Sono ancora innamorata di Peter Steele, il vampiro del goth metal
Paul Bergen/Red Ferns

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Sono ancora innamorata di Peter Steele, il vampiro del goth metal

Nonostante il sessismo e le atroci fantasie violente nelle sue canzoni, il frontman dei Type O Negative rimane uno degli uomini più sexy che io abbia mai visto.

Avevo 15 anni, e insieme al mio fidanzatino dell’epoca stavo bigiando la scuola; eravamo sul divano di pelle di casa dei suoi e guardavamo Kerrang! TV. Quella è stata la prima volta che ho visto Petrus Thomas Rataczyk in vita mia, meglio noto come Peter Steele, voce e bassista del quartetto goth-metal di Brooklyn, i Type O Negative. Quasi due metri di altezza, i capelli lunghi e sciolti, perfettamente descritto da Wikipedia come un essere umano colpito ‘dall’effetto vampiro’, Peter Seele era il paradigma assoluto del diformismo sessuale, con gli occhi crudeli ma la pelle diafana, i pantaloni neri attillati da satanista e un’innocente maglia girocollo.

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La prima volta che ho intravisto Peter era nel video di “Black No. 1 (Little Miss Scare-All),” in cui il suo volto etereo entra ed esce dall’oscurità, si contorce per il desiderio e poi si scaglia con forza contro la gola pallida della povera malcapitata. E poi quella voce baritonale così profonda. "Lei ha un appuntamento a mezzanotte con Nosferatu / oh baby, Lily Munster non è nulla in confronto a te.”

Ode accorata in chiave pop-maledetto, la canzone fu scritta per una delle sue ex-fidanzate (“Era così concentrata su stessa” spiegò [Steele] a Rock Out Censorship, “che una volta mi fece tenere uno specchio davanti alla faccia perché lei potesse guardarsi mentre veniva.”) Con quelle sonorità macabre e l’odio malcelato per il genere femminile, la canzone potrebbe sembrare una semplice lista di tutte le donne che facevano la fila per fare sesso con uomini come lui. Eppure all’età di 15 anni, suonava semplicemente come una “Sheena is a punkrocker” degli anni Novanta.

La mia ossessione successiva fu “Love you to death,” una fantasia distruttiva di un amore deleterio per entrambi: “Macchie di rossetto nero / un bicchiere di vino rosso / sono il tuo servo / posso accenderti la sigaretta?” In questo caso, anche le intimidazioni più soft di Steele sono colorite da una chiara minaccia: “la bestia dentro di me ti verrà a prendere, ti prenderà.” Entrambi i pezzi furono i singoli trainanti di Bloody Kisses (1993) e October Rust (1996) rispettivamente, di cui il secondo responsabile del successo mainstream dei Type O e di Steele. Gli album precedenti, Slow, Deep and Hard nel 1991 e The Origin of the Feces nel 1992 (in cui, ricordiamo, la copertina riporta una foto dell’ano di Steele in primo piano), non avevano certo la stessa narrativa romantica problematica.

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Slow, Deep and Hard, che Steele sostiene di aver scritto in una sola notte dopo una rottura, è una fantasia violenta di vendetta, la storia di un omicidio efferato. Sin dal pezzo di apertura, "Unsuccessfully Coping With the Natural Beauty of Infidelity": “Pensavi solo al cazzo e avevi l’alito che puzzava di sperma / hai messo il diaframma prima di andare via / io pratico da ginecologo freelance / dovunque c’è un ventre, c’è una strada aperta / con te è gratis.”

E poi come dimenticare il canto poetico prima del ritornello “vacca / stronza puttana / puttana / sei una stronza / stronza.” In “Zero Tolerance” l’intento del narratore appare più chiaro: “Mentre ti guardo da quassù che ti avvinghi tutta sudata / ti metto il mio attrezzo in faccia / amico spero che lei ti sia piaciuta”.

Un po’ di organo da chiesa, e l’album si chiude con un tributo erudito all’heritage musicale delle fantasie maschiliste di revenge, con “Hey Pete,” cover di “Hey Joe.” Qui la pistola diventa un’ascia, e la “vecchia signora” una “puttana.” Va detto che Steele stesso, più tardi, rinnegherà questo pezzo: “…doveva rimanere solo una demo. Ero ubriaco e incazzato, ho scritto tutto in quattro ore […] Se dovessi rifare tutto da capo, Bloody Kisses sarebbe il mio primo album.”

Tuttavia, l’album rimane un colosso di rabbia e odio nei confronti del tradimento femminile, con testi davvero spaventosi. Allo stesso, però, è anche un disco divertente, dipinge un archetipo psicotico così ben definito da sembrare grottesco. C’è un umorismo nero che in pochi sono in grado di capire. Mi rendo conto che io stessa, da donna che vive in una società in cui la violenza misogina è ancora troppo radicata e diffusa, forse lo trovo più divertente di quello che dovrei. Tre anni prima di morire, Steele trascorse 30 giorni in carcere per aver aggredito un rivale in amore. Questo, forse, dovrebbe farci capire la natura oscura e violenta del personaggio (che a quanto dicono, firmò il contratto della band con un misto di sangue e sperma), una sorta di rappresentazione apocrifa degli stereotipi del gothic fantasy. È lo stronzo felliniano. È uno pericoloso.

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Nel suo studio sul genere e il metal del 1993, Running with the Devil, Robret Walser analizza la storia della misoginia nel metal di fine anni Ottanta, quando il pubblico femminile iniziò ad appassionarsi al genere e l’estetica della musica metal prese una direzione nuova e inattesa: “Narrativa, immagini e musica insieme rappresentavano la donna come una minaccia alla supremazia dell’uomo e in alcuni casi alla sopravvivenza del genere maschile. In queste interpretazioni, il carattere misterioso delle donne non fa che confermare il loro essere diverse, e il loro fascino è rappresenta una seria minaccia. Le fan del Metal sono quindi invitate a identificarsi con la posizione di potere che viene costruita per loro,” scrive Walser. Personalmente, trovo che questa critica sia riduttiva e non riesca a cogliere il potere liberatorio del metal, nonostante i suoi lati fortemente sessisti, e ignori del tutto lo spirito di gruppo che io stessa e molte altre ragazze trovammo nella scena metal dell’epoca.

La sua valutazione del legame tra il prototipo di femme fatale nell’immaginario metal e il pubblico femminile del genere assume ancora più rilevanza se applicata alle atmosfere sensuali del goth metal tra gli anni Novanta e i primi Duemila, rispetto a quelle che erano le band più glam dalle folte chiome su cui si basava il suo studio.

Con Bloody Kisses e October Rust, Steele abbandona la misoginia aperta e violenta dei primi dischi dei Type O per dedicarsi a forme più insidiose di sessismo. Hit come “Christian Woman” e “My Girlfriend’s Girlfriend” fanno ancora abbondante uso di stereotipi rozzi legati alla sessualità femminile e descrivono una donna-oggetto nettamente inferiore.

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Ma per me, era—ed è ancora—il personaggio brutale di Steele e il suo appeal di vampiro a rendere queste canzoni in qualche modo accettabili e liberatorie. Sono i suoi occhi verdi e tristi ad aver trasformato tutta la voglia di metal di una ragazzina adolescente goth in forza ed emancipazione. La mercificazione delle donne, così evidente in pezzi come “Christian Woman” ha una doppia interpretazione.

Nel 1995, con il supporto dell’etichetta discografica dei Type O, Steele posa senza veli per Playgirl, il magazine. “Quando [Steele] parla, la sua voce è una rivelazione intima ed eccitante, un serpente che ti raggiunge strisciando e tocca la tua libido,” queste le parole che introducono le immagini. “Il suo sguardo è potente, serio, ma cela una voglia di divertimento che riaffiora in superficie inaspettatamente.”

In modo piuttosto inaspettato quanto inusuale, Steele mostra un’immagine di sé che aspira al sublime (mentre disteso su un lato abbraccia un bouquet di fresie, o mentre tiene in equilibrio sul pacco un vassoio di candele rosse) quanto al quotidiano (tiene in braccio una ragazza in sottoveste di pizzo, o attorciglia il filo del telefono), sempre mettendo ben in evidenza la sua erezione. L’esempio perfetto di pornografica gothic, ma senza l’ironia di personaggi come Marilyn Manson, che sperimenteranno più tardi la stessa estetica.

A questa, seguirono molte altre apparizioni bizzarre di Steele sui media, anche se il frontman non farà segreto, poi, della sua immensa delusione quando scoprirà che la maggior parte dei lettori di Playgirl sono uomini. L’idea che potessero essere donne mi sembra così ingenua che non riesco ad accettarla da un uomo che ha girato il mondo come Peter.

Ora del 1999, quando ho guardato Symphony for the Devil per la prima volta, il documentario sul tour dei Type O, il mio amore per Pete era ormai cresciuto a dismisura, fino a toccare livelli inimmaginabili. A parte le riprese dei backstage della band e delle loro avventure in tour, non c’è molto altro nel film. I ragazzi della band si fanno i dispetti mentre dormono, disegnandosi svastiche addosso, le donne sono insultate per il proprio corpo e le scene di sesso sono chiaramente riprese senza alcun consenso da parte dei protagonisti. È qui che mi ricordo che i nostri eroi a volte ci deludono, ma che il desiderio va oltre il nostro controllo razionale.

Steele è morto nel 2010 per un aneurisma, aveva 48 anni. Nella parte finale di “Love You To Death,” ripete “Sono abbastanza per te? Sono all’altezza?” ammorbidendo quella voce baritonale. Un verso profondamente toccante, era la prima volta che pensavo che un uomo potesse non sentirsi all’altezza di una donna, o inferiore e impotente davanti al desiderio. Penso a tutte le volte in cui Pete è stato una sorta di tabù per me, e per tante donne. Un codice segreto e oscuro che apriva le porte a un’esperienza condivisa che solo la musica migliore può veicolare. A tutto quello che univa ognuna di noi, sotto il palco e nel backstage. Quel sorriso sui nostri volti, quella complicità, quella condivisione.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Noisey US.