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Musica

Recensione: Francesca Michielin - 2640

'2640' dà l’impressione che forse anche da noi il mainstream possa trovare la sua dimensione e non essere la copia di se stesso ad libitum.

Nel disco di Francesca Michielin ci sono due forze contrastanti che cozzano una con l’altra, come fossero due correnti, una calda e una fredda. Il risultato potrebbe essere una catastrofe, invece è una di quelle bellissime trombe d’aria che vedi in lontananza, a largo, e alla fine puoi solo goderti lo spettacolo.

La prima è il fatto che la Michielin abbia 22 anni, quasi 23. E da una parte questi 23 anni si sentono tutti — finalmente, perché non è una cosa così scontata in un disco di quella che dovrebbe essere una popstar italiana. La seconda è che il disco è permeato di nostalgia, si parla di VHS, si “critica” la discoteca, si parla della squadra di calcio di Vicenza, che nella mia testa viene associata a racconti davanti al fuoco di quando quella squadra si chiamava Lane Rossi ed era una delle più stilose da vantare al Subbuteo.

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Quello di Francesca Michielin è un percorso stranissimo, è forse l’inverso di tutti coloro i quali stanno funzionando al momento (from the bottom to the top). Nel punto d’incontro con i vari Calcutta, Paradiso e compagnia cantante 2640 trova la sua dimensione perfetta e risulta un disco piacevole all’ascolto, con pochissime sbavature. Dà l’impressione che forse anche da noi il mainstream possa trovare la sua dimensione e non essere la copia di se stesso ad libitum. La Michielin dall’etichetta che a volte potrebbe risultare nefasta di X Factor, dopo featuring con personaggi del calibro di Fedez, si sporca le mani — che detto così sembra una cosa negativa, ma vuol dire solo lavorare duramente — con l’indie, prende i punti di forza di quel duro lavoro e lo mette a suo servizio.

Ciò che ho letto in giro è “la Lorde italiana”, ma se devo essere sincero — escluso l’unico episodio in inglese, “Lava”, che forse per una sorta di campanilismo considero anche l’unico episodio non riuscito del disco — ci trovo pochissimo di Lorde, specie nei suoni, e moltissimo di Francesca, e questa è la sua forza. Uno dei pregi di 2640 è infatti la libertà a livelli di testi — tutti scritto dall’autrice, tranne una breve comparsata di Cosmo e Calcutta. La Michielin scrive un po’ il cazzo che le pare e, davvero, è una formula così semplice che sembra assurdo che a nessuno sia stata concessa questa libertà prima.

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Una menzione d’onore al pezzo che apre il disco, prodotto da Mattia Barro, che mi ha completamente rapito, complice una produzione degna di questo nome, che sembra un po’ la versione riuscita di quello che Jovanotti ha provato a realizzare con “Oh Vita”. E se una parte di me dice “non urlare troppo forte al mondo che questo disco ti piace, alla fine sei un 23enne maschio bianco etero”, dall’altra sono felice di aver premuto play su 2640 e aver riscoperto e ritrovato una Michielin in grandissima forma.

2640 è uscito il 12 gennaio per RCA.

Ascolta 2640 su Spotify:

TRACKLIST:
1. Comunicare
2. Bolivia
3. Noleggiami ancora un film
4. Io non abito al mare
5. Tropicale
6. E se c'era…
7. Scusa se non ho gli occhi azzurri
8. Vulcano
9. Due galassie
10. La Serie B
11. Tapioca
12. Lava
13. Alonso

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