Scappa dalla civiltà con Adele H

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Musica

Scappa dalla civiltà con Adele H

Adele H usa una loop station, il nomadismo, il Buddhismo e una vocalità corale per fare musica e scendere a patti con la società. Abbiamo parlato con lei del suo album d'esordio.

Mi sono trovata sulle tracce di Adele H—che si chiama Adele Pappalardo—praticamente dal principio. Era il 2012 e stavo seguendo piuttosto assiduamente tutte le tappe di Full Moon Saloon, una serie di concerti organizzati da Dafne Boggeri a Spazio O' durante le nottate di luna piena; all'epoca non conoscevo bene né Spazio O' né Dafne, ma mi ricordo distintamente il momento in cui mi resi conto di non riuscire a partecipare alla serata in cui avrebbe suonato Adele H. Se ne era poi sentito parlare parecchio, in una certa cerchia di addetti ai lavori milanese: era stato molto bello. Ma chi era questa Adele H? Dove stava? Che cosa faceva dal vivo? Questa storia di inseguimento di tracce continuò in momenti successivi in cui il nome e la pratica canora di Adele H emergevano randomicamente: una volta organizzava un concerto al Tramonto, una volta era per qualche mese a casa di un'amica di un'amica perché si stava trasferendo a Milano, una volta era invitata a suonare durante la stessa serata a cui dovevo suonare anche io… Non sono mai riuscita a partecipare a un suo concerto, nonostante segni della sua pratica sonora online, registrazioni "da cameretta" un po' frammentarie di brani e di cose non finite, mi coinvolgessero davvero molto. Una sera, qualche anno dopo, scoprii che era previsto un live di Adele H a Cà Blasè—luogo improbabile che non saprei descrivere se non dicendo che è una casa, che i suoi abitanti organizzavano (e organizzano? Chissà) concerti nel seminterrato—e alla richiesta di maggiori informazioni circa dove si trovasse questo luogo, la risposta era stata più o meno così: "È fuori Milano, in un quartiere di piccole palazzine nell'hinterland, avvolto nella nebbia. Se Lynch avesse saputo dell'esistenza di quel posto non avrebbe girato Twin Peaks negli States". Impegnativo o impossibile da raggiungere, avevo pensato, per poi scoprire che invece Cà Blasè sorge esattamente a due km da casa dei miei genitori, ovvero l'infausto luogo dove si è consumata la mia infanzia lynchiana. Preso un treno e la macchina dei miei, non mi sono fatta sfuggire l'occasione. Ovviamente la serata era valsa completamente il trip: Adele H sembrava una creatura sacra aliena che emette suoni fuori dal tempo, felicemente rinchiusa nello uno scantinato di una villetta in mezzo al niente, rivestito di coperte termiche argentate e lucine.

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Il video di "When the Day Is Coming to an End." Nel tempo io e Adele H ci siamo anche un po' conosciute, ma la mia primaria relazione con lei è sempre stata più simile a un soft-stalking: ho seguito la sua attività artistica da lontano e quando capitava da vicino, perdendone a tratti il tracciato, per poi ritrovarlo di tanto in tanto in modo improvviso.
Adele H ha origini bergamasche ma non l'ho mai immaginata collocata a Bergamo, nonostante il mio circuito di conoscenze bergamasche e il suo accento la confermino come personaggio locale; del resto non l'ho mai collocata veramente da nessuna parte: Adele H forse è uno dei pochi esseri umani a cui può aderire senza ironia la frichettonissima espressione "cittadina del mondo". Le sue emersioni recenti nel mio feed sono state nell'ordine: Adele H canta in una corale di musica classica, Adele H ha un video lunare per una delle sue tracce registrate, Adele H si sposa a Bergamo, Adele H è in tour negli Stati Uniti, Adele H vive un po' qui e un po' lì, e poi, tutto d'un tratto, Adele H ha messo in prevendita il suo primo album, aspetta un bambino ed è in Italia e suona a Milano settimana prossima. Ho pensato "wow" e sono andata a sentirla. Quello che ho ascoltato aveva una forma più potente e precisa, ed è qui che si ferma il mio soft-stalking e inizia l'intervista, in cui abbiamo discusso di massimi sistemi vocali, vibrazioni, buddismo, Stati Uniti, e, ovviamente, del suo primo album.

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Come è nato il progetto Adele H e perché si chiama Adele H?
Il progetto Adele H è nato durante un'estate noiosissima in cui ero sola a Milano senza amici. Molti mesi prima avevo comprato una loop station ma alla fine non l'avevo mai usata, perché dopo aver visto un concerto di tUnE-yArDs ho pensato che il suo modo di utilizzarla fosse così incredibile da rendere totalmente nonsense ogni altro tipo di utilizzo. Era un termine di paragone troppo grande, avevo del tutto accantonato l'idea. Poi, nella noia completa, ho deciso di prenderla in mano e ho cominciato a divertirmici molto, improvvisando e poi successivamente componendo, esplorando lo strumento più che potevo in sessioni lunghissime. Utilizzavo i testi di poeti morti da un tot numero di anni, quelli con i diritti di copyright decaduti: mi sembrava che anche in ambito di scrittura tanto di ottimo fosse già stato fatto quindi, perché aggiungere altre parole? Così inizialmente non scrivevo nulla di mio, ma usavo Blake, Whitman…

Il nome del progetto invece viene dal personaggio del film di Truffaut, L'histoire d'Adèle H., che mi piaceva molto. È stata una scelta un po' ingenua, bisognerebbe sempre pensarci due volte prima di prendersi un nome con un simile fardello: Adele H è un soggetto paranoico e ossessionato dall'amore, ho sentito in vari momenti che in qualche modo questo influenzasse anche le cose che mi stavano succedendo, vedevo delle similitudini inquietanti tra me e il personaggio Adele H—come si dice in latino "nomen omen"—quindi per un po' di tempo ho pensato di cambiarlo. Ora ci ho fatto decisamente pace, o forse Adele H ha fatto pace con me. Era il 2012, avevo un nome, e dopo quelle jam fatte da sola ho messo del materiale incompleto online. Dafne Boggeri, che è un'amica, le ha sentite e mi ha invitata a suonare a Full Moon Saloon, una serie di concerti che stava organizzando quell'anno da Spazio O'. Avevo già dei pezzi praticamente pronti perché ero totalmente nello strumento e avevo prodotto tantissimo, il concerto è stato super, è andato davvero bene, quindi ho capito che stavo facendo qualcosa di sensato, non stavo emulando male qualcun altro. Avrei probabilmente continuato a prescindere, anche solo per autoterapia, ma capire subito che c'era una condivisione possibile, oltre a darmi sicurezza, ha accelerato tantissimo il processo di messa a punto del progetto. In che senso autoterapia?
Lavorare con delle vibrazioni ripetitive, loop, e soprattutto nel mio caso, visto che si tratta di loop vocali, costruisce una specie di struttura intorno a chi suona, che ha delle ripercussioni positive sul corpo e sulla mente. Per intenderci, è lo stesso principio dei mantra. Appunto per questa ragione, per il tipo di materiale con cui stavo lavorando, era importante avere un riscontro esterno. Da un punto di vista interno alla mia pratica sonora, egoisticamente, non potevo che stare bene.

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Civilization è il tuo primo disco, giusto?
Prima ho fatto uscire solo un' audiocassetta autoprodotta iper lo-fi che contiene tutte le cose che non avrei mai messo in un album. Ci ero affezionata e mi piacevano, non volevo buttarle. Risale a un paio di anni fa e si chiama Offcuts, scampoli. In quel caso avevo fatto tutto da sola, dalla registrazione delle tracce a quella della cassetta, mentre Civilization è ufficialmente il mio primo disco.

Il suono di Civilization devo dire, mi ha un po' stupita. Non è iper lo-fi, affatto, ma è molto rispettoso, in termini di colore, della fantomatica "dimensione cameretta". Risuona primordiale ma non primitivo. Come è andata la registrazione? Questo sound come l'avevate pensato?
Come tanti altri artisti alla prima esperienza di produzione, ho avuto un po' di difficoltà a registrare: non riuscivo a uscire dalla sensazione di forzatura che c'è nel fermare il suono in una registrazione. Questo è anche il motivo per cui ci ho messo così tanto a far uscire un disco: volerlo veramente e trovare un momento, una situazione e una persona giusta con cui affrontare questo blocco è stato complicato. L'estate scorsa ero in Maine e lì ho due cari amici, Grant [Corum, di Psychic Sounds] e Susan: eravamo a casa loro e in modo molto spontaneo abbiamo iniziato a suonare e registrare con il multitraccia di Grant. In due giorni siamo riusciti a fare tutto, praticamente ogni traccia è il primo take o al massimo il secondo, tutto è spontaneo e imperfetto, finalmente lo trovavo convincente, mantiene un po' quel tipo di imprecisione del live. È molto caldo, Grant ha anche mixato, e tutto è stato fatto in analogico, il suono è passato da un computer solo al momento del mastering. Quando suono dal vivo adesso ho un tamburo brasiliano per la capoeira che mi ha regalato un amico, e c'è da dire che non usando altro che voce effettata e tamburo e ovviamente tutto suona un po' tribale. Grant in fase di registrazione, da questo punto di vista ci ha messo del suo: aveva a casa un po' di percussioni con cui ho sperimentato, e addirittura abbiamo un po' jammato a un certo punto. Nel futuro, parlando di strumenti, magari mi lancerò su altro, mi sta venendo una grande voglia di tastiere. Sì, tu usi tanto la voce anche in modo ritmico, non è beatbox, anche se…
No, ma il beatbox è un altro pianeta! Mi stupisco solo spesso di quanto alla fine il tutto risulti in qualche modo pop: ho degli apprezzamenti molto trasversali, anche da parte di chi non è minimamente nel mondo della musica cosiddetta sperimentale. Sarà che la centralità della voce tira fuori spontaneamente questa primordialità che un po' ci accomuna tutti, che smuove delle cose.

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Il classico effetto della corale che fa piangere.
Esatto! Tra l'altro forse dovremmo parlare del fatto che ho cantato nei Civici Cori di Milano.

…Tra di noi c'è un topic di discussione permanente circa il canto corale, quindi assolutamente, parliamone!
Quella con i Civici Cori di Milano è stata un'esperienza fondamentale per capire meglio innanzitutto il mio strumento vocale: non avevo idea di essere un soprano e mi è stato insegnato a usare la voce come un soprano, lavorandoci riesci a tirare fuori cose che non immaginavi e il mio modo di cantare è davvero cambiato. Essere parte di un coro ti obbliga anche a fare i conti con un annullamento del tuo ego in virtù di un ego collettivo: meno esprimi la tua personalità e segui il maestro, meglio la corale funziona. Essere in mezzo a ottanta voci che cantano la stessa cosa poi, è un'esperienza catartica: mi soddisfaceva talmente tanto cantare con loro per quattro ore a settimana che non sentivo quasi più l'esigenza di fare nient'altro da sola. Come ti sei trovata con il repertorio? Io ho un perenne disagio da quando sono tornata a vivere a Milano, ho sempre voluto ricominciare a cantare in una corale ma non ne ho più trovata una che faccia un repertorio che mi piaccia davvero.
Sì, questo anche è un discorso da fare: le corali più serie hanno un repertorio classico composto principalmente di musica sacra. Data la mia spontanea antipatia per il clero, è stato difficile all'inizio, poi mi ci sono parzialmente riappacificata. Con molte virgolette "cantando le lodi di dio", in qualche modo ho accettato quella valenza sacrale del canto collettivo, che va molto al di là della religione, è proprio un'altra cosa. Dopodiché sarebbe stupendo trovare una corale che faccia un repertorio di musica non sacra. Verissimo, purtroppo tutto il settore corale di "quelli che non fanno" musica sacra classica è infestato di gente che svolge sistematicamente dell'appropriazione culturale con estrema leggerezza, penso ai cori con repertori pseudo africani e soprattutto ai cori gospel…C'è un aspetto troppo pesante nell'impadronirsi quelle cose "perché sono emozionanti", senza elaborare il gesto.
Se ci pensi è un discorso che funziona anche al contrario: perché fare gospel , ancora in inglese, una lingua che ci fagocita costantemente—non ne sono minimamente immune nemmeno io, visto che canto principalmente in inglese— lasciando completamente da parte tutta la musica locale, che ne so, in latino? I madrigali di Gesualdo e Palestrina per esempio spaccano. Sarebbe bello arrivare con qualcosa di contemporaneo, soprattutto in termini di testi magari non sacri, a quel livello di intreccio vocale compositivo.

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Parlando di composizione, come ti muovi per i tuoi pezzi?
Ognuno è il risultato finale o non finito di una stratificazione, che parte in genere da uno o due loop, a cui poi aggiungo una melodia centrale. Se non avessi fatto Civilization, probabilmente i pezzi cambierebbero di continuo aggiungendo strati e combinando i precedenti a quelli nuovi. Mi capita spesso di immaginare le linee melodiche quando sono esposta ai rumori bianchi, in bici nel traffico, asciugando i capelli…so che hanno tutto un legame, parlando di primordialità, con una parte antica del nostro io, i bambini per esempio con i rumori bianchi si incantano. Non sono una fan sfegatata di white noise, diciamo che non è un suono che ricerco, ma quando ci inciampo mi fa raggiungere facilmente uno stato mentale creativo. C'è questa teoria per cui pare che i bambini appena nati si addormentino con i rumori bianchi perché assomigliano ai rimbombi dell'esterno, e ai suoni provenienti degli organi interni, che sentono nella pancia della mamma attraverso il liquido amniotico.
Quindi più che primordiale il mio sound è fetale. Benissimo. Mi sarà utile nel prossimo futuro! Parlando invece dei testi: non usi più poesie libere dal copyright ma li scrivi tu.
Sì, l'album chiude quattro anni di lavoro, e anche i testi raccontano un po' alcune questioni che li hanno segnati. Non credo andrò ancora avanti ad accumulare livelli di testo, diciamo che vedo questo congelamento in registrazione piuttosto definitivo. Sto prendendo una via un po' differente, ed è molto bello chiudere così un discorso. Questo disco esplicita una forte incazzatura nei confronti della civilizzazione, il lavoro, i pattern sociali che ci reprimono da anni di storia. C'è dentro tutta la frustrazione nel percepire una struttura che schiaccia e del non essere forti abbastanza per divincolarsi. La sto affrontando diversamente, nella vita, e questo si rispecchierà di certo anche nelle mie prossime produzioni. Sto scegliendo strategie differenti, un po' facendo pace con i miei limiti e un po' consolidando la mia struttura per non lasciarmi corrompere dalla civiltà. Non mi voglio più far abbattere e deprimermi nel sentire interiormente questa tensione anticivile, condensarla tutta in questo disco prima di fluire verso altro era molto importante. È il mio album punk di accettazione del mondo contemporaneo. C'è un discorso generazionale per me molto facile da cogliere in tutto questo. Mi sembra che segnando un punto, tu faccia una dichiarazione di crescita.
Sì, penso sia una specie di pacificazione: dopo moltissimo allenamento a dirsi delle cose e combattere con lo stimolo egocentrico che interiormente vuole prendere sempre il sopravvento, contraddicendomi e riportando ciclicamente l'ego al centro della scena, è come se avessi finalmente incluso profondamente il mio stesso pensiero, andando in modo spontaneo nella direzione che volevo prendere. Ci sono meno "alti" di entusiasmo adrenalinico, ma anche molti meno momenti di depressione nera in cui niente sembra avere futuro. Forse maturare vuole un po' dire questo, superare quella vallata oscura che mi sono trovata davanti alla fine dei miei vent'anni. Non sto più ricercando spasmodicamente le soluzioni di quella fase, gli strumenti non sono più finalmente il centro della mia ricerca, ora sento di riuscire a usarli, sono dentro di me.

Comincio a capire il tuo avvicinamento al Buddismo…
Nel momento finale della mia grande crisi esistenziale ho scoperto che esisteva il presente e che c'erano delle pratiche attuabili per ricordarsi del presente. È stata la fine del mio totale rifiuto della civilizzazione: diecimila anni fa gli esseri umani hanno iniziato a decidere di diventare stanziali e di costituire un trilione di sovrastrutture per rompersi le palle da soli. In fondo, ora, io non posso continuare a desiderare di tornare indietro, perché non si può fare, e tutto sommato, forse non sopravviverei così agiatamente e felicemente in una vita di nomadismo primitivo dopo tutti questi anni passati a vivere in una casa. Sono qui, sono presente, e sono in questa condizione. Probabilmente ho risparmiato un sacco di soldi dallo psicanalista, il Buddismo for dummies sostanzialmente si può riassumere con: "Tutti i tuoi sbatti sono creazioni della tua mente, tu in realtà stai bene perché sei vivo e sei presente". Ora che sono al sesto mese di gravidanza questo benessere non devo nemmeno più pensarlo, lo sento, e sì, probabilmente è anche tutta una questione di ormoni ed endorfine. Credo che un po' la mia calma attuale derivi anche in modo chimico dalla mia condizione, devo dire onestamente che è molto bello. Questo discorso sul presente mi fa pensare a una classica analisi pindarica che si applica ai prodotti culturali: ci si sforza spesso di relazionarli alla loro contemporaneità, anche se la contemporaneità, a differenza del presente, è una proiezione. Per te Civilization è un disco contemporaneo?
Forse no, potrebbe essere stato fatto anche vent'anni fa suppongo, ma io non posso che essere contemporanea, quindi sicuramente questo aspetto l'ho proiettato anche sul mio lavoro. Il discorso che ho sviluppato con il disco è molto personale ma molto umano in senso lato. Magari tra dieci anni mi renderò conto di quanto "suonasse 2017" ma ora come ora non saprei, sicuramente l'ipercontemporaneità non è un aspetto che ho ricercato. Prima, a proposito di sovrastrutture civilizzanti, parlavamo di colonizzazione anglofona, tu hai molte cose in comune con gli Stati Uniti in questo momento: sei incinta come Beyoncé, aspetti un bambino italo-americano, canti in inglese, hai registrato l'album nel Maine. Ti senti colonizzata?
Una prima risposta semplice è che sicuramente il mio utero è colonizzato. Un'altra risposta è che ho iniziato a diventare totalmente dipendente dalla musica da molto piccola sviluppando un'ossessione per Michael Jackson, che ho seguito e adorato in tutte le sue forme. Ho sempre ascoltato tantissima musica pop anglofona, tant'è che non riesco veramente a riconoscere alcune forme di musica locale. Prendi per esempio l'indie italiano: alla fine per quanto mi sforzi—forse non sempre troppissimo—non riesco ad interessarmene. A parte rare eccezioni, tipo Wow dei Verdena. Non lo so, o la gente sta facendo cose orribili, oppure, sì, c'è un problema di colonizzazione che mi devia verso il mondo anglofono. Ora poi io sono sposata con un cittadino americano, Buck Curran, musicista psych-folk—più americano di così si muore—, e aspettiamo questo bambino che avrà più diritti di me, che pur essendo madre di un cittadino americano non posso che recarmi negli Stati Uniti con il visto turistico o scegliere l'opzione di svenarmi economicamente fino a ottenere una Green Card. È un posto che respinge: due anni fa a Boston mi hanno tenuta per ore in una stanzetta chiedendomi la qualunque subito dopo il border control. La gente ora che c'è Trump ci polemizza facile, ma a me è successo con Obama. Ero lì in vacanza per vedere Buck, è davvero profondamente inquietante sentire che la tua vita, per nessunissima ragione plausibile, è nelle mani di qualcuno che può decidere cosa farne, anche se per un frangente molto piccolo di tempo, in modo del tutto inaspettato. In quel contesto, il mio essere "ambigua" era avere un gradiente di pelle un po' scuro del caucasico biondo. Ti bloccano e non ti danno nessuna informazione, Buck era fuori che mi aspettava e gli dicevano che dovevano decidere se deportarmi in Italia o no. Di contro, lui, essendo sposato con un cittadino europeo può stare qui, ha la tessera sanitaria, ha una serie di diritti a prescindere da chi è. I cittadini americani hanno comunque bisogno di un po' più di burocrazia rispetto ad altri anche per sposarsi, ma alla fine, l'Europa, per la mia esperienza, è molto più accogliente e aperta, con quello che poi ne consegue. Vedi perché me la prendo con la civilizzazione? Non è forse criticabile il fatto che per frequentare una persona che vive negli Stati Uniti con una certa tranquillità, io mi debba sposare? Noi siamo stati fortunati, siamo eterosessuali e ci amiamo, ma non è altrettanto semplice per tutti.

Sono molto contenta che abbiamo descritto molto poco dettagliatamente Civilization, che è acquistabile qui in digitale e da questa settimana anche in vinile. La redazione di Noisey lo ha già recensito, sono molto contenta che abbiamo potuto divagare. Adele, hai una frase ad effetto per chiudere l'intervista?
Più che altro ho uno statement riassuntivo/mantra. Quest'anno avrò tre neonati in arrivo da gestire: un fisico, uno in forma di disco e uno in forma di etichetta. Segui Elena su Twitter: @leraneacide
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