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Le copertine dei numeri già pubblicati di Frankenstein Magazine, per loro gentile concessione.
fumetti

Una rivista ad alto tasso di imprevedibilità: intervista a Frankenstein Magazine

Su Frankenstein Magazine​​ non trovi solo storie illustrate di fumettisti, e il bello è anche quello. Abbiamo parlato col team in attesa del terzo numero.

L’ambiente dell’editoria indipendente in Italia vive un periodo di grandissimo fermento. Che si tratti di grafica, illustrazione, fumetto o fotografia esistono centinaia di realtà su tutto il territorio che portano avanti un’idea di produzioni dal basso, piccole tirature totalmente autofinanziate per sperimentare e coltivare nuovi immaginari. In un periodo in cui tutti i festival si sono fermati, queste realtà continuano ad esistere, cercando nuove strade per diffondere i propri lavori.

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Frankenstein Magazine è una di queste, un magazine nato a Milano che raccoglie narrazioni per immagini di autori che provengono da mondi differenti. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con il team del magazine per farci raccontare qualcosa sul terzo numero, ordinabile online fino al 5 di maggio, e sulle prospettive future.

VICE: Ciao Frankenstein. Chi siete, da dove venite e da dove nasce l’idea di realizzare un magazine come il vostro?
Frankenstein Magazine: Ciao VICE! Siamo quattro amici, Marcello, Dario, Stefano ed Emiliano. Da molto tempo condividiamo una passione per il fumetto, anche se nessuno di noi ha una formazione legata a quel mondo, veniamo tutti da altre esperienze. Parlando ci siamo resi conto che ci legava l’esigenza di colmare quello che a noi sembrava un vuoto, dare vita a un immaginario che si allontanasse dal fumetto tradizionale per favorire approcci più liberi e da un certo punto di vista anche “scorretti”.

Quell’urgenza si è trasformata in Frankenstein Magazine, ed è simboleggiata da un cagnolino blu che si chiama, appunto, Frankenstein.

Quali sono le realtà editoriali a cui vi ispirate? Si tratta solo di realtà editoriali o anche di altro?
In generale sono tantissime le realtà che ci ispirano, molte al di fuori dell’editoria. Sicuramente ci hanno ispirato progetti underground di rottura come Frigidaire, Cannibale, Pianeta Fresco o Valvoline, ma più che la struttura o l’estetica delle riviste sono l’energia, la dirompenza e la libertà di quelle esperienze che ci hanno influenzato: sono tutte realtà che hanno operato rivoluzioni significative nel modo di concepire il linguaggio e la posizione del fumetto.

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Alle vostre raccolte partecipano autori che operano in settori diversi (per esempio grafici o tatuatori, ma non solo). Come funziona?
Molti autori che abbiamo pubblicato erano alla loro prima esperienza editoriale; altri, magari già affermati in altri campi, si sono confrontati col linguaggio del fumetto per la prima volta. A tutti chiediamo di creare una narrazione per immagini, lasciando la massima libertà interpretativa.

Coinvolgere personalità che operino in tutt’altro campo per noi è fondamentale e la cosa che ci sembra più interessante è proprio che un autore abbandoni la propria zona di comfort per mettersi alla prova con un linguaggio con cui non ha dimestichezza: ci attrae l’alto tasso di imprevedibilità che ognuno può portare all’interno del magazine.

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Dai numeri già pubblicati.

Mentre tutto si digitalizza, perché stampare?
In un mondo connotato da una fruizione di immagini veloce e superficiale, volevamo creare un “oggetto” che richiedesse un tempo di analisi per essere fruito, e che avesse anche un valore come oggetto in sé. Il digitale ci attrae sotto molti aspetti, ma ci sono sensazioni che non può restituire.

Immaginiamo che l'avere un oggetto “fisico” sia importante anche nel poterlo presentare al pubblico, è così?
È importantissimo. Il nostro progetto ha goduto prima degli effetti del passaparola che, per esempio, della comunicazione sui social. È un momento di incontro fondamentale, sia per parlare con le persone sia perché siamo molto attenti a curare ogni dettaglio dei nostri eventi di lancio. In questo senso lavoriamo perché Frankenstein sia un immaginario, prima che una rivista. In più, ci piace stare vicini a chi ci supporta: per esempio, abbiamo in più occasioni recapitato personalmente le copie a casa di chi le aveva comprate online, piuttosto che spedirle.

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Cosa dobbiamo aspettarci dal numero 3 e quali difficoltà avete incontrato nella gestione del progetto durante i due mesi di lockdown?
Di numero in numero Frankenstein Magazine cambia struttura, sperimentiamo molto anche da questo punto di vista. Il numero 3 sarà particolarmente ricco di contenuti: ci sono circa 40 autori tra già noti ed inediti, due racconti illustrati, un editoriale e uno speciale a tema erotico: storie lunghe e storie brevi. È un numero molto eterogeneo, di più di 130 pagine.

Per quanto riguarda il lockdown, stavamo lavorando alla rivista prima che iniziasse e non ci siamo voluti far trascinare dalla tentazione di sospendere ogni attività. Il primo gesto che abbiamo fatto è stato quello di mettere a disposizione, gratuitamente e online, i numeri precedenti della rivista. Poi abbiamo pensato a come poter far arrivare il nuovo numero a casa della gente, e abbiamo inaugurato una campagna di prevendita online che si chiuderà tra qualche giorno [il 5 maggio] così da avere un’idea più precisa di quante copie stampare.

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Dai numeri già pubblicati.

Il settore delle autoproduzioni è sempre in grande attività, ma spesso soffre del limite di una programmazione troppo a breve termine. Che piani avete per il futuro? Vi immaginate di rendere Frankenstein anche qualcosa di diverso, mantenendo comunque un approccio indipendente?
Rispetto ai nostri piani, diciamo che tendiamo all’infinito. Ma una programmazione vera e propria non possiamo farla: è probabile che questo progetto muti forma in soluzioni che ancora non conosciamo. Sicuramente una nostra volontà sarebbe quella di pubblicare dei volumi monografici su alcuni degli autori che stanno crescendo con noi. Alcuni pubblicano delle storie a puntate e sarebbe bello che avessero il loro compimento in un volume unico.

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In più, non escludiamo che Frankenstein possa andare al di là della carta stampata e che si possa sviluppare anche fuori dal campo editoriale. La costruzione di un immaginario per noi è la cosa più importante.

Avete dei consigli pratici da dare a chi inizia ad approcciarsi al mondo delle autoproduzioni?
Forse siamo ancora troppo “giovani” per elargire consigli, ma sicuramente gli diremmo di portare avanti fino in fondo un progetto se ci crede davvero, e di approfittare della libertà che il mondo delle autoproduzioni garantisce: quella di non scendere a compromessi e di rimanere fedeli al proprio lavoro.

BAU!

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