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Musica

Claver Gold, Murubutu e il rap intellettuale nell’era della trap

Il rap di artisti come Claver Gold, Murubutu e Rancore si scontra con i pregiudizi di chi pensa che la loro idea di “cultura” sia troppo alta per il rap.
Daniele Ferriero
Milan, IT

Murubutu e Claver Gold non sono novellini né artisti emergenti. Il primo è diventato celebre per la sua capacità di offrire contenuti “alti”, filosofici e letterari al rap italiano, il secondo per una penna altrettanto intensa, introspettiva e fresca, solo un poco meno nobile nei riferimenti e nella scrittura rispetto all’amico. E adesso si sono sposati in un matrimonio celebrato tra il cielo e Infernvm, che è il titolo del loro disco insieme.

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Claver e Murubutu hanno costruito negli anni una piccola coorte di devoti a un’immagine del rap più profonda e sofisticata della media. Meno immediata, ma meditata a lungo nel pensiero e nelle tematiche. Per farla semplice, una sorta di conscious hip hop italiano che respinge al massimo grado la superficialità sbandierata, e ricercata, dai colleghi della trap.

Definire il valore e l’intelligenza di una musica o una strofa è però questione di prospettiva: basta analizzare la strofa di Side in "Cavallini" seguendo le regole della metrica che subito questa diventa roba da universitari. "Alto" e "basso" sono concetti da rimettere sempre in discussione. Soprattutto se ci ricordiamo che molti di questi artisti, e i loro ascoltatori, appartengono a una nicchia e hanno un gusto ben preciso: sarebbe ingiusto metterli in contrapposizione a mondi troppo diversi.

C'è però da dire che Murubutu e Claver non sono soli. Anzi, vengono spalleggiati da una nutrita schiera di anime più o meno gemelle, ognuna con le proprie peculiarità e diversità, ma accomunate dalla ricerca di parole nuove oppure trattate con il piglio di chi ama giocarci fino in fondo. Il primo che viene in mente è Rancore, che ha lavorato non a caso con entrambi, e con l’aggiunta del quale possiamo inventarci una specie di trinità informale di questa nicchia stilistica nazionale: rap PhD, rime col dottorato. Musica della quale andare fieri, ma di cui inventarsi i limiti e gli appartenenti di volta in volta.

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Se affianchiamo a loro Rancore possiamo inventarci una specie di trinità informale: rap PhD, rime col dottorato

È quindi giusto e opportuno non dimenticare un insospettabile come Caparezza, oppure Willie Peyote, che spingono la propria sperimentazione verso un impegno di critica sociale e politica, se non proprio antropologica. Oppure il versante più poetico, intimo e complesso di Cranio Randagio e Disturbati dalla CUiete. O ancora gemme Old School di ricerca a tutto campo, come Kaos One, Neffa e Frankie Hi-Nrg.

Oppure, ancora, l’avanguardia bizzarra e totale di alfieri dell’underground nostrano quali Uochi Toki (anche loro già con Murubutu nel disco Il limite valicabile), Zona MC e Miike Takeshi. Persino, perché no, l’ultimo Marracash con la sua rincorsa a Bergman, dove la street credibility incontra la cultura alta. Ognuno può trovare il proprio eroe in questa cosa che è "il rap intellettuale"—un gioco tutto in salita, da svelare, smontare o costruire.

In questo quadro complesso, usiamo Infernvm come immagine sulla quale ragionare. Uscito per Glory Hole Records, questo album è nient’altro che la rielaborazione personale di un capitolo centrale della letteratura italiana, famoso in tutto il globo, e dal quale qualche milione di musicisti e artisti ha preso spunto per le proprie opere: la Commedia, quella divina, di Dante Alighieri.

Murubutu Claver Gold

In particolare, lo esplicitiamo giusto per i disattenti e per chi ha fumato davvero troppo, parliamo della prima cantica—dedicata a quell’Inferno dove finiremo tutti noi convinti peccatori. L’agguerrita apertura mette subito in chiaro il tono del disco: “Selva Oscura” è nient’altro che un taglia-e-incolla dei versi del Sommo Poeta, rielaborati con la partecipazione di un attore, regista e autore teatrale.

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È con “Antinferno” che si comincia a fare sul serio. La sorpresa arriva subito, grazie al feat di Davide Shorty che apre il brano a melodie leggere e inaspettati umori pop, di quelli che non si troverebbero fuori luogo in un tormentone estivo. Se non fosse che Murubutu e Claver arrivano come pesi massimi a portare la giusta dose di complessità tematica—la stessa che si farà sentire per tutto l’arco dell’album e che rispecchia proprio il Poeta nell’approccio alla materia.

Claver e Murubutu offrono uno spaccato critico e morale delle nostre giornate e della nostra società: 11 tracce per 33 canti che rielaborano l’intero presente.

I due, infatti, usano nei loro testi una figura retorica tanto cara a Dante: l'allegoria. Con le loro cascate di rime offrono uno spaccato critico e morale delle nostre giornate e della nostra società: 11 tracce per 33 canti che rielaborano l’intero presente. Basti pensare a “Pier”, ispirata alla figura di Pier Della Vigna, disgraziatissimo consigliere che finì imprigionato per il dissing altrui e si trovò costretto a togliersi la vita per risparmiarsi l’ennesimo giro di torture—per poi venir catalogato come peccatore e infilato all’inferno.

Alla storia raccontata nella Commedia, i due artisti rispondono intrecciando quella di un Pier fatto vittima dell’astio quotidiano contemporaneo, si tratti di troll online, di bullismo reale o di semplice odio manifesto. “Tu ti sei chiuso dentro un guscio di paure / E stanco / Non hai la forza di lottare e tornare nel branco / Non hai più voglia di sedere solo su quel banco / Quando nessuno, sì, nessuno, vuole starti accanto / Sono scomparsi quei commenti sotto la tua foto." Così veicolano con efficacia il tema del suicidio, troppo spesso ancora accantonato nelle cronaca sentimentale e giornalistica d’ogni giorno.

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Murubutu Claver Gold

La stessa inclinazione si palesa a ogni passo e brano del disco. A volte ci riesce perfettamente (“Caronte”, “Malebranche”), a volte meno (“Ulisse”), altre ancora molto meno (“Paolo e Francesca”, con Giuliano Palma). È però certo che Claver e Murubutu si fanno portatori di una dolce e nuova ricerca stilistica, che trova nel linguaggio uno strumento di espressione, ed esplosione, creativa. Si scrive e si canta, si rappa e si rima per raccontare e manifestare, non per apparire o per tentare di saziare un’idea distorta di popolarità. Non ci si fa cannibalizzare dai grandi numeri o dall’ossessione per la posa migliore.

Tuttavia, i due lavorano e creano all’interno di un contesto più vasto e ben preciso, quello italiano. Negli ultimi vent'anni il nostro rap ha subito un cambiamento drastico rispetto alle sue origini umili e schiette, a voler semplificare persino spensierate. Se pensiamo che siamo partiti dalle canzoni alla radio di Jovanotti o degli Articolo 31, dalle posse più impegnate e dai cani sciolti più fieri, il passo per arrivare a oggi è stato titanico.

Si rappa e si rima per raccontare e manifestare, non per apparire o per la popolarità.

Anno dopo anno, il rap italiano si è semplificato e ibridato prima con il pop e poi con le correnti straniere e l’indie più facile e melodico. Intanto il numero degli ascoltatori si è impennato, e la presentabilità e appetibilità rispetto a un pubblico di massa sono andate alle stelle. È arrivata la trap italiana, e con lei anche un'attenzione dell'industria mai vista prima. Il risultato? Una lunga coda di conseguenze pratiche piuttosto impattanti sotto il profilo economico e imprenditoriale.

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Lo si vede nell’attenzione che la moda riserva alle grandi star e ai giovani talenti, nei cortocircuiti della reputazione e dell’immagine patinata sui social. Brand, fan, agenzie digital e service audio-video hanno cominciato a battere insieme al rap come un unico organismo in perfetta sincronia. Uno spettacolo d’arte totalizzante che ha cominciato a fruttare e fatturare cash con molti, molti zeri, facendosi impresa ma dimenticandosi spesso per strada la creatività e l’innovazione.

Claver Gold Murubutu

In questo quadro, immaginatevi ora di essere studenti in attesa della prossima ora—se lo siete davvero, tanto meglio. Avete lezione di Lettere e in classe si presenta Alessio Mariani, il vostro professore di Storia e Filosofia. Per passare il tempo comincia a parlarvi di Kafka e di Schelling, Wordsworth e un’infinità di filosofi idealisti che avete sempre balzato insieme alle ore di lezione per fumarvene una di troppo. Dopo, passa a Dante.

Quel professore è Murubutu, un uomo che—così come Claver Gold, con le sue diversità—evidentemente cerca di procedere altrove rispetto all'idea di rap italiano, e con un altro passo, grazie al suo background decisamente anomalo per la media della scena. Tanto più che una buona parte del nostro rap sembra ossessionato dall’idea dell’andare male a scuola, come a suggerire un rapporto mai risolto con la scuola come istituzione e autorità, se non lo sforzo intellettuale: da tha Supreme in “Scuol4” e “L’ego” di Marracash, a Ketama126 in “Stay Away” di Night Skinny, Salmo ne “Il senso dell’odio” e un’infinità d’altri.

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Murubutu e Claver Gold evidentemente non sono in grado di accontentarsi degli stereotipi della scena rap.

A pensarci, comunque, Murubutu non ha tutti i torti. In molti sensi, infatti, l’arrivo del rap in Italia è stato un processo di digestione culturale. L’appropriazione di un linguaggio a noi quasi del tutto estraneo, sicuramente alieno nelle sue forme e storie originarie, e lontano anni luce non solo e non tanto dal template della musica italiana popolare, quanto dalle spinte che l’hanno prodotta. Non una moda, ma un vero e proprio scisma culturale.

Tanto più che, se in America il rap delle origini era una questione principalmente razziale, di ghetto e di emarginazione sociale, qui la saldatura è avvenuta per altri motivi. Detto schiettamente: quelle musiche, semplicemente, piacevano anche a noi. E avevamo bisogno di rompere nel modo più energico possibile rispetto a un’altra tradizione: quella tutta nostrana della canzonetta leggera con cui intrattenere la famiglia borghese e perfetta, da Mulino Bianco.

Se in America il rap delle origini era una questione principalmente razziale, di ghetto e di emarginazione sociale, qui la saldatura è avvenuta per altri motivi.

L’hip-hop, il rap e tutte le correnti che ne derivano sono il precipitato di decenni, se non centinaia d’anni, di evoluzione musicale, culturale e linguistica. Un concentrato di stili, approcci, tradizioni e influenze che solo da poco hanno raggiunto una dimensione mondiale, davvero cosmopolita. E sono oggi diventati il mezzo d’espressione principale della maggior parte dei giovani di tutto il mondo.

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Detto questo, il rap e le sue evoluzioni o degenerazioni saranno anche globali, ma l’anima appartiene saldamente alle singole varianti nazionali, regionali, ma soprattutto locali: la provincia, città, quartiere e strada, a scendere in uno sguardo sempre più personale e sempre più ristretto. Ma pur sempre, si spera, con una valenza universale. È proprio per questo che Infernvm è così significativo e importante, per quanto imperfetto.

ll rap sarà anche globale, ma l’anima appartiene saldamente alle sue varianti locali.

Perché spiega al meglio che la tradizione tutta nostrana, la nostra letteratura nazionale, la nostra lingua, il nostro stile, hanno presa e significato, e possono soprattutto contribuire a formare qui, da noi, e oggi stesso, una variante di rap sentitamente nostrano, una via del tutto italiana. Senza scimmiottare le tradizioni, e ancora di più le esperienze di vita altrui.

Sono sempre Claver e Murubutu a illustrarci il criterio da cui ripartire, in “Minosse”, dove il contrappasso per un poeta amante delle rime può assumere strane forme: “Ed io che amavo questa lingua e il modo come suona / Il suono d'ogni nota, ogni sua strofa in prosa / Lettere erette, qui elette nella dialettica / Devoto alla parola, luce dell'aurora / Sarò punito per millenni, a stare senza verbi / Ed io finito in questi inferni senza versi, lemmi e termini / Ai bordi degli inverni dello storytelling / Mentre campo, mentre canto, mendicando una parola nuova.” È quasi un manifesto, una dichiarazione di poetica e di paura per il futuro della nostra lingua e di questa musica meravigliosa, un inno in negativo che avvicina senza problemi le pagine maggiori della cronaca nera nazionale (Pietro Maso che macella i genitori) a un grande della musica italiana come Pino Daniele.

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Claver Gold Murubutu

Va però detto che appoggiarsi ai libri sacri della nostra letteratura non è l'unico modo per rispondere alla domanda "che senso ha il rap intellettuale nell'era della trap". Rappare di Dante, avere una laurea, usare riferimenti colti, probabilmente non affascinerà automaticamente chi è abituato ad ascoltare testi che parlano di snitch, impicci e bamba. Quello di cui abbiamo bisogno davvero è un confronto vivo e pulsante con la materia sanguinante della vita di tutti i giorni—e la letteratura dei nostri giorni, non solo quella di 700 anni fa.

Abbiamo bisogno di menti e penne tutte nostre che lavorino come quelle di Kendrick Lamar, che non a caso ha vinto il Pulitzer, ma anche di Ta-Nehisi Coates, uno scrittore che si è occupato tanto di rap quanto di politica e cultura, ricevuto da Barack Obama, e autore del fumetto di Black Panther. O di Thomas Chatterton Williams, autore e critico culturale che è partito dal rap per arrivare alla filosofia. Non possiamo né dobbiamo limitarci a ripescare Dante per convincere l’Autorità Costituita, i boomer e la televisione che il rap e la trap, la drill e quant’altro sono degni di nota, rispetto e attenzione. Dobbiamo reinventare musica e testi, sperimentare e rischiare davvero: elevarci. E fanculo l’autorità, di grazia.

Non possiamo né dobbiamo limitarci a ripescare Dante per convincere l’Autorità Costituita, i boomer e la televisione che il rap e la trap, la drill e quant’altro sono degni di nota.

Per tutte le ragioni elencate e i ragionamenti sin qui illustrati, Infernum è un album importante e sublime, ma non essenziale per l’evoluzione del genere. Spesso manca di variazioni stilistiche di rilievo sul fronte strettamente musicale, soprattutto sul fronte della produzione, delle basi e dell’approccio alle ritmiche e ai timbri—compreso quello vocale, nonostante il meraviglioso ringhio aggrovigliato alla voce di Murubutu, manco si trattasse del figlio illegittimo di Lou X e Kaos One.

Sono queste le variazioni che servono al rap italiano. Idee che accompagnino un contenuto denso e inconsueto verso quelle orecchie che davvero dovrebbero ascoltarsi ogni traccia e che, invece, rimarranno ben lontane da un disco monolitico vissuto come l’ennesima pallosa lezione di cui non sentono di avere bisogno. È un peccato, ma non la fine del mondo. Perché insieme possiamo sollevarci oltre il solito orizzonte conosciuto, ma senza diventare troppo artefatti, snob o adatti a pochissimi.

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