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Tecnologia

Il videogioco che ti chiude vivo in una stanza

Un'esperienza da Room Escape reale, sconsigliata ai claustrofobici.

Quando ho spiegato al mio genitore claustrofobico che sarei stato rinchiuso in una stanza senza finestre e costretto a risolvere un rompicapo per uscirne, la sua reazione è stata lievemente ansiosa. “Non farlo,” continuava a ripetere. “Se qualcosa va storto, chiamami.”

D'accordo. Ho problemi di peso e mi si rivolta lo stomaco solo a vedere la gente arrampicarsi sulle rocce. Ma ho dovuto fargli notare che non c'era nessun pericolo in Real Escape Game, una nuova versione ambientata a Toronto di quella tipologia di videogiochi piuttosto di nicchia ma in grande ascesa, che si ispira al sottogenere dei cosiddetti “giochi della camera chiusa”, e in particolare a The Room e 999.

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Ma questa versione è dal vivo.

Mentre solitamente i videogiochi si ispirano alla realtà, Real Escape Game si ispira alla sua versione virtuale. Originariamente ideato nel 2006 dal designer giapponese Takao Kato, il gioco che i partecipanti siano rinchiusi in una stanza, da cui dovranno fuggire trovando artefatti e utilizzandoli per risolvere un rompicapo. Si tratta di un IRL sul genere Room Escape. Kato aveva visto una sua compagna di scuola impegnata in un gioco simile sul computer, e si era chiesto come sarebbe stato poterci giocare nella vita vera.

Real Escape Game prende il design del videogame e lo applica al mondo fisico. Ma diversamente dalla versione virtuale, in questa i partecipanti devono firmare una liberatoria prima di entrare nello spazio di gioco, dovuta proprio al fatto che verranno fisicamente rinchiusi in una stanza per un'ora. Ovviamente viene subito in mente il confronto con la serie di Saw, anche se qui il peggio che può capitare è di doverla tenere per un'ora perché nella stanza non c'è il bagno. “Vivere o morire,” come dicono loro.

Nel passato, videogiochi simili di LucaArts o Sierra costringevano a individuare oggetti e risolvere indovinelli per proseguire l'avventura. Nella peggiore delle ipotesi, si finiva con il tentare di manipolare ogni singolo artefatto presente sulla scena nella speranza che ne scaturisse una risposta. In questa versione dal vivo si tratta semplicemente di frugare e agitare tutto ciò che c'è nell'ambiente di gioco, anziché trascinargli sopra il cursore e sperare.

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Prima di entrare nella “Stanza Misteriosa,” situata nella galleria d'arte del Foundry Building di Toronto, ho fatto una battuta sulla possibilità di bloccare la porta con il braccio di un manichino per evitare che si aprisse, in stile Silent Hill. Gli enigmi e le soluzioni funzionano meglio se il clue-master anticipa le intuizioni dei partecipanti senza che giungano immediatamente a una conclusione. E questo in un ambiente virtuale limitato. Prima di partecipare mi chiedevo anche in che modo un videogioco potesse essere trasferito nella realtà, dove gli script di funzione non esistono e non si può mettere il gioco in pausa.

“Siate scrupolosi” è stata una delle istruzioni su cui lo staff ha insistito di più, molto più che su “comunicate” o “non usate gli attrezzi per smontare la stanza.” Una volta entrati è partito il cronometro e i giocatori, i due quinti dei quali mi erano completamente estranei e molti dei quali si erano descritti come utenti di videogiochi durante le rispettive presentazioni, si sono sparpagliati e hanno cominciato a rastrellare e scuotere ogni oggetto, a rompere ogni scatola, libro e sedia che vedevano.

I tappeti sono stati sollevati, i tavoli rovesciati, i messaggi segreti scoperti, gli scomparti segreti esplorati. Il mio istinto sapeva che in quel portapenne semivuoto c'era qualcosa di più. I cardini malridotti delle scatole e gli strappi nei vestiti rivelavano che quegli oggetti erano stati trattati senza alcun riguardo durante la loro breve vita.

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Dopo lo scatto iniziale, molti di noi si sono concentrati su un singolo oggetto. Ci andrò piano con i dettagli, cercando di non rovinare sorprese e soluzioni, ma sappiate che da qui in poi c'è un leggero pericolo di spoiler. Siete avvertiti.

Due degli indizi trovati erano completamente innocui, funzioni della stanza talmente normali da chiedersi se dovessero veramente essere prese in considerazione ai fini della fuga. Un indizio per veri nerd era all'interno di un manga, e penso che la donna che lo ha scoperto avesse già letto quel numero di Death Note.

Detto questo, non siamo riusciti a risolvere l'indovinello e a uscire dalla stanza. Come la maggior parte dei partecipanti. Prima di noi ce l'avevano fatta solo 15 gruppi, quindi non c'è stato troppo di che vergognarsi. Ma è stato comunque frustrante, soprattutto negli ultimi dieci minuti, quando ha cominciato a suonare una musichetta di malaugurio ricordando a tutti il retaggio virtuale della situazione.

Un mio amico, Filipe, ha paragonato questi alti e bassi al contrasto tra Mist e Riven. Secondo lui nel primo Mist si può dire che gli indovinelli contengono il necessario per essere risolti, e anche se l'ambiente di gioco è estremamente astratto ti possono impegnare ma non sopraffare. Invece in Riven, il suo seguito, gli indizi sono sparsi per l'intera timeline del gioco, costringendo il giocatore a continui salti indietro in una ricerca piuttosto vaga. Gli indizi non servono a niente quando non riesci interpretarli.

Ed è stato proprio questo che ci ha sconfitti in quella stanza. Gli indizi vengono ritrovati in ordine sparso, mentre la loro utilità dipende proprio dalla gerarchia con cui vengono chiamati in causa. C'era un rompicapo “zodiacale” che sembrava incredibilmente importante, o almeno diversi oggetti nella stanza sembravano suggerirlo. Ma dopo averci perso un sacco di tempo abbiamo scoperto che la sua soluzione non era altro che l'indizio per un altro indovinello, che oltretutto avevamo già risolto. Quindi senza saperlo abbiamo fatto una vera corsa per procurarci un elemento inutile, e proprio quando il tempo stringeva.

Se alla fine sarete confusi come lo ero io, e non sarete riusciti a fuggire dalla stanza, non preoccupatevi: lo staff vi spiegherà la soluzione. Anche perché l'unico modo per uscire da lì è la chiave contenuta in quell'ultima scatola chiusa. I creatori rispondono alle lamentele spiegando che stanno imparando strada facendo a posizionare gli indizi in modo da suggerire una direzione di movimento ai partecipanti, diminuendone la confusione.

In definitiva, questo videogioco dal vivo potrebbe essere il primo di una lunga serie di giochi ispirati ad ambienti digitali. Con la realtà virtuale si potrebbero espandere all'infinito i confini delle avventure. Anziché radunare i giocatori in un vecchio salotto, si potrebbero utilizzare ambientazioni più estreme e spaventose, nelle quali la fuga diventi una necessità. Ma non solo, le stampanti 3D potrebbero trasformare un ambiente reale senza il bisogno dei costosi oculari per la realtà virtuale. Oppure scenografie e effetti digitali potrebbero collaborare a creare un maggiore realismo.

Questo autunno a Toronto ci sarà un'altra sessione di gioco, seguita da un evento a squadre che sa un po' di Survivor: All-Stars. Forse ci porterò mio padre e potremo agitarci entrambi nella stanza sigillata. Oppure potrei rimanere a guardarlo sudare quando la musichetta lugubre attacca e noi siamo ancora bloccati lì dentro.