Abbiamo intervistato gli In Flames cercando di non parlare di musica
Fotografia di Patric Ullaeus.

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Musica

Abbiamo intervistato gli In Flames cercando di non parlare di musica

Sono rimasto talmente deluso dagli ultimi album di uno dei miei gruppi death metal preferiti che ho chiamato il cantante per rimproverarlo.

Parlare degli In Flames nel 2017 è difficile. Parlare con gli In Flames nel 2017 è difficilissimo. Parlare con Anders Fridén, principale responsabile della mostruosità in cui si è evoluta una delle migliori band death metal della storia, è una roba che mi fa sudare freddo, in un'irrisolvibile tensione tra tutto l'amore per ciò che c'è stato e tutto il dolore per ciò che è rimasto. Decido di giocare a carte scoperte, confessando apertamente questo mio disagio: come Anders risponde al telefono gli dico che gli In Flames sono uno dei gruppi della mia vita, ma che quello che fanno oggi io proprio non ce la faccio, ogni canzone è una pugnalata al cuore, e si sa che noi merdallari siamo sensibili. "Ahahaha, d'accordo, non preoccuparti".

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Vista la tranquillità del mio interlocutore e che dell'ultimo parto podale focomelico Battles, uscito lo scorso autunno, tutti sanno già tutto, schivo abilmente l'argomento e vado direttamente alla dimensione live, tanto cara agli uomini di Göteborg. Fridén e compagni saranno a Milano il 27 Marzo e suoneranno nientemeno che a teatro, una cosa decisamente inusuale per un gruppo abituato ai palchi di locali medio-grandi e dei festival estivi. "Era da un po' che volevamo fare qualcosa di diverso, qualcosa di più intimo, per noi, ma anche per i fan. Sarà una serata un po' improvvisata, prenderemo tutto come viene, e speriamo di far tornare tutti a casa con il sorriso; sarà un tour molto molto breve, prima di tornare sui soliti palchi." Il frontman non si sbottona, e quando lo incalzo sul contenuto della serata, chiedendo se pensano di interagire direttamente col pubblico risponde sornione: "ne sono convinto, ma non voglio rivelare i dettagli ora, sarà una sorpresa per tutti."

Questa non-risposta mi fornisce un assist per il prossimo argomento, visto che il gruppo negli ultimi anni ha decisamente puntato anche su altro rispetto alla musica: l'essere social. Un milione e trecentomila follower su Facebook, un account Twitter ufficiale e il brutto vizio di Anders in persona di farsi selfie con la folla dopo ogni fottutissimo concerto incurante degli altri artisti incazzati in attesa sono solo alcuni degli aspetti degli In Flames anni '10. Aspetti che non sfuggirono a Jeff Walker, per dirne uno, quando i suoi Carcass furono costretti a ritardare l'esibizione al Brutal Assault qualche anno fa proprio perché Anders, immancabile cappellino in testa e sorriso piacione, non la finiva più di farsi selfie a fine concerto; "Cazzo scattano foto, 'sti coglioni", fu il suo esordio al microfono in perfetto accento british appena preso possesso del palco. E insomma, tutta 'sta socialità, quanto è importante?

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Mentre ricordo l'episodio, Anders ridacchia e mi dice: "È fondamentale. Senza i nostri fan, non saremmo da nessuna parte. Io non sarei da nessuna parte. Tutto quello che faccio e che facciamo coinvolge i nostri fan, e noi dobbiamo esserci. A volte è faticoso, sai, un sacco di gente continua a chiederti ancora un'altra foto, un'altra firma, un altro saluto, e magari tu sei un po' freddo a quel punto, ma ci provi, cerchi comunque di fare del tuo meglio. E tutti per noi contano allo stesso modo, non tutto quello che facciamo può piacere a tutti, ma cerchiamo di fare del nostro meglio."

A questo punto la provocazione è dietro l'angolo e non riesco a trattenermi. Vista la filippica, mi aspetto che la band abbia voce in capitolo nella gestione dei propri canali social; non dico intervento diretto, ma almeno un qualche tipo di coinvolgimento. E qui mi casca l'asino. "Hmm… No, per quanto riguarda Facebook… No, ci sono delle persone che lavorano per noi. Ovviamente non gestirebbero mai la pagina in un modo che noi non approveremmo. Io ho il mio profilo Instagram, lì sono io al 100%, ma il profilo della band su Facebook è gestito esternamente."

A quel punto temo di aver pestato una merda e provo a spiegare che la domanda era volutamente provocatoria, ma Anders non si ferma: "Oggi il mondo è tutto sui social, cazzo, ma la verità è che quello che conta sono le interazioni personali, quando incontri qualcuno faccia a faccia. Quelli sono i momenti che contano davvero, non quando ti perdi in Instagram, Twitter, Facebook o chissà che altro."

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In realtà, oltre ad essere volutamente provocatorio (vorrei vedere voi, quando uno dei gruppi i cui album sono stati il vostro orsacchiotto di peluche per tutta l'adolescenza vi caca fuori una roba come Battles, se non avreste qualche sassolino nella scarpa), volevo arrivare all'argomento successivo. Il video di "The End", singolo apripista dell'album, è un omaggio agli FPS [First Person Shooters, i cari vecchi sparatutto] multiplayer di scuola Counterstrike, Call of Duty e compagnia, che abbinato all'internet-filia della band mi porta a una domanda esistenziale: gli In Flames sono nerd?

"Ahahaha [ride di nuovo, di gusto], cos'è un nerd per te? Che intendi di preciso?" Dai, le solite cose: siete videogiocatori, per esempio? "Sì, io amo i videogiochi, amo i film, però non è che questo mi renda un recluso o che altro, amo gli FPS, i giochi di ruolo, giochiamo a FIFA, sì giochiamo di tutto e di più. Io, poi, colleziono vinili, bottiglie di vino e di whisky, adoro i tatuaggi… Sì, probabilmente siamo nerd, sono nerd." Una patologia diffusa tra i metallari, a partire da George "Corpsegrinder" Fisher, frontman dei Cannibal Corpse, che da ormai dieci anni infila in tutti i ringraziamenti di ogni nuovo disco i ringraziamenti alla Blizzard, mamma di World of Warcraft, e un esaustivo Fuck the Alliance, hail the Horde! "Sì, sì, ne ho anche parlato con George, io però non sono particolarmente dentro al giro di WoW. Ne apprezzo l'indiscutibile livello artistico, comunque, la profondità, la community, insomma, it's cool."

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Esaurito il discorso videogiochi, giusto per non fare la figura di quello totalmente disinteressato alla musica, curioso un po' tra i progetti futuri del gruppo, che si è detto molto soddisfatto (…) del processo di creazione del recente album, registrato in California. Per la prima volta gli In Flames hanno composto e messo insieme un disco fuori dall'Europa, e il mood tutto spiagge assolate e barbecue in veranda è parte integrante del sound di Battles. La prossima volta quindi si torna da quelle parti? "Chi lo sa? Siamo molto contenti di questa esperienza, non avremmo fatto uscire il disco se non fosse stato così. Anche il team con cui abbiamo lavorato è stato fenomenale, siamo davvero felici di come è andata in California, ma non abbiamo ancora fatto nessun piano per il prossimo futuro."

Proprio il team di lavoro è il ponte per il prossimo argomento: trait d'union comune per il trio delle meraviglie di Göteborg composto da In Flames, Dark Tranquillity e At The Gates è quello di aver sempre avuto delle formazioni abbastanza stabili, più simili a nuclei familiari che a gruppi rock. Esattamente come i vicini di casa anche gli In Flames, nonostante alcuni cambiamenti radicali nei primi anni di vita, sono riusciti ad evitare avvicendamenti all'interno del gruppo per quasi vent'anni, con l'unica eccezione dell'abbandono del chitarrista e fondatore Jesper Strömblad qualche anno fa per problemi di alcolismo (ma il diretto interessato ha più recentemente sottolineato come una parte rilevante della decisione fosse anche dovuta a divergenze artistiche). Resta il fatto che i metallari di Göteborg sono tutti amici da una vita, e il recente abbandono nel giro di pochi mesi di Peter Iwers al basso e Daniel Svensson alla batteria—quest'ultimo ha addirittura ufficializzato il proprio ritiro dalle scene musicali—sia stato un fulmine a ciel sereno… O forse solo l'ennesimo segnale di stanchezza della band, i cui unici superstiti degli anni d'oro sono oggi Björn Gelotte e lo stesso Fridén. Che succede, quindi?

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"Beh, hai già risposto tu, per quasi tutta la nostra vita adulta siamo stati parte di questo progetto, e ci sono momenti in cui semplicemente ti rendi conto di voler fare qualcos'altro. Daniel ha tre figlie e una moglie, e vuole essere presente per loro, a casa, inoltre ha appena aperto il proprio birrificio, l'Odd Island Brewing. Ha scelto di fare altro che non sia l'essere parte di una band. Questa è una cosa che richiede tutta la tua attenzione, devi esserci dentro al 100%, e a volte capisci che vuoi fare altro. Con Peter è andata esattamente allo stesso modo. Non c'è nulla che tu possa dire in questi casi, quando una persona che ha dedicato tutta se stessa a qualcosa per vent'anni ti dice di voler fare qualcosa di diverso non hai alcun motivo di arrabbiarti o litigare, lo accetti e basta. Anche una persona che lavora spesso non vuole fare lo stesso lavoro tutta la vita, anzi, è più probabile che cambi e faccia un po' questo e un po' quello, e in una band non è diverso, anzi. Sei sempre lontano da casa, dalla famiglia, dagli amici, vivi in un autobus con una manica di suonati, e devi essere onesto, capire quando è il momento di dire basta."

Una risposta molto semplice e diretta, che non dà spazio ad alcuna speculazione o dietrologia, e lascia intendere come il rapporto all'interno della formazione andasse ben oltre la semplice condivisione di un palco e di un tour bus. Qual è la ricetta magica, quindi, per una lineup stabile per quasi vent'anni? L'essere cresciuti insieme può aver aiutato, o era qualcosa dovuto a degli obiettivi comuni? "In realtà io sono cresciuto insieme ai ragazzi dei Dark Tranquillity, io e Anders Jivarp eravamo letteralmente vicini di casa [Fridén canto infatti su Skydancer, primo disco dei Dark Tranquillity, e ancora oggi organizza barbecue domenicali con il suddetto Jivarp, loro batterista], gli In Flames sono venuti dopo, quando sono entrato in formazione erano già parte della scena di Göteborg. Credo che la vera ragione sia il rispetto che c'è sempre stato tra di noi, e l'amore per ciò che facciamo; non aver mai prevaricato gli altri, non essersi mai ritenuti superiori, nessuno si è mai creduto migliore degli altri per qualche ragione, e siamo tutti cresciuti insieme album dopo album. È stato un bel viaggio. Non abbiamo mai pensato di essere migliori degli altri, ci siamo sempre concentrati su di noi e siamo andati avanti giorno dopo giorno, senza curarci del resto. Non fraintendermi, ascoltiamo sempre gli altri, chi ci sta intorno, ma alla fine tutto quello che facciamo lo facciamo per noi."

In effetti, per quanto musicalmente controversa, la formazione svedese ha sempre chiarito oltre ogni dubbio come i fan siano importantissimi, ma che gli In Flames scrivono e suonano musica prima di tutto per se stessi. "Esatto, è proprio questo il punto. Comunque sia ci tengo a dirlo: vorrei che fossero ancora tutti nel gruppo. Vorrei che Jesper fosse ancora con noi, così come Daniel e Peter, e vorrei tornare in tour con loro, ma shit happens along the way, alcune cose cambiano nella vita delle persone, e si va avanti. Io voglio andare avanti, voglio ancora essere parte degli In Flames." L'ha nominato lui, quindi provo a rubare qualche altro dettaglio su Jesper: i toni al momento del suo abbandono erano piuttosto freddi da ambo le parti. Com'è la situazione oggi, quasi sette anni dopo? Ci sono possibilità che torni sui suoi passi? "Non è una cosa di cui tocchi a noi parlare, ma non penso che gli interessi. Ma chi può dirlo, in fondo. Al momento sta facendo le sue cose, è impegnato in altri progetti [Ceremonial Oath e Dimension Zero, ma entrambi i gruppi sono al palo da parecchio], quindi non saprei dirti. Non vivo più a Göteborg, quindi non ci vediamo spesso, anche se ci siamo sentiti al telefono non molto tempo fa. Con lui le cose sono andate un po' diversamente rispetto a Daniel e Peter, anche se siamo comunque in buoni rapporti e supportiamo le sue scelte, chi può dire cosa succederà in futuro."

Devo dire che la mia prima chiacchierata con Anders Fridén mi ha lasciato l'impressione di essermi confrontato con un uomo tranquillo, molto lontano dallo stereotipo della rockstar e più vicino all'uomo di mezza età con i piedi per terra e nella voce un pizzico di nostalgia. E, mia personalissima sensazione che lui si guarderà bene dal confermare mai, consapevole di aver già sparato tutte le sue cartucce migliori. Adesso basta, che poi la nostalgia viene anche a me. Battles degli In Flames è fuori ora via Nuclear Blast. La band suonerà il 27 marzo al Teatro dal Verme di Milano.

Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine.
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