Emi Lo Zio
Foto di Fabrizio Fichera, per concessione dell'intervistato.

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Tutta la verità su Emi Lo Zio

Ci ha raccontato tutta la sua vita, da quando è diventato cugino di Jake la Furia a 9 anni fino a "In Forma Con Emi Lo Zio".

Organizzarsi per prendere appuntamento per un'intervista solitamente è una cosa un po' complicata: si confrontano le agende, si cerca un momento buono per tutte le parti. Emi mi dice: "Guarda, io fino alle cinque e mezza ho una diretta a Hip Hop TV, poi ci possiamo vedere" "Ma oggi?" "Sì, oggi".

Emiliano Ronchi, noto ai più come Emi Lo Zio, è famoso principalmente come elemento della Dogo Gang, tour manager, accompagnatore e tuttofare prima dei Club Dogo e poi di altri vari progetti, non più solo legati al rap ma ormai anche per artisti del tutto lontani dal genere. Se la sua popolarità prima era ristretta ai fan più accaniti del trio, da quando è stato prodotto il reality Club Privé per MTV, Emi è diventato praticamente un personaggio a se stante, tanto che quest'anno su Hip Hop TV va in onda il programma In forma con Emi Lo Zio, di cui è il mattatore.

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Ma Emiliano è anche un mito di strada da molto prima, da quando spadroneggiava nella Milano delle piazze degli anni '90, e da quando è stato una colonna portante delle discoteche dell'epoca, gestore di serate di grande successo, quando il mondo degli zarri incominciava a mescolarsi con quello dei pettinati.

Mi dà appuntamento alle 6 in un bar di porta Venezia e arriva con l'inseparabile e amatissima moglie Deborah, in attesa del quarto figlio (Lorenzo), il cui arrivo è previsto per agosto. Al suo ingresso Emiliano annuncia con decisione "mi sto cagando addosso, prima vado al cesso e poi cominciamo". Il bar è di un vecchissimo amico della compagnia, l'argomento del giorno è il matrimonio di Vigo (il modo in cui i più intimi chiamano Jake La Furia, Francesco Vigorelli) previsto nel weekend, e Emi è decisamente a casa sua: va dietro al banco, prepara da bere, porta al tavolo gli stuzzichini e impone che ci lascino fumare dentro.

Nonostante questo suo lato decisamente estroverso, approccerà l'intervista non solo come fonte di aneddoti e divertimento, ma anche come un momento molto introspettivo e di riflessione.

Tu sei nato a Milano? Com'era la tua famiglia?
Sì. Mia madre era veneta e mio padre aveva origini pugliesi. Io nasco in una casa popolare di viale Monza, sui Navigli. Via Tofane per l'esattezza. Ultimo di sette fratelli, anzi otto, uno è morto da piccolo. Una famiglia di gente normale, mio padre faceva il ribaltista, caricava i furgoni dei giornali per la DHL, e mia madre faceva la custode. Prima avevamo il circolo Martesana, un circolo ricreativo. Prima ancora il Boschetto, dove adesso c'è lo Zelig, in viale Monza, che era la sede del Partito Comunista. Poi hanno preso il circolo Martesana, lì di fronte, dove c'era anche la nostra abitazione.

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Dopodiché la nostra casa è stata acquistata e allora mia madre si mise in lista per le case del demanio matrimonio del Comune, e da lì ci dovevamo trasferire a Niguarda. Essendo una famiglia grossa ci davano una casa della madonna, perché i metri quadri dovevano essere tanti, essendo in nove. 140 metri quadrati. Ma la casa era occupata. Mia madre, comunista vera, dice: "piuttosto che tirare fuori la gente da lì vado in mezzo alla strada", allora aspettammo un po' e ne trovarono una in Garibaldi. Ancora occupata. Alla fine, non so perché, costruiscono case popolari in via Torino, piazza del Duomo. Io son stato lì 26 anni.

In centro pieno!
Centro pieno! Però non era il centro che vediamo adesso. Era il centro pieno ma con piazza Vetra prima piazza di spaccio della Lombardia. Da dove arrivavo io, quando uscivo di casa l'unico pericolo era quello di cadere nel Naviglio - io ho buttato vari miei fratelli ma non sono mai caduto. Viale Monza nell'82, '83 era proprio periferia, conta che fino al '71 in piazzale Loreto c'era il dazio! Era fuori Milano. Mi sono trovato in pieno centro, un casino della madonna, e ho scoperto che esistevano i trans che battevano in via Torino, esisteva lo spaccio ad alti livelli.

Io sono arrivato nell'85, c'era una casa occupata da tutti siciliani in via San Sisto e, me lo ricorderò per sempre, per mandarli via gli diedero 50 milioni a testa, perché erano tutti coalizzati. E altro che sfratto, non riuscivano a mandarli via neanche con l'esercito. Era questa la situazione. Siamo andati a abitare in centro ma era più periferia della periferia! Lì ho cominciato a vedere il mondo.

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Tu sei cugino di Jake?
Acquisito. Perché abbiamo condiviso praticamente tutta l'infanzia insieme. E io e Cosimo (Gué Pequeno, N.d.R.) eravamo in classe insieme.

Ma al Parini?
No, in prima elementare! Io il Parini l'ho visto forse due volte passandoci davanti in macchina. Cosimo abitava in via San Sisto proprio, di fronte a quella casa occupata. Io abitavo in via San Maurilio e abbiamo fatto la prima elementare insieme, poi lui però ha cambiato casa e quindi ha cambiato scuola, mentre io sono andato avanti lì.

E a nove anni ho conosciuto Jake. Me lo ricorderò per sempre: io quando avevo i capelli se li facevo crescere ero tipo Caparezza, e anche lui era proprio zingaro, non c'era niente da fare. Conta che quelli del centro che avevano i soldi ci chiamavano i terremotati. Io Caparezza e con un ascesso al dente, l'ho conosciuto all'oratorio di San Vittore. Quando mi ha visto lui si mise a ridere, proprio diretto. Un po' di "che cazzo guardi", e poi da lì siam diventati amici.

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A nove anni era già che cazzo guardi?
A nove anni eravamo come a Scampia noi! A sette anni ho commesso il mio primo reato. C'era la figlia di una gioielliera, adesso siamo anche amici, che abitava di fronte a casa mia e passava in piazza Borromeo che era la piazza dove noi andavamo a giocare a calcio, tutti sporchi, orribili… E ogni volta che passava ci urlava "terremotati!". Ti ricordi che c'erano quei paletti gialli per strada a Milano? Al terzo giorno che passava e urlava "terremotati", ce n'era uno che ballava un po', io l'ho sfilato e bam! Otto punti in testa.

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Corro a casa - io quando combinavo qualcosa mi nascondevo sotto il letto, avevamo i letti a castello tipo San Vittore perché eravamo tanti figli. Mia mamma comincia "Emiliano cosa hai fatto?" "Niente! Niente!". Minchia, è arrivato il vigile a casa. "Suo figlio ha aperto la testa a una ragazza!" "Sì ma lei ha detto terremotati!" Mia madre anche se avevi ammazzato qualcuno ti difendeva sempre.

È stata una bella infanzia spinta, la mia. Con Jake ho fatto tutte le mie prime minchiate.

Le scuole le hai vissute male?
Malissimo. Fermato alla terza media. Elementari peggio che uno si possa immaginare.

Non sei mai stato un bravo bambino insomma, sin dall'inizio.
Ti spiego: io mi sono ribellato. Ero il più piccolo della famiglia e il più piccolo degli amici della palazzina che andava a giocare a calcio. E non mi facevano mai giocare. A me mi hanno reso cattivo.

Fisicamente eri già imponente?
No, ero cattivo. Ero magrissimo però cattivo. Te lo faccio dire da lui. [urla] Marco! Vieni un attimo! Lui è un mio amico di infanzia. [a Marco] Mi chiedeva da piccolo com'ero. Ero un problema.

Marco: Fisicamente era magrolino, capelli biondi, ciuffo rosso tipo Mirko dei Bee Hive, guidava il Ciao con la sella della Saltafoss e andavamo in otto sopra.

Emi: Ti ricordi? In otto da piazza Venino a Frua!

Marco: In otto! Lui era davanti che guidava e dietro tutti appesi tutti gli altri.

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Emi: Scusami: avevo 13 anni, quindi non potevo neanche guidarlo il motorino.

Marco: Già questo spiega molte cose.

Emi: Niente, quindi poi… Non trovavo lo spazio, e allora l'unica era fare il malandrino. Fare quello più duro. Anche se poi dentro non è che sei così, mia moglie te lo può dire che mi ha poi conosciuto bene, io non sono così. Però per spiccare ho dovuto, anche se poi comunque l'ho fatto anche con piacere.

Hai dovuto tirare fuori un certo carattere.
Una posizione, mi sono creato una posizione creandomi un personaggio. E poi, cazzo, ho scoperto che mi piaceva essere quello temuto. Sulle scuole stendiamo un velo pietoso. C'è questa leggenda, quando ero alle medie c'era questa professoressa di matematica che si chiamava M*****. Io essendo un pezzo di merda la mattina quando lei entrava nella sua ora, obbligavo TUTTA la classe, perché li obbligavo, a cantare "Perché la M***** è puttana, perché la M***** è puttana". Dopo qualche mese io venni sospeso per settimane e lei andò in malattia per esaurimento nervoso procurato da me.

Dopo 25 anni mio fratello Moreno, che l'ha avuta prima di me perché era un anno più avanti, la incontra: "Come va? Tutto bene? La saluta tanto mio fratello Emiliano". Lei "No no no no!" e se ne è andata! Dopo 25 anni! Che incubo ero? Era ancora traumatizzata.

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La mia infanzia non è stata bellissima anche se poi a raccontarla ti fai due risate, io comunque ho smesso di andare a scuola perché avendo una famiglia numerosa e non avendo soldi sono andato a lavorare. Ho sempre lavorato nella mia vita, anche se ho fatto un po' di minchiate il lavoro è sempre stato importante.

Deborah: Però diciamo che tua madre comunque non è che ti abbia lasciato fare, è stata una scelta tua.

Emi: Sì, sì, per mia madre è stato il dispiacere più grosso.

Deborah: Non è neanche mai andato in gita, non lo hanno mai accettato, lui non poteva andare.

Emi: Si partiva per la prima gita, piazza Sant'Ambrogio, pullman. Io tutto gasato "vado in gita": te lo giuro su chi vuoi, salgo sul pullman davanti, avevamo le mazze da golf e le palline perché dove andavamo c'era un campo. Salgo, pam, sfondo il vetro di fronte, mi fanno scendere da dietro, e non ho mai più potuto neanche avvicinarmi al pullman. Io non so cosa sono le gite scolastiche. Lo so perché l'anno scorso sono andato col mio bambino, il più grande, Francesco, perché si era rotto la gamba e allora doveva essere accompagnato. La prima gita che ho fatto l'ho fatta a trentacinque anni.

E hai cominciato a lavorare presto.
Molto presto, perché ho iniziato coi giornali con mio cognato, facendo la distribuzione la notte, caricando i furgoni. Poi ho trovato questa cosa delle discoteche e delle pubbliche relazioni dove poi ho tirato in mezzo mio cugino Jake e altri ragazzi: loro non lavoravano, quindi Jake veniva a fare la porta del privé… Poi crescendo ho cominciato coi concerti, ho fatto il concerto di Ricky Martin a Milano, l'8 e 9 maggio di tanti anni fa.

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Emi Lo Zio a Ibiza.

Parliamo del periodo delle discoteche. Tu quanti anni avevi?
Ho iniziato a 14, dai 14 ai 18. Erano gli anni 90. Ho fatto Yachting Club, sabato pomeriggio in via Carducci per i sancarlini e tutta quella serie lì: Shocking, le one night di fine anno Rolling Stone e Propaganda. A un certo punto eravamo diventati così grossi che all'inizio tu facevi il Propaganda e la concorrenza faceva il Rolling Stone, ma io sono riuscito a farli tutti e due insieme. Poi ho fatto l'Heaven in Brera. E poi facevo le stagioni estive, la Sardegna, Porto Rotondo.

La prima esperienza, andiamo, lì c'erano tutti locali come il Black Sun, il Tartarughino, molto affermati… minchia, a noi non ci conosceva nessuno. Ci danno sto locale a 7 chilometri da Porto Rotondo andando verso Porto Cervo, Le Stelle Disco Club. Però avevamo la fortuna che avevamo il mare e la piscina dentro il locale. Cazzo, andiamo, lo prendiamo a duemila lire, tutti gasati perché all'epoca si faceva il nero forte. Serate gratuite, e andava bene. Però lì devi fare sette giorni su sette, ogni giorno è sabato. Se non ti va una serata poi a fine stagione sono cazzi tuoi, e noi avevamo il problema che il lunedì non andava. Dico "che cazzo facciamo, che cazzo non facciamo", prendo Roberto Ferri che era uno dei capi e gli dico "Robi fai una cosa, mandami due o tre giorni a Ibiza, che faccio un giro, vedo che cosa c'è e capiamo cosa fare". Minchia, vado a Ibiza e torno con un cannone della schiuma: lunedì beach party festa della schiuma.
Ti giuro: toccava lasciare fuori la gente, prendere le prenotazioni, "50 biglietti, te li pago subito se no non ci fate entrare"… un disastro della Madonna, lo abbiamo fatto due anni e abbiamo fatto cagare sotto i locali su.

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E ci diedero il Black Sun, locale di punta. Eravamo riusciti a avere il locale, il ristorante, il villaggio e il bar del villaggio. Lì eravamo diventati i capi, non c'erano omaggi, si facevano un sacco di soldi. Venne a trovarmi mio cugino Jake e spese 30 milioni in due settimane da pazzo, ubriacandosi tutti i giorni. La prima sera che arriva gli dico "frate, tieni" e gli do un pacco da 100 drink, alle 11 di sera. Alle 9 del mattino c'erano mille buttafuori che cercavano di tirarlo giù da una roccia su cui si era arrampicato e ballava senza musica. Una bella esperienza.

Ovviamente nelle belle esperienze poi ci sono sempre i lati negativi, i sardi ci odiano perché tu arrivi dal continente e gli porti il cemento, e allora vogliono fare i mafiosi. Io ebbi delle esperienze con uno che era alto un metro e 21, al bar in centro ha cominciato a dire "voi non dovete venire qua", io gli andai sotto e poi lo picchiai fortissimo. Questo pezzo di merda da terra mi ha accoltellato la gamba. Ma ne sono successe tante. Comunque tutte cose che rifarei, eh. Non mi pento di niente perché comunque nella mia vita mi son divertito, ho fatto un sacco di cazzate, però ho una famiglia bellissima, quasi quattro figli, una moglie bravissima che mi sopporta.
La mia vita è un po' cambiata però, insomma, gli abbiamo dato tanto a questa vita, diciamo.
Anche dopo, con il rap, devono nascere altre quattro generazioni per pareggiare quello che abbiamo fatto noi.

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Quelli erano anche gli anni delle piazze.
Sì, io li ho vissuti proprio in pieno. Noi, in generale. Questa cosa che sto dicendo a te l'ho sempre detta a mia moglie e gliela ripeto forse due volte al mese: noi, quelli della nostra generazione, abbiamo vissuto dei passaggi che adesso i ragazzi non sanno neanche cosa vogliono dire. La piazza senza il telefonino. Se tu non andavi in piazza non andavi da nessuna parte. Te lo ricordi il teledrin? Il primo modo di comunicare: ti suonava, ti veniva fuori il numero e tu poi andavi alla cabina e telefonavi. Non puoi trasmetterle certe cose, le nuove generazioni non capiscono un cazzo, fanno l'amore su Facebook.

Le piazze erano il momento più bello della giornata, un momento di aggregazione vera. Tu parlavi con la gente, andavi a giocare a calcio: cose che non esistono più, momenti di aggregazione forte. E infatti le amicizie che si sono create, quelle forti, rimangono per sempre. C'era il contatto. Il problema è che adesso è tutto virtuale e non c'è più contatto fisico, anche fossero le sberle. Adesso sono tutti leoni da tastiera. Come disse uno dei nostri in un pezzo "La strada si fa in strada". Non puoi parlare di cose che non conosci.

Anche furti, esperienza vissuta in pieno.
Nella mia vita ho provato di tutto tranne a prenderlo nel culo e l'eroina. Sincero: io rifarei tutto, perché comunque sono tutte esperienze che mi hanno aiutato a crescere e a capire come stare al mondo e che mi hanno dato un'impronta. E ho sempre lavorato, perché per me il lavoro è una cosa importante come la famiglia.

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Ho una famiglia numerosa in un momento storico e economico gravissimo, ma io credo solo nella famiglia, non credo in Gesù, non credo nella Madonna, non credo in niente. Credo solo nella famiglia.

Dicevamo dei vari lavori.
Ho lavorato nei giornali, ho fatto le discoteche, ho avuto un locale all'Idroscalo, un ristorante e discoteca molto grosso, ho rilavorato nei giornali quando sono uscito di galera perché dovevo ripartire da zero, e poi i miei ragazzi, siamo sempre stati fratelli, quando hanno iniziato il primo giorno di carriera ci siam trovati in mezzo un po' tutti, siam partiti tutti da zero. Io facevo i giornali e li portavo ai concerti, furgone del servizio stampa, in quattro davanti.

All'inizio non era del tutto un lavoro.
Era fratellanza. Poi è diventato il mio lavoro principale. Ho fatto di tutto, fratello: ho spacciato, ho rubato. Però ho anche sempre lavorato.

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C'era anche un aspetto divertente in un certo tipo di vita.
Minchia! Una volta siccome non avevamo un furgone ci siamo caricati un motorino sulla spalla! Abbiamo fatto tutta via Torino così, con lo scooter in spalla alle quattro di mattina. Una cosa veramente assurda.

Una volta tu andavi nelle piazze dei pettinati tipo Sant'Agnese e dicevi "oh mi fai fare un giro in motorino?" il ragazzino ingenuo benestante te lo dava, tu facevi il doppione della chiave e dopo un po' andavi a prendertelo, o quando capitava.

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A un certo punto eravamo arrivati ad avere veramente il mazzo di chiavi tipo San Pietro. Una volta andiamo con Jake a Santa Margherita, arriviamo e c'è un GP grigio bellissimo, la Ferrari dei motorini, se avevi quello spaccavi tutto. Gli dico "frate c'abbiamo le chiavi qua". E poi puntini puntini.

Lì c'era la moda dei timbri, di timbrare i motorini. Praticamente tu rubavi un motorino, c'avevi il libretto regolare, facevi lo stesso numero di telaio. Mi ricordo uno ZX l'abbiamo timbrato tre volte. L'abbiamo preso, timbrato, venduto, ri rubato, ri timbrato…

E poi c'erano anche le feste a cui imbucarsi.
Era la cosa più bella! Quella secondo me era un po' un'infamata anche degli amici del festeggiato, perché comunque girava la voce che c'era 'sta festa. Me ne ricordo una in Pagano, sopra a dove c'è il Panino Giusto adesso. Festa pettinatissima, minchia, me lo ricorderò per sempre: arriviamo e c'erano le Polo Ralph Lauren, mio cugino giù e io al quinto piano che gli buttavo giù i vestiti. Piovevano queste Polo… Il bello era quello: andare alle feste da imbucati e poi rubare tutto! Bei momenti.

Poi è cominciata la crescita dei tuoi amici, e tu ci sei sempre stato.
Io son sempre stato con loro perché io devo tanto a loro. Quando loro erano partiti col primo disco, io sono stato arrestato qualche giorno prima.

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Cosa avevi fatto?
Ho sparato dei colpi di pistola fuori da una discoteca per una lite. E quella mattina, un sabato mattina, mio cugino andò in studio e registrò "Vida Loca". Io non ho neanche vissuto l'uscita del disco perché ero in galera. Quando poi sono uscito ci sono sempre stato. Fai conto che anche prima, quando facevano i primi concerti al Bulk, non avevano neanche le casse e gliele portavo io dal mio locale e gliele prestavo.

E da lì ho cominciato man mano a girare con loro, per esempio quando c'era TRL on tour, un po' anche per rispetto, perché comunque gli dovevo tanto e mi sentivo di stare con loro, aiutarli nei trasporti e nelle cose. Fai conto che tutti i primi TRL mi pagavo io il volo per andare. Poi piano piano cominciavano a avanzare 100 euro, e da lì poi è diventato un mestiere tanto che a un certo punto Don Joe, Jake e Gué mi dissero "senti, facciamo una cosa: fallo come lavoro". E ho cominciato.

Fai conto che io ho avuto la prima società di autotrasporti mia personale nel 2002, la mia prima macchina nel '97, e ho fatto la patente nel 2008. Ho girato il mondo, da tutte le parti, sempre con la patente di mio fratello che era uguale a me. Nel 2008, dopo che è venuta a mancare mia madre, mi sono sognato che lei mi diceva "guarda che devi prendere la patente", e dopo un mese avevo la patente.

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Del resto sapevi già guidare!
Minchia!

E come è stato vedere arrivare il successo? Vedere cambiare un po' tutto intorno alle persone con cui eri cresciuto.
Ti posso dire una cosa? Dopo la nascita dei miei figli è stata la cosa più bella che ho vissuto nella mia vita. Perché è cominciata dal niente, io loro li ho visti veramente collarsi i soldi per stampare i cd, li ho visti andare in posta per spedirli, li ho visti lavorare ma veramente: Don Joe faceva il commesso da Vibra Records, faceva il commesso all'Ikea, lavorava in Centrale; Gué lavorava nei call center; Jake lavorava in un'agenzia di pubblicità dove si presentava sempre in ritardo, in molti casi ubriaco… Però hanno sempre lavorato tutti, e poi si sono fatti il culo: non è una cosa che è caduta dal cielo. Ci hanno creduto e hanno rischiato, in un momento dove il rap non se lo cagava nessuno, e tutto quello che gli è arrivato e che sta continuando a arrivare se lo sono sudato. È stato veramente bello vedere tutto questo.

A parte quell'arresto hai avuto tanti problemi con la giustizia?
Mi hanno appena condannato, settimana scorsa. Un episodio successo a Noceto nel 2011 dopo un DJ set, ci sono state delle incomprensioni. Io ho sempre rispettato tutti nella mia vita però esigo rispetto. Se vuoi offendere me non me ne frega un cazzo, però se offendi le persone a me care, soprattutto mia madre, io reagisco male. Non ci ho visto più e ho reagito, ho fatto molto male, e questa cosa mi ha portato a processo. Dopo quattro udienze mi son rotto i coglioni, sono andato davanti al giudice e ho ammesso tutto, ho detto anche che lo rifarei. E son stato condannato, lo leggi anche sui giornali.

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Frate, siamo in mezzo alla strada, problemi con la giustizia possono capitare. Io ho un lavoro, però lavoro in mezzo alla strada e non da ieri, e la testa rimane sempre quella, alla base. Fino a un po' di anni fa per me l'idea di andare in galera (che poi ci sono stato solo una volta), era una cosa che mettevo in conto, che può succedere, come se ti si buca la gomma della bici: un incidente, può capitare.

Adesso non la penso più così, c'ho i figli e è cambiato tutto. Col lavoro che facciamo la provocazione è sempre alle porte, detto questo devi cercare di usare il cervello e limitare i danni, anche perché la popolarità in questo momento è così forte che la gente non vede l'ora di rovinarti, anche provocando. Nell'episodio di Noceto io sono stato provocato. Però alla fine io ho aggredito, quindi ci sta, sono io che ci sono cascato.

La strada l'ho vissuta nei momenti in cui se non portavi rispetto pigliavi gli schiaffi. Io non mi ricordo a diciott'anni di avere mai mancato di rispetto a uno di 25. Detto questo, mi fa piacere parlando del mio lavoro che tutti questi ragazzi che stanno cominciando a intraprendere una carriera, queste nuove leve, ci rispettino molto. Perché la roba del personal, della sicurezza sul palco, dopo Mauri e Nico Degni che sono gli storici di questo lavoro, quelli che hanno inventato l'accompagnamento dell'artista (portano in giro Ax e tutti, hanno il mio massimo rispetto), noi siamo andati dietro forte a questa cosa. E tutti questi ragazzi qua nuovi che comunque li vedi tutti belli spacchiusi a noi ci portano un rispetto che a me fa molto piacere, dicendo "cazzo, siete stati voi a fare questa cosa".

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Adesso ovviamente la carriera dei Dogo e il tuo lavoro hanno preso un aspetto del tutto professionale, però agli inizi c'è stato anche un elemento di grande divertimento, di cazzeggio, andare in giro. È chiaro che all'inizio puoi andare sul palco ubriaco ma quando hai un contratto non puoi fare il coglione.
Se devo dirti la verità, ovviamente negli anni la carriera diventa più importante e quindi si diventa più professionali, però io ti posso dire che noi ci divertiamo anche ora. Il nostro lavoro l'abbiamo sempre fatto e i risultati lo dimostrano, però ci divertiamo anche. E abbiamo anche inciampato, perché comunque sono successe delle cose anche dopo…

Se c'è qualche aneddoto che puoi raccontare…
Una cosa che mi ricordo: mi chiama Paola Zukar, dovevano cantare Fabri e Marra a una festa di Grillo proprio agli inizi. E io li portai. E c'era la Ross [Rossana Moro, N.d.R.], l'ufficio stampa loro. Fanno il loro, tutto bene, uscendo arriviamo verso la macchina e non potevano più rilasciare interviste, avevano già fatto. I piani erano stati presi. Erano troppi, erano stati accreditati abbastanza.

E c'era questo che non era accreditato e ha cominciato "Ah, andate col bodyguard!" Io avevo avuto un ordine. Saliamo in macchina e questo comincia a dire: "Che paura!". Io se superi il limite puoi essere chi vuoi ma dopo un po' parto. Sono sceso. Gli ho detto "Ma perché devi dire 'ste cose, vuoi litigare?" "Eh, perché? Cosa fai?" A quel punto son partito e… game over. Poi la Ross mi fece un culo! Che ancora adesso a distanza di tanti anni ne riparliamo.

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Però ci sono stati anche momenti divertenti.
Sì, alla base di tutto io sono uno che quando porta in giro un artista (ne ho portati in giro tantissimi, anche fuori dal rap, per esempio Emma) fino a quando non abbiamo finito che sei in hotel faccio il mio lavoro, però poi se ci vogliamo divertire non c'è nessun problema. Il lavoro però rimane sempre alla base, e questo mi ha dato importanza e mi fa continuare a lavorare e mi fa richiedere da altri. Porto Clementino. Ho portato Bennato, il primo ringraziamento del disco suo è Emi Lo Zio. Son tutte cose che mi han sempre fatto piacere.

Adesso anche tu, anche avendo fatto la televisione, hai una certa popolarità.
Io li ringrazio [i Dogo, N.d.R.] perché gli ho rubato tutti i follower, stando di fianco a loro! Poi c'è stato il reality nostro Club Privé: ringrazio gli amici di Club Privé che grazie a loro ho battezzato i miei due figli tutto pagato da loro [ride]. Adesso c'ho il progetto mio In forma con Emi, oggi ho pubblicato la quinta e ultima puntata della terza serie, e a fine mese iniziamo la quarta…

Però io la cosa che dico sempre è che avendo comunque [così tanto] rispetto per loro e piacendomi così tanto il mio lavoro, il mio lavoro è quello, è portarli in giro. Poi tutto il resto che viene è in più, lo faccio volentieri, mi piace. Fare In forma con Emi mi piace tantissimo. Però io giro dalle 7 del mattino alle 10 di sera In forma con Emi ma se poi alle 11 di sera abbiamo una serata io vado a fare la serata. Il mio lavoro è quello.

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Però ti fermano per strada, ti chiedono le foto.
Per questa roba qua ho dovuto cambiare due case. In Club Privé quando faccio il battesimo dei miei figli riprendono fuori dalla mia casa. Il regista disse "ma figurati Emi, chi cazzo la riconosce", e da lì invece è cominciato un incubo. Ero a Corsico, è cominciato un incubo fortissimo di gente giorno e notte davanti a casa. Solo che Deborah è sempre a casa da sola perché io sono spesso via e avevamo due bambini, e abbiam dovuto cambiar casa perché comunque si accollano. In mezzo a tanti che ti vogliono bene poi può sempre capitare il pezzo di merda.

Invece poi mi sono spostato in una cascina - senti questa - in mezzo al niente: niente, io e basta. Dico "Cazzo, amo, qua figurati chi ci trova". Andiamo a fare il cambio di residenza in comune. Io un po' tirato comunque le dico "Entra prima tu, vedi se c'è qualche ragazzino o cosa, e poi vengo anch'io" "Ma no, non c'è nessuno". Minchia entriamo, appena entro, questo: "Oh, Emi Lo Zio!" L'unica persona che c'era in tutto il comune. "Ma stai venendo a abitare qua?"

Dopo qualche giorno arriva il postino. Citofona e io esco al cancello a prendere la posta, poi ritorno e le dico "Cazzo, Deborah, mi ha guardato un po' strano, speriamo non mi abbia riconosciuto". La sera il postino scrive su tutti i social "Oh, bella Emi Lo Zio in quel di Cascina Cavoletto, grande", mettendo l'indirizzo. Il terzo giorno. Non hai capito…

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E lì una domenica mi è successo anche che scendo dal piano di sopra e mi trovo un ragazzino in casa. Era entrato proprio in casa. "Eh ho visto che abiti qua". Bello, eh, avere i fan, però casa mia è casa mia. E pensa che non sono un cantante, un artista, un VIP. Vedo Marra e gli altri, è veramente un disagio per loro.

Per i tuoi figli cosa vorresti? Una vita come la tua o più tranquilla?
Per i miei figli non voglio niente, perché gli sto dando tutto quello che io non ho avuto e che voglio per loro. Cioè abitare in campagna, non in una città di merda: con degli animali, con certi valori. Io ho l'orto, le galline, i bambini fanno l'orto. Cosa vuoi? Speri in bene. Certo è che visto quello che ho passato io non voglio neanche per un secondo che vada così anche per loro, però nella vita non puoi mai sapere. Non è che posso dire "non voglio che fumino le canne", lo speri, poi è il minore dei mali…

Quando ho fatto il figo da giovane, il primo tiro di canna che ho fumato sono arrivato a casa e mia madre mi ha detto "hai fumato". Io ho cresciuto mio nipote che adesso ha 28 anni, lui non ha mai fumato una canna non ha mai bevuto e ha vissuto i suoi zii, i casini, la galera. Sono ancora piccoli, sono bravi, sono rispettosi. Però quando hai dei figli non puoi mai dire, non lo sai. Io ho creato una famiglia perché ci credo e voglio che loro crescano bene, con tutto quello che io non ho avuto o che ho avuto poi, me lo sono creato.

Prendere una casa in centro a Milano coi miei figli non l'avrei fatto neanche se me l'avessero regalata. Ho deciso di andarmene fuori per cercare di fare capire che la vita non è quella. Io mi buttavo nelle pozzanghere, nel fango. I bambini non si sporcano più, stanno in casa. Mentre i miei figli per fortuna fanno una vita un po' più selvaggia.

Sono dieci anni che stai con la tua compagna. Siete sposati?
Sì. È stato il matrimonio più bello della vita perché eravamo a Corsico, stavamo passando davanti al comune e una mattina le ho detto "sai che c'è? Ti sposo". Siamo entrati, fatto le cose, e dopo due settimane ci siamo sposati.

Noi ci siamo conosciuti perché lei era l'assistente di Ax, dovevamo fare il video di "S.N.O.B." con lui e i Dogo. Loro non le rispondevano e allora lei mi chiamò e mi disse "Ciao, sono la Tati, sono l'assistente di Ax, dovreste presentarvi il tal giorno nel tal posto". Poi siamo andati insieme, quindi la prima volta che l'ho vista l'ho vista alla stazione centrale, con un cappellino bianco con una scritta nera fatta di merda che se la faceva un cieco la faceva meglio con scritto "Io sono la Tati". E questo cappellino, uno dei più brutti della storia mondiale, ce l'abbiamo ancora a casa!

E poi da lì da cosa nasce cosa. Quel giorno l'ho conquistata con un film di Fantozzi sul treno.
È stato molto bello. Lei è più pazza di me, l'ho sposata dopo che mi ha investito. Una notte ho pensato bene di dirle che non volevo stare più con lei. Tu la vedi così tranquilla madre di famiglia ma era più pazza di me e mi ha investito. Mi ha lesionato un rene. Io mi sono alzato per cercare di andare a prendere la pistola e spararle, ma purtroppo sono caduto perché mi aveva lesionato un rene, e da lì ho capito che la amavo alla follia.

Ma non te la racconto tutta perché ha fatto molto di peggio sempre quella sera, cercando di buttarsi dal terzo piano… Però i pazzi sono fatti per stare insieme. E adesso siamo una famiglia: sono molto contento, è la cosa che mi dà più gioia. Lei comunque per me fa tutto, io sono il quarto figlio, e quindi adesso diventerò il quinto. Io in casa sono un bambino. Vederla per come l'ho conosciuta che era matta come me, vedere un cambiamento così importante, vedere che comunque mi sta dietro anche con la salute, "Emi ma che cazzo fai"… Io gliene faccio di tutti i colori.

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Adesso ti sei dato una regolata.
Mi sono dato una regolata, poi sono risbandato e mi sto ridando una regolata. La verità è che se io non avessi incontrato lei sarei morto. Io non sarei più qui. Quando lei rimase incinta di Francesco io pesavo 140 chili, allora decisi che dovevo fare degli esami del sangue. Andai da Alexis, il dottore con cui adesso sto facendo il reality, feci gli esami e dopo un giorno e mezzo ci chiama il centro diagnostico dicendo che dovevamo andare lì subito, avevo i trigliceridi a mille e passa. Io la ringrazio perché mi ha salvato la vita. Sono sicuro che non sarei qua, per mille motivi.

Io nella vita non mi ero mai innamorato, ho avuto storie, ma l'amore non sapevo cos'era. L'unico amore che ho avuto nella mia vita, e che ho ancora anche se lei non c'è più, è mia mamma. E l'amore poi l'ho provato con lei. Il primo amore non si scorda mai e il mio primo amore è stato questo. Forse perché era più stronza di me. Non è stato facile averla. Quindi poi quando ci sono riuscito mi sono un po' ribellato, come se volessi fargliela pagare. Ma poi ho capito che era l'amore della mia vita.

Ti dico anche un'altra cosa: andando in giro coi ragazzi, bar, troie, cose… Io sono sempre stato rispettoso, io credo in quello che sto facendo: la mia famiglia e mia moglie. A me di far vedere non me ne frega un cazzo, ho già visto tutto e già fatto tutto. Non devo dimostrare niente a nessuno, anche perché l'ho già fatto.

Invece questo mi fa stare bene. Sono dimagrito, sono stato bene, sono reingrassato… Avere sempre una donna così di fianco che ti sopporta non è da tutti. Vedere la gente che fa i figli e si separa… Succede. Però per me personalmente è una cosa così lontana che non riesco a vedere la fine della mia vita senza di lei. L'unica cosa in cui ho sempre creduto è la famiglia.

Dicevi che non credi in niente, nella religione e non credi neanche nella politica?
Io nella politica ci credo. Però non in questo momento. Ho smesso di crederci un po' da quando ho smesso di avere la dottrina di mia madre, quando ancora c'erano la vera destra e la vera sinistra. Mentre adesso è un po' tutto una merda, anche se detto questo io piuttosto che votare a destra mi taglio una mano. Però mi sono trovato in difficoltà perché mia madre una cosa che ci ha sempre insegnato e ci ha sempre obbligato è andare a votare, perché diceva che era l'unico diritto che avevamo nella vita, e che lo devi sfruttare.

Io nasco in una famiglia di comunisti veri, mia madre l'ho sempre vista senza croci ma con la bandiera con la falce e il martello portata da Jake, che era il suo figlioccio. Però adesso mi viene molto difficile. Infatti c'è anche da dire che dopo il trauma della sua morte fortunatamente ho trovato l'amore e sono riuscito a farmi una famiglia, e così ho ricreduto in qualcosa - sono sicuro che se no sarei morto. Non avevo nessuno stimolo nella vita. Invece siamo qua. E dobbiamo stare qua ancora tanto, perché con quattro figli non è che posso morire domani. Devi tenere duro, forza, e andare avanti.

Federico è su Instagram: @justthatsome.

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