CRLN e il coraggio dell'insicurezza
Foto di Ciro Galluccio, per gentile concessione di CRLN.

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Musica

CRLN e il coraggio dell'insicurezza

Abbiamo parlato con la nuova promessa del pop elettronico italiano del suo nuovo album 'Precipitazioni', di terremoti, pioggia e di quando era una giovane stalker di produttori.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Quando incontro Carolina, che poi sarebbe CRLN (ma si legge Caroline per un tocco internazionale), ho immediatamente la sensazione di trovarmi davanti a una persona piena di sfaccettature: quando mi chiede che cosa ne penso del suo album gli occhi tradiscono una certa insicurezza, ma quando mi racconta che è venuta a farsi intervistare nonostante la febbre a 39° capisco che è un'artista determinata, forte e dall'insaziabile voglia di esprimersi.

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Questa personalità emerge anche ascoltando Precipitazioni, il suo primo album (che segue un EP di debutto uscito per Macro Beats nel 2016). In questo LP la 25enne di San Benedetto del Tronto elabora il trauma del terremoto di agosto 2016, che l'ha colpita da vicino. E la prima cosa che salta all'orecchio ascoltando canzoni come "Blu", "Ho perso il conto" e "Precipitazioni" è proprio una disarmante sincerità e un bisogno di parlare dal cuore di quello che non va. Proprio nella title track trovo la miglior metafora per descrivere il contrasto tra la voce fragile e delicata di CRLN e le strumentali che ha composto insieme ad Alberto Brutti, con l'aiuto di Gheesa e Macro Marco: una pioggia sottile che cade sopra un paesaggio deserto scosso da vibrazioni profonde.

Ma in Precipitazioni c'è spazio anche per la speranza e la presa bene, non facciamoci prendere dal panico: "Ballando controvento" con il suo beat latineggiante fa risvegliare anche un vecchio brontolone come il sottoscritto, "Ritorno a casa" distende su archi pitchati e suoni HD metafore di rinascita primaverile, "Con tutti i miei difetti" riflette senza filtri sul processo di crescita, di distacco, verso l'età adulta, con un devastante ritornello che recita "Mi basto io".

Non ho citato il singolo "Da capo" con il featuring di Dutch Nazari perché, come è lecito aspettarsi da un singolo, è la traccia più immediata ma anche la più superficiale, che nonostante sia un pezzo pop che funziona da dio in qualunque playlist si voglia inviare al proprio o alla propria partner, non fotografa sicuramente la profondità dell'album intero.

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Ma ora basta fare il critico musicale, anche perché rispetto alle mie elucubrazioni è molto più interessante leggere l'intervista che Carolina mi ha rilasciato qua nei nostri uffici, febbricitante e umile ma per nulla timida, in cui abbiamo parlato dei suoi inizi come stalker di produttori italiani, delle donne dell'itpop e di quando faceva le cover su YouTube.

Noisey: Questo è il tuo primo album, l’hai composto tutto da sola?
CRLN: No, le strumentali sono di Alberto Brutti, ci abbiamo lavorato insieme. Lui suona il contrabbasso, il pianoforte e fa anche il producer, abita a Roma quindi abbiamo avuto la possibilità di vederci molto spesso, perché io ho studiato a Roma. Quindi il disco non è tutto elettronico, ci sono diverse parti suonate: gli archi su “In un mare di niente” sono tutti strati di contrabbasso pitchato. Ci siamo divertiti a sperimentare mescolando elettronica e strumenti acustici.

E com’è stato il processo di scrittura? Avevi in mente un album quando hai composto le canzoni o si è trattato più di lavori che si sono accumulati nel tempo?
Sono tutte canzoni a sé stanti che ho composto nel corso di due anni. Anzi, un anno in realtà, perché l’album sarebbe dovuto uscire un anno prima. Solo che poi nel 2016 c’è stato il terremoto dalle mie parti, e questo ha avuto un forte impatto emotivo su di me, e ha anche influenzato la scrittura del disco. Ma è stata un’arma a doppio taglio, perché da una parte si è rallentato il disco, ma dall’altra mi ha aiutato a scrivere cose più sentite.

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Ad esempio?
Ad esempio il terzo pezzo, “Ho perso il conto”, è il primo che ho scritto dopo un anno di silenzio, e parla proprio di questo anno intero passato ferma, in silenzio, non solo dal punto di vista artistico. Se uso la parola "depressione" poi la psicologa mi rimprovera, però è il modo più comodo per descrivere quello che mi è successo. È stato un periodo molto duro: tra il fatto che avevo lasciato Roma per scrivere la tesi e a San Benedetto non avevo più molti svaghi o amicizie e il terremoto che mi ha portato via alcune persone care e… tra l’altro ho passato molti anni dell’infanzia ad Amatrice quindi anche i miei ricordi di bambina sono crollati.

Sei più tornata ad Amatrice?
No, non ho il coraggio. I miei zii avevano la casa proprio in centro.

Anche gli altri pezzi sembrano avere un sentimento di distacco, di qualcosa che si rompe dentro…
Sì, “Ho perso il conto” è stata l’inizio, poi per esempio c’è stata “Precipitazioni”, scritta guardando la pioggia in questo contesto molto negativo… poi io sono una che piange molto, è proprio il mio modo di sfogarmi.

Comunque al di là del massiccio uso di elettronica nel disco, in “Blu” spunta anche un bell’arpeggio di chitarra acustica…
Tutto quello che non sono archi e pianoforte è sampling e produzione, però su quel pezzo c’è stato un processo particolare… Perché ultimamente, a parte i soliti Bonobo, Shlomo eccetera, che sono i nostri fari, abbiamo deciso di ascoltare anche più cose italiane, per capire un po’ meglio il contesto in cui alla fine rientro anch’io. Quindi abbiamo riascoltato per bene cose come i Subsonica e i Verdena, che ci hanno ispirato tantissimo. In “Blu” i Subsonica si sentono tantissimo secondo me. Poi nel resto dell’album abbiamo fatto davvero quello che ci pareva, in totale libertà.

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Senti, lo so che adesso mi odierai, ma vorrei parlare un attimo di itpop…
Lo sapevo. Ma io non seguo molto quella roba, infatti ho dovuto chiedere a Nicola Togni [a.k.a. Enne], che ha scritto il testo di “Fragile”, di spiegarmi bene che cosa fosse così non avrei fatto brutta figura nelle interviste. Quindi, ho capito che è una specie di versione “radiofonica” dell’indie italiano, e mi è stato chiesto se mi ci riconosco… Ma a me non piacciono molto le etichette. Pensa che c’è chi dice che faccio soul…

Ti rivelo un segreto del mestiere: scrivere che fai soul a volte è solo un modo per dire che hai una bella voce.
Può essere! [Ride] Comunque se proprio dovessi definirmi con un genere direi senza dubbio pop elettronico, quindi non so, canto in italiano quindi magari è itpop. Non so. In effetti il brano con Dutch è finito nella classifica Indie Italia di Spotify. Forse quel brano è più itpop. Però io l’album non lo definirei così.

crln precipitazioni intervista noisey vice

CRLN nella redazione di VICE Italia. Foto di Vincenzo Ligresti.

Infatti la differenza più evidente che c’è tra te e il resto della scena itpop è che tu sei donna. Quindi lo so che a ogni artista dà fastidio farsi etichettare in un genere, soprattutto se è appena nato, ma mi piace l’idea di chiamarti artista itpop perché almeno le quote rosa del genere aumentano un pochino.
In effetti in questo caso potrei accettarlo, anche se comunque rimango dell’idea che la mia musica abbia radici un po’ diverse, forse guarda di più all’estero rispetto a gran parte dell’itpop.

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Però hai detto che siete tornati un po’ indietro all’Italia anni Novanta…
Un po’ è stato perché mi dicevano che assomigliavo a Meg! Io non sento tanto la somiglianza, tra l'altro lei non mi piace neanche molto, però ho pensato di ascoltare un po’ di cose di quel periodo, e Subsonica e Verdena sono assolutamente intoccabili per me. Anche a livello di testi sono stati una grande ispirazione.

Ma tu con che musica sei cresciuta? Eri una nerd di un genere specifico come me o eri più eclettica?
No, nerd non direi! Ho attraversato tanti periodi, quello rock, quello punk… dai Queens of the Stone Age ai Sex Pistols, passando per cose italiane come Perturbazione, Ministri.

E quando hai deciso di iniziare a fare musica?
Ho deciso di mettermi a fare musica mia dopo un periodo un po’ strano in cui avevo un canale YouTube e facevo delle cover, stile Asia Ghergo [ride]. Ero davvero ossessionata, mi chiudevo in camera e facevo solo quello (a parte studiare). Dopodiché ho scoperto che Macro Marco, il produttore di Macro Beats, era il mio vicino di casa a Roma. La storia è stata davvero assurda, perché praticamente io l’ho pedinato…

Ma come l’hai pedinato?!
No, nel senso che ero andata a un concerto di Mecna nella speranza di incontrarlo, perché volevo dirgli che la sua etichetta era la mia preferita, fargli i complimenti, cose così. E così abbiamo parlato cinque minuti e lui mi dice: “domani sarò in questo bar, se vuoi passa” e io faccio: “ah ma quel bar è dietro casa mia!” e lui: “è anche dietro casa mia!”, e così abbiamo scoperto che abitavamo praticamente nello stesso palazzo, solo due scale diverse. Da quel momento è iniziato tutto, perché lui mi ha proposto di fare un EP e io non vedevo l’ora, ovviamente.

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Allora, hai registrato il primo EP e poi che cosa hai fatto?
Poi è andato tutto sempre meglio, nel senso che sono entrata subito in Radar Concerti e ho avuto l’opportunità di suonare tantissimo in giro e aprire per gente come JMSN e Yumi Zouma e ci siamo divertiti un sacco. Siamo stati anche all'AMA Festival nella stessa sera dei Foals, forte.

Visto che prima lamentavo la mancanza di donne nella musica italiana, vorrei riflettere con te su quello che mi ha detto Kim Deal nell’intervista che mi ha rilasciato il mese scorso. In pratica mi ha detto che si arrabbia quando i giornalisti le parlano di “forza delle donne per farsi vedere sulla scena”, perché dice che le donne fanno musica esattamente quanto gli uomini, è la scena che deve avere la “forza” di vederle e riconoscere il loro lavoro. Ovvero, tu e le tue colleghe siete lì, sono io che vi devo intervistare. E infatti eccomi qui.
Sai, di questo argomento non parlo mai con nessuno. Ho tante amiche che fanno musica, tipo recentemente ho suonato con L I M, LNDFK, Birthh… non abbiamo mai parlato di questa cosa. Io, personalmente, non ci faccio molto caso. Nel senso che vedo tanti artisti maschi, tante ragazzine che vanno dietro agli artisti maschi, è una storia che si ripete da sempre. Però non credo che siamo penalizzate per il nostro genere, per fortuna.

Questo è il tuo primo album, sei giovane e piena di belle speranze. Quali sono le tue ambizioni? Che cosa sognavi quando registravi le cover in cameretta?
In realtà la situazione delle cover su YouTube è molto diversa da, non so, quando suoni con la tua band in garage. Perché hai un feedback immediato, ma che resta un po’ distaccato, anche se ti dicono che fai schifo non ti tocca più di tanto. A me piaceva, però è una situazione a zero rischi. Mi piace anche fare i live, ma io sono una persona che si prende un sacco male, sono ansiosa, quindi è stata dura uscire dalla cameretta e iniziare a guardare in faccia le persone. Perché tu sei lì che suoni e ti chiedi “gli piace o non gli piace?”. C’è stato un periodo in cui ho dovuto proprio assestarmi psicologicamente perché non riuscivo a entrare in questa cosa. Però non ho mai avuto ambizioni particolari, cerco solo di fare quello che mi va e sono felice. Spero solo che l’album piaccia a più gente possibile e ci si ritrovi.

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