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Musica

Recensione: Maroon 5 – Red Pill Blues

Un tempo erano i rapper a cercare visibilità comparendo nei pezzi delle popstar. Ora le parti si sono ribaltate, e qua ci sono Kendrick, Future ed A$AP Rocky a cercare di dare credibilità ai Maroon 5.

Ho un sospetto che il nuovo album dei Maroon 5, in fondo, sia solo una scusa per far grattare due soldi ai rapper coinvolti nel progetto. Perché ci troviamo di fronte niente di più che la solita roba, da parte di Adam Levine & i tizi incogniti che suonano con lui—cioè una serie di nuovi grandi successi pop che andrà a fare felici i tizi che si occupano di scegliere la musica per le pubblicità delle compagnie telefoniche. Perché in fondo è questo quello che i Maroon 5 fanno: canzoni pop così perfette da suonare senz'anima, pronte a essere adorate da masse informi che non hanno bisogno di nulla se non di una bella melodia.

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Vi eviterei quindi una serie di battutine su come i pezzi di Levine siano solo della tappezzeria sonora, e mi concentrerei sui momenti più interessanti di questo Red Pill Blues—le sue collaborazioni con gente che viene dalla cultura hip-hop, come dicevo sopra. Mettere qualche barra sui singoloni è una delle pratiche più comuni nel mondo del pop, ma se un tempo le voci coinvolte in queste operazioni erano più che altro gente che aveva già dato tutto quello che aveva da dare e viveva cercando di vivere di luce rifratta (Ludacris su "Baby" di Bieber, Juicy J su "Dark Horse" di Katy Perry), oggi le parti in gioco si sono ribaltate. Sono le popstar, infatti, a cercare di coinvolgere rapper nelle loro cose, cercando così di coinvolgere l'enorme fetta di pubblico affezionato all'hip-hop che, con buona pace del poptimism, se ne frega altamente di quello che passa per radio.

E così su Red Pill Blues ci sono A$AP Rocky che sputa parole su una ballatina innocua per piano e sintetizzatori ("Whiskey"), Kendrick Lamar che cerca di dare un senso a una base EDM di maniera ("Don't Wanna Know"), Future che fa il preso bene sui chitarrini iperprodotti ("Cold") ed SZA che si rivela in tutto il suo potenziale pop su un pezzo facilone con gli ooh-ooh-ooh ("What Lovers Do"). A nessuno di loro torna niente, in credibilità artistica o pubblico, a comparire su questo album. Gliene torna in royalties e connessioni, sicuramente. Ma sono solo Levine e compagni a godere della loro presenza, presentandoli—giustamente—come forze pop riconosciute.

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È questo l'unico merito di Red Pill Blues. Per il resto, c'è Levine che fa il verso a The Weeknd cercando disperatamente di essere sexy ("Lips on You"), Levine che prova a fare il crooner R&B alla Post Malone ("Wait"), Levine che si cala nei panni di Dev Hynes dimostrando che Blood Orange, se presentato a un pubblico diverso, potrebbe benissimo sfondare ("Best 4 U"). E un bel po' di noia.

Red Pill Blues è uscito il 3 novembre per Interscope/Universal.

Ascolta Red Pill Blues su Spotify (se proprio devi):

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