono di forchette. Sorseggio una birra e sfoglio un numero di Barnes and Putney Time & Leisure, e sento un lieve duetto di mormorii dietro di me. All'improvviso, diventano una risata. Due signori più che di mezza età—con la pelle rossa, capelli setosi e perfettamente pettinati—se la stanno sogghignando di gusto.

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Vengo attratto dal suono delle loro rustiche risate, quindi mi dirigo verso di loro e mi siedo al loro tavolo. Mi unisco alla loro conversazione sulle scuole svedesi dell'area. Ogni volta che provo a contribuire al discorso o a spostarlo verso le macchine (cosa che succede piuttosto spesso), le risatine diminuiscono e lasciano spazio a silenzi debilitanti. I due signori mi abbandonano. Nonostante la location perfetta e la compagnia perfetta per antonomasia, non ero riuscito a fregare nessuno. Questi tizi mi avevano squadrato da lontano e sapevano che ero fuori posto. Chiaramente ci voleva qualcosa di più per diventare Jay Kay. Dovevo spingermi più a fondo.

2) IL TRUCCO

Dite quello che volete di Jay Kay, ma è una sorta di icona se parliamo di stile. Dal suo cappello a forma di bufalo alle sue Adidas un metro più in basso, il suo profilo è entrato nella storia. Insomma, nel 2003 GQ lo definì l'uomo più stiloso dell'anno, e guardate quanto l'internet era d'accordo: Say what you will about Jay Kay, but he is somewhat of a style icon. From his buffalo hat to his Adidas shoes a metre below, he cuts an iconic silhouette. Believe us: GQ named him the most stylish man of the year in 2003, and just look at the consensus from the internet:

Quanto erano curiosi, questi ragazzi; quanta voglia avevano di assomigliare al loro idolo. È davvero stimolante. Per pensare come Jay, devo chiaramente assomigliare a Jay. Mi dirigo quindi verso uno dei negozi di sneaker migliori di Londra.

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Come ci si veste come un uomo con ottanta milioni di euro in banca? È una domanda a cui è impossibile rispondere, quindi chiudo gli occhi e penso. Che cosa farebbe Jay? Ovvio! Non mi serve una scarpa che potrebbe comprare chiunque. Mi serve un pezzo unico. Mi serve un cappello strambo. Devo andare su Walworth Road ed esplorare i dieci negozi di roba usata di Elephant & Castle e trovare un capo sublime salvandolo dalla spazzatura in cui qualcuno lo ha gettato.

Passo di negozio in negozio, di cappello in cappello, ma non vedo molto di interessante.

Comincio a perdere ogni speranza, finché un gentile signore non mi indica un cestello accanto alla cassa del suo negozio. E lì, per un istante, l'universo si ferma. L'ho… trovato.

È come se Jay prendesse vita di fronte a me. Sento il battito della sua lounge fusion a poco meno di 100 bpm che pulsa in me. I Jamiroquai cominciano ad avere un senso. Devo tornare a casa. Devo scrivere qualcosa. Devo fare il terzo passo.

3) LA MUSICA

Dopo aver scritto a tutti i miei amici musicisti, devo dire che sono piuttosto confuso dal fatto che nessuno sembra voler scrivere pezzi alla Jamiroquai con me. Ma grazie a Dio i Jamiroquai sono un'autocrazia creativa. Apro Logic Pro X, tiro fuori la mia chitarra e comincio a suonare su un beat a ritmo di samba. Non è male. Bé, in realtà è un po' una… merda? Quindi provo qualcosa di diverso, ma tutto quello che mi esce assomiglia a una b-side degli Skunk Anansie. Ma in fondo Jay Kay non è che un curatore di turnisti che affollano le scuole di musica più costose del mondo, no? Non è certo un tizio che prende in mano una chitarra e cerca di tirarci fuori qualcosa partendo dal nulla. Ho bisogno di qualcosa che mi ispira. Quindi mi prendo cinque minuti, apro Spotify e inizio ad ascoltare i Jamiroquai con il casuale acceso. È così strano—è come entrare in una capsula cultural-temporale degli ultimi anni Novanta e primi Duemila. Non so cosa sia, ma mi sta venendo in mente la parola "lounge"… ma non riferito al jazz! Alla lounge, al salotto di casa dei miei! Avevo undici anni.. guardavo la Signora in giallo su UK Gold… Cristo.

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La musica del menu di SKY di quando ero piccolo! Ecco a cosa assomigliano i Jamiroquai. Nel giro di un attimo io, autore, sto rippando la colonna sonora di una guida TV digitale da YouTube. Ed eccola lì, sul mio file progetto di Logic Pro, pronto a essere modificato. È un pezzo inutile e anonimo. Come Jay Kay, la renderò una hit. Dopo un paio di tocchi mi resta solo da scrivere un testo che assomigli a una profezia e cantarlo. Ora più che mai, devo diventare Jay Kay. Di che cosa canta Jay Kay? Dicono che canti del mondo, della razza umana, del cambiamento climatico, dell'autonomia tecnologica e di Dolly, la pecora clonata. Ma non sembra che canti di queste cose. Sembra che scriva un sacco di riferimenti a cose più o meno attuali e le ficchi assieme a parole astratte che sembrano avere senso, ma non troppo.

E così preparo dei biglietti con scritte sopra parole a caso. Li metto in ordine su un tavolo. Le mie dita tremano mentre ne afferro un paio. Mi trovo di fronte un collage sensato. E poi, come Mosé di fronte alle tavole della legge, comincio a sentire parole uscirmi dal corpo.

I'm a robot
Microchips and cronuts
Y2K is on the way
And Tiger Woods is makin' putts

Gravitational Converter
Transmitting me high
Insterstellar revelator
Thunderbolts and crime

I'm a robot
Microchips and cronuts
Y2K is going to make
A jalapeno figure eight

Nature for dinner
Riding microwaves
Ask Jeeves what he's servin'
Kickflip marinade

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Sottomesso alla profezia, prendo un microfono e comincio a registrare. Dopo qualche gridolino, "I'm a Robot" esiste. È sensazionale. Ho semplicemente lasciato che le mie mani accarezzassero un rifiuto musicale, e ora è oro—deve essere così, vivere come Jay Kay. Ed è oro. Oro troppo prezioso per le mie orecchie: devo condividerlo con qualcuno. E così prendo un boombox, mi metto addosso un giubbotto giallo fluorescente e il cappello. È ora di esibirmi, baby.

4) IL MOMENTO

Per strada, la gente è scioccata dal mio atteggiamento. Sì, Jay Kay ha letteralmente il potere di fermare la gente semplicemente camminandoci in mezzo.

Ma non sono qua per impressionare la gente: sono qua per esibirmi. Quindi mi spingo le cuffiette nelle orecchie, alzo il volume di "I'm a Robot" e la comincio a canticchiarla. Il mio momento è arrivato.

Esco dalla metropolitana e mi godo le dolci vibrazioni del luogo più puro di Londra. È quasi l'ora di punta, quindi credo di essere l'headliner.

Ero arrivato da Barnes al Boxpark di Shoreditch in un solo giorno. Direi che ero nervoso, ma non sarei sincero: Jay Kay non è mai nervoso. Mi avvicino ai container, accendo l'amplificatore e, non appena sento i primi accordi di piano, inalo profondamente l'aria dell'erba di plastica sotto ai miei piedi. Ci siamo.

L'aria attraversa i miei polmoni, esce dalla mia bocca: sto cantando. La canzone arriva alle sue ultime note e io alzo gli occhi al cielo. Sorrido al mio pubblico, come a volerlo salutare un'ultima volta. Una manciata di persone si girano dall'altra parte. La pioggia cade sul mio cappello di pelliccia e lo affonda sulla mia fronte. Sento una voce annunciare un ritardo del treno uscire dalla stazione metallica sopra di me. Prendo su il mio ampli e me ne vado. È arrivato il momento di compiere l'ultimo passo.

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5) IL SIGNIFICATO

Mi siedo in un Pret à Manger. Sono bagnato, stanco e mi sento umiliato. Non mi vergogno dei vestiti da idiota che ho addosso, né delle centinaia di persone che mi hanno appena visto cantare a squarciagola mentre ballicchiavo come il papà dello sposo a un ricevimento di nozze. Mi sento umiliato perché ho fallito. È come se non avessi imparato niente su Jay Kay. Tutte queste pressioni e questo seguire le tortuosità del suo essere mi hanno portato nella tana del coniglio, e ora probabilmente ne so ancora di meno di prima. Forse Jay Kay è una di quelle cose della vita che dobbiamo accettare di non capire mai?

Come, ad esempio, questo caffè. Questo caffè è come Jay Kay, in fondo. Non è incredibile. Ma mi sta piacendo? Certo. Ne prenderei ancora se me ne offrissero uno? Certo, perché no. O un bel sandwich tonno e cetrioli. Ancora una volta, un po' come Jay Kay. Piccolo, e strano—ma buono. E mi rende felice.

Anzi, sapete cosa vi dico? Pret non è male, di per sè—è ok! Non importa che abbia qualcosa di pacchiano e nauseabondo, posso comunque affidarmi a lui per un pranzo nella media, un pranzo sicuro.

Jamiroquai…

Pret…

Jamiroquai…

Più ci penso, più mi rendo conto che Pret e i Jamiroquai non sono poi così diversi. Sono entità dalle umili origini. Colossi ugualmente incompresi e adorati. Quando Pret comparve, alla fine degli anni Ottanta e con un nome che la maggior parte di noi non avevano la minima idea di come leggere dato che avevamo balzato gli esami di francese, e si mise a vendere strane variazioni di snack e panini e zuppe standard e i vari McDonald's si misero a ridere di gusto, credete che Pret si sia arreso e si sia messo in un angolino a piangere? NO! E ora guardateli—uno dei brand più riconoscibili del Regno Unito! Che problema c'è se se la godono un pochetto e sguazzano nelle loro imperfezioni? I Jamiroquai unirono vaghezze cosmiche con funk da due soldi e un po' di synth—ma anche se sono sette anni che sono scomparsi, hanno mandato sold out il loro prossimo concerto in uno dei palazzetti più grandi di Londra "in 30 secondi", stando a quello che dice… il loro ufficio stampa. È quasi come se questo caffè e la band che ho provato a diventare fossero entrambe entità da cui ci sentiamo tutti attratti nonostante i loro difetti. Oh mio Dio. Ha senso, ora.

Jamiroquai è Pret a Manger! E oggi, io sono i Jamiroquai.

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