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Musica

Cinquanta sfumature di nero: Avant! records

Avant! records pubblica la musica più oscura che c'è. Abbiamo intervistato il fondatore Andrea in occasione dell'ultima uscita della label: Black Bug.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Che cos’è nero come la cenere, ruvido come il muro di una cella, amaro come l’assenzio, potente come un tuono, e per l’olfatto non mi viene in mente niente? Ma un disco pubblicato da Avant! Records, naturalmente. L’etichetta bolognese, in attività ormai da più di sette anni, è una certezza per chi vuole sperimentare un arcobaleno tutto scuro che va dal death rock alla techno al neo folk passando per synth punk, dark wave e industrial.

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Già nel 2007, quando sono usciti i primi singoli, mi sono accorto che questa etichetta non era interessata a farsi degli amici. Tanto per cominciare l’esordio è stato uno split tra i nostri eroi post-punk His Electro Blue Voice, che ai tempi erano il gruppo di casa e non avevano ancora cominciato a pubblicare i loro deliranti 12” di sperimentazioni long-form, e Nuit Noire, una band francese che senza tanti giri di parole si può definire black metal. Poi uscirono il primo singolo dei Black Bug, i narcosatanicos messicani Los Llamarada, la ristampa del demo dei Movie Star Junkies e il resto è storia. Eclettismo, lungimiranza e la bellicosa coerenza di pilastri outsider come S-S Records o Siltbreeze. Alcuni di questi dischi sono considerati a ragione dei classici e pubblicazioni più recenti come Lust For Youth e Nun hanno fatto il giro del mondo in sella alle più autorevoli top ten di fine anno.

In occasione dell’uscita del nuovo potentissimo singolo dei Black Bug Frozen energy / Push you, il cui video è andato in anteprima su Noisey France la settimana scorsa, ho intervistato Andrea Napoli, boss dell’etichetta e fondatore anche di Yerevan Tapes insieme a Silvia Anhayt, nonché ex-batterista di His Electro Blue Voice, metà del misterioso duo Feuerbahn e agitatore culturale con il progetto Ombre Lunghe.

Noisey: Partiamo dalla fine, dalle ultime uscite: Horror Vacui, Qual e Black Bug. A un ascolto superficiale questi progetti non sembrano avere quasi nulla in comune. Che cosa li lega, a parte il logo Avant!? Che rapporto hai con i generi musicali, ti piacciono o ti rompono i coglioni?
Andrea: Diciamo che questo è un po’ il fil rouge di Avant!, il fatto di avere gruppi con sonorità diverse che però sono accomunati da un concetto chiave, che è rappresentato dalla parola dark. Dark non inteso come lo intendiamo in Italia, dove sta per goth, ma in senso letterale inglese: oscuro, peso, metaforicamente estremo, “in a dark place” cioè con le spalle al muro, in una situazione difficile da affrontare. È questo mood tetro ad accomunare le uscite. Che poi venga declinato in chiave punk, synth punk, cold wave, EBM, folk non mi interessa. Da una parte ovviamente ci sono dei limiti da rispettare perché si tratta pur sempre di una label indipendente, dall’altra Avant! non è mai stata dedita a un solo sotto-sotto-genere per il semplice motivo che io in primis non ascolto un solo sotto-sotto-genere.

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Infatti anche Yerevan, che ha un’estetica più definita a livello di packaging, musicalmente non ha confini particolari, anche se tocca luoghi un po’ più “soleggiati” rispetto ad Avant!.
Be’, Yerevan è frutto del lavoro con Silvia, che cura tutte le grafiche e conferisce la veste estetica. Essendo nata come tape label, anche se da poco abbiamo iniziato a produrre anche vinile, era necessaria un’iconografia specifica. Anche lì comunque c’è un nucleo concettuale che viene declinato in vari modi, che è il concetto di musica sacra, musica che indaghi una dimensione esoterica, a prescindere dagli strumenti musicali/artistici con cui questo viene fatto dai singoli gruppi/artisti. Ovvio che ragionando strettamente in termini di generi sia Avant! che Yerevan sforano da una parte o dall’altra, ma non è forse più interessante così?

Penso che valga la pena di parlare della stampa europea dei Nun, che ci ha permesso di risparmiare un sacco di soldi di spedizione visto che altrimenti avremmo dovuto contare sulle copie importate dall’Australia, dove è uscito su Aarght records. Credo che prendere accordi tra etichette di paesi diversi e dividersi le zone del mondo sia una gran bella cosa e andrebbe fatta più spesso. Non so quanta musica mi sono perso perché la spedizione rendeva il prezzo troppo alto. Penso che i dischi belli circolerebbero meglio e si pubblicherebbero meno dischi di merda. Sei d’accordo? Com’è stata questa esperienza per te? Lo rifarai in futuro?
Certo che sono d’accordo. Infatti ultimamente quando posso, quando ha senso e quando dall’altra parte ci sono persone motivate, lo faccio spesso (vedi Horror Vacui, Lost Tribe, Pure Ground, Nun, Lakes). È fondamentale però lavorare con gente appassionata, se no diventa un marone e basta. Con Nun la cosa ha funzionato al meglio, perché Rich di Aarght lavora benissimo, è super preciso e disponibile, cose che non sono sempre assodate, anzi. Nonostante siano passati anni da quando abbiamo iniziato, trovo ancora tante persone che per vari motivi lavorano un po’ a cazzo e complicano tutto.

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Infatti del tuo approccio mi ha sempre colpito la serietà. Come quando mi offrivo di portarti birra in cambio di dischi: “Eh no! Non posso mischiare i soldi per l’alcol con quelli dell’etichetta.” Che cosa ti spinge? È sempre stato questo il tuo modus operandi? Riflette la tua personalità o è uno sforzo che devi fare?
No, è la mia personalità. Non ricordo la storia delle birre (sarà proprio per via della birra?) ma that’s me. Ora sono un pelo meno fiscale di qualche anno fa, ma se me lo posso permettere è proprio perché sono partito con il piede giusto. Poi è ovvio che ognuno fa come deve o come preferisce per raggiungere un buon risultato, questo è il mio metodo. Abnegazione. Sono pur sempre un longobardo di Como, anche se vivo a Bologna da dieci anni non sarò mai un tipo “pollegg”… pollegg un cazzo!

Si capisce anche da come suoni la batteria. A proposito, suoni ancora? Sei ancora il batterista “da studio” di His Electro Blue Voice o sei definitivamente uscito dal gruppo?
Sono Jack Frusciante. Ho dovuto mollare HEBV dopo l’uscita dell’album su Sub Pop, su cui comunque ho suonato, perché giustamente il gruppo aveva bisogno di fare dei live e io non ero la persona giusta per dare la disponibilità e l’impegno che la band si meritava ampiamente. Poi la batteria come la suono io la può suonare chiunque, basta che sappia cosa NON deve fare, ovvero esprimere il proprio ego artistico, perché per quello c’è Francesco che ne ha per tutti. (Ride)
Ora suono con un amico in un progetto a due, Feuerbahn, ma con molta calma perché il tempo è pochissimo, però abbiamo già fatto uscire una cassetta e un’altra uscirà quest’estate. È roba allegra.

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Già, si sente che siete due persone allegre. Parliamo un po’ di Ombre Lunghe. Sei contento di occuparti di eventi live? So per esperienza personale che in Italia è piuttosto frustrante. Quanti siete, come lavorate, che cosa avete in mente?
Ombre Lunghe è un format nato dalla collaborazione tra Yerevan Tapes (quindi Silvia e io) e i ragazzi di AliveLab, associazione di Bologna che organizza le serate Habitat. L’idea è quella di fondere la dimensione live di musica sperimentale/elettronica con la parte più “intelligente” del mondo del clubbing. Nella stagione appena terminata abbiamo fatto due serate ma proprio adesso, per la stagione estiva, abbiamo allargato la collaborazione a Jonathan Clancy (His Clancyness e Maple Death Records) e ai ragazzi che organizzano Imago, e con loro faremo tre serate al Museo Medievale dal divertente nome di Medieval K-Nights. La gestione delle serate è piuttosto macchinosa, come appunto sai anche tu, e la possibilità di incorrere in casini di varia natura è sempre alta. Con Ombre Lunghe le prime due esperienze sono andate bene, ma è davvero un delirio far quadrare tutto, specialmente quando non hai un posto tuo. D’altra parte, però, un posto richiederebbe una mole di lavoro tale che saresti costretto a mollare il resto e fare solo quello. È sempre un’arma a doppio taglio, ci vuole una gran voglia e una gran pazienza, ma non penso che questa sia una novità.

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Infatti credo sia una buona mossa quella di allargare la partecipazione ad altre persone, tanto non è che avrete dei soldi da spartirvi.
Già, direi che l’orizzonte del money-making è piuttosto lontano. L’idea di base è di riportare Bologna sulla mappa delle città dove passano cose fighe in tempo reale. Devo dire che già da un anno le cose sono tornate a girare bene da questo punto di vista, fino a due anni fa era un vero mortorio.

Bologna sembra sempre sul punto di affondare, ma si riprende ogni volta.
È un po’ così qua, c’è un botto di roba per tre o cinque anni e poi per due o tre anni sembra che non ci sia più niente. Grazie a Dio c’è sempre qualcuno che in un senso o nell’altro si sveglia per tempo. Per anni io stesso mi sono detto: “Ma in una città come Bologna devo essere davvero io a portare le cose che mi interessano?” Non accettavo il fatto che magari per un anno intero non ci fosse nulla di particolarmente entusiasmante. Quando ho accettato di dovermi rimboccare le maniche anche in questo ambito, contemporaneamente, a caso, le cose hanno cominciato a girare di nuovo. Probabilmente anche gli altri hanno fatto lo stesso ragionamento.

Però, pur rivendicando le tue radici lombarde, non hai mai pensato di ritornare al Nord, o magari addirittura all’estero dove l’etichetta potrebbe prosperare di più.
Io sono di Como, più a nord di così c’è la Svizzera, ma in Svizzera vacci tu! (Ride) Lo stesso vale per Milano, ci ho fatto tre anni da pendolare (lo so, non è come viverci), ma non è mai stato il posto per me. Da teenager odiavo i milanesi, e non parlo di quelli di San Babila (chi cazzo li ha mai visti quelli?), ma dei morti viventi che venivano ai concerti. Poi magari era che avevo diciott’anni e dovevo dimostrare al mondo di essere punk, però non sono mai stato a mio agio. Ovvio che ci ho pensato, a trasferirmi, che so, a Berlino. Forse lì potrei campare di musica in qualche modo, probabilmente con qualche sacrificio, però non mi va. Vivere in Italia non è così una merda, e qui riesco a bilanciare vari aspetti della mia vita. Poi tanta gente va all’estero all’avventura e vive alla giornata finché non si sistema, ma io non sono un fricchettone, mi dispiace.

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In conclusione: qual è l’obiettivo che senti di non aver ancora raggiunto con questa etichetta? Cosa vorresti ottenere?
Mi piacerebbe raggiungere la stabilità con una distribuzione seria. Ho tanti mailorder, distro e negozi che tengono la mia roba in ogni parte del mondo, dal Texas a Tokyo, dalla Svezia a Taiwan, ma avere una distribuzione fissa, potente, diciamo istituzionale, è una cosa che mi è riuscita solo a metà. Spesso i distributori vedono un’etichetta come la mia come un pesce piccolo e hanno altre priorità, in più io sono molto esigente, quindi non è mai andata bene. Poi anche il fatto di coprire generi così diversi tra loro (anche se secondo me è un punto di vista superficiale) non aiuta. Fino a ora sono andato bene anche da solo, però poter contare su un canale professionale sarebbe un grosso passo in avanti. Sai, l’obiettivo finale sarebbe non fare altri lavori, ma non so chi ce la faccia, anche a Berlino o a Copenhagen, con questo tipo di musica. Ah, e poi vorrei un pubblico più attento, più curioso, meno condizionato dalla peer pressure. Dov’è finito lo spirito di individualità? Cazzo, la “cultura alternativa” (tra centomila virgolette) serve a questo, a esprimere la propria personalità, non a fungere da etichetta adesiva da mettersi addosso come una marca per sentirsi bene all’interno di un recinto. Così le culture diventano carne da marketing.

Bene Andrea, grazie. Io avrei finito.
Ma non mi hai chiesto la cosa più importante: che cosa sto ascoltando ultimamente.

Hai ragione, be’, spara.
Allora, stamattina: Blood And Sun, White Storms Fall, neo folk americano davvero fico; Rule Of Thirds, album omonimo, ennesimo gruppo australiano che spacca il culo. Poi ho da mesi in rotazione alcune uscite Northern Electronics e un po’ di sano metallo per tornare con i piedi per terra, sia roba nuova (Murg, Misbyrming), sia vecchia (ho ritirato fuori gli Unleashed di recente).

Chissà perché, mi sentivo che non avresti nominato i Beach Boys.

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