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Still dal film Storia di un matrimonio.
Cultura

Noi cresciuti negli anni '90 siamo la generazione dei figli di divorziati

La crescita netta e inarrestabile dei divorzi in Italia è iniziata attorno al 1995—all'improvviso, non ero più l'unico bambino sballottato tra i genitori.
Niccolò Carradori
Florence, IT

In Storia di un matrimonio, il film con Scarlett Johansson e Adam Driver che racconta il progressivo disgregamento dei sentimenti e degli ingranaggi in una coppia, il divorzio viene dipinto come una specie di dramma a due in cui la lente è sempre puntata su (ex) moglie e marito. Mentre i due vengono stravolti dalle reciproche recriminazioni, e dall'intrusione di famiglia, amici, e avvocati, il figlio rimane un essere bidimensionale che si limita ad assorbire gli eventi. Il suo sembra un percorso monco, in modo quasi rivelatore: tutti i problemi coinvolgono direttamente anche lui, e i suoi interessi, ma la sua presenza è soltanto un fattore di mediazione o scontro nella coppia. E se da una parte questo mi ha colpito, dall'altra ho riconosciuto alla perfezione quella dinamica. Un ricordo vivissimo, anche se lontano nel tempo: il me di sei anni.

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Perché io sono un figlio di divorziati, e per la precisione appartengo a quella generazione—grossolanamente i nati negli anni Ottanta—che durante l'infanzia ha vissuto l'esplosione cambriana dei divorzi in Italia.

Il divorzio nel nostro paese è stato introdotto legalmente nel 1970. Ma dopo un'ovvia crescita iniziale, dovuta all'entrata in vigore della legge, le percentuali di matrimoni giuridicamente cessati si è mantenuta stabile fino alla prima metà degli anni Novanta. Periodo in cui, quasi di colpo, il divorzio è diventato un fenomeno molto più presente e stabile nella società, cominciando una crescita che persiste ancora oggi. Tra il 1991 e il 2018 i divorzi sono aumentati del 345 percento, e osservando il grafico 3.14 del report 2019 dell'Istat, si nota perfettamente che la crescita netta e inarrestabile è iniziata attorno al 1995.

"La crescita repentina dei divorzi a vent'anni dall'entrata in vigore della legge," mi ha spiegato la dottoressa Cristina Nesti, terapeuta specializzata in Medicina Psicosomatica, "non ha radici sociali legate a quel periodo storico, ma è parte di un lungo processo di assimilazione di un fenomeno. Un conto è l'aspetto legale, e un altro quello culturale. In Italia la cultura del matrimonio, e la visione della donna come moglie e madre, era (ed è) molto forte. Quindi c'è voluto tempo per vedere gli effetti di massa della possibilità di sciogliere un matrimonio: è dovuta passare una generazione."

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Io rientro pienamente nelle statistica: i mie genitori, nati entrambi all'inizio degli anni Sessanta, hanno divorziato nel 1994, quando avevo sei anni. All'inizio nel mio paesino ero l'unico, ma crescendo sono diventato solo uno dei tanti.

Il primo ricordo che ho, è il senso di vergogna. A scuola lo sapevano tutti, e mi sembrava che mi trattassero con una forma estremamente sgradevole di pietà. La maestra di italiano si metteva accanto a me quando era il momento di fare i piccoli lavoretti per la festa del papà, e mi accarezzava la testa. Avrei voluto dirle che mio padre non era morto, ma mi limitavo a concentrarmi sul foglio mentre sentivo gli occhi di tutti addosso. Per un periodo, da quanto mi sentivo a disagio, ho raccontato agli amici che in realtà i miei stavano ancora insieme. Ma mi sentivo in difetto anche nei confronti dei membri della mia stessa famiglia: i miei nonni avevano matrimoni fortissimi, i miei zii lo stesso (o almeno pensavo all'epoca), e invidiavo i miei cugini.

"La vergogna in questo caso ha una doppia origine," ha osservato la dottoressa Nesti. "Da una parte è dovuta a una effettiva causa sociale: l'istituzione della famiglia è un residuo a cui la società è ancora fortemente attaccata, la vita spesso ci sembra fatta per essere vissuta in coppia, perciò rompere quel totem comporta sempre un senso di fallimento. Specie quando è un fenomeno nuovo. Dall'altra c'è una dinamica relativa ad ogni famiglia: se sono i genitori, per primi, a vergognarsi del divorzio e a viverlo con vergogna, passeranno il sentimento ai figli."

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Tutto questo era acuito dal modo in cui i miei avevano divorziato. Come nel più classico dei casi non era finita bene, e per alcuni anni sono stato sballottato fra liti per l'affidamento e giorni prestabiliti in cui vedere mio padre. Proprio come Henry Barber, il figlio di Storia di un matrimonio, la mia presenza e la mia volontà si rimettevano completamente al modo in cui stava cambiando il rapporto tra i miei genitori: mi veniva comunicato quando e come stare con l'uno o con l'altro, e mi ritrovavo a gestire un doppio confronto con ognuno—sensi di colpa, lontananza, aggressività riflessa, rapporti con i nuovi partner—sentendomi profondamente isolato.

Questo non solo perché avevo l'impressione che i figli delle coppie sposate vivessero senza la minima preoccupazione, ma anche perché i miei mi sembravano più concentrati su di loro che non su di me. "Spesso nel periodo che precede un divorzio, ovvero la crisi matrimoniale, e quello successivo, i genitori tendono ad allentare il senso di responsabilità sui figli. Perché sono molto più presi da se stessi, e lo arrogano all'ex coniuge." Come quando mia madre cercava di coinvolgermi per parlare male di mio padre, o quando mio padre mi pregava di rimandare un giorno in cui avrei dovuto stare con lui perché voleva convincere mia madre a chiedere meno soldi per il mantenimento usando il troppo tempo che lei ed io avremmo passato insieme come una possibile minaccia alla sua libertà. Ho cominciato a superare questa fase solo quando, frequentando le medie, ho conosciuto molti altri ragazzini con genitori divorziati e famiglie allargate. Di colpo è stato come ne fossero spuntati ovunque, e crescendo la famiglia assumeva progressivamente sempre meno importanza. Negli anni del liceo, poi, mi sono reso conto di poter sfruttare almeno un po' quella condizione. Non solo il sabato sera dicevo a entrambi che sarei andato a dormire a casa dell'altro, e rientravo più tardi di nascosto; a volte arrivavano i doppi regali, e mediamente avevo in tasca più soldi dei miei coetanei—per qualche motivo, ad un certo punto, mio padre ha iniziato a dare direttamente a me l'assegno di mantenimento. Una paghetta monstre, che mi invidiavano tutti.

A questo punto, però, viene da chiedersi che impatto abbia avuto il boom del divorzio sulla mia generazione: è stato causa di un cambiamento nelle prerogative relazionali? I figli dei divorziati hanno percezioni alterate sulle dinamiche di coppia, o si portano dietro qualche scompenso? Secondo la dottoressa Nesti, il fenomeno è sopravvalutato. "Al di là dello stigma sociale (anche questo da valutare comunque) derivante dal contesto, si tendono a ingigantire gli effetti di un divorzio sui figli. Innanzitutto specifichiamo che le ripercussioni dipendono da caso a caso, e dal modo in cui i genitori hanno gestito la cosa. Ma soprattutto prendiamo in analisi l'opzione opposta: come sarebbe stato crescere in una famiglia in cui padre e madre si odiano, ma non divorziano? A tanti bambini è toccata questa sorte, che io personalmente trovo molto più ostica di una famiglia allargata." Anche per quanto riguarda l'idea secondo cui i figli dei divorziati tenderebbero ad avere rapporti di coppia compromessi, la dottoressa Nesti è cauta: "nella mia esperienza i figli dei divorziati—anche qui generalizzando—tendono ad avere un rapporto più oggettivo con i genitori. Perché li gestiscono singolarmente, e non sotto il cappello del matrimonio. Non è che subiscano di meno l'influsso della famiglia, quello lo subiamo tutti, ma generalmente hanno l'opportunità di vederne i meccanismi in modo più netto."

Nonostante resti uno dei paesi europei dove si divorzia di meno, ormai il fenomeno fa pienamente parte della società italiana, e recenti proiezioni sostengono che entro il 2030 le coppie divorziate nel mondo cresceranno del 78 percento. Da questo punto di vista, insomma, mi sento un pioniere navigato. Segui Niccolò su Instagram.