julien baker live
Fotografia di Nolan Knight

FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

Com'è convivere con ansia e depressione quando fai la musicista

Abbiamo incontrato a Milano Julien Baker, che combatte ansia e depressione da quando ha cominciato a fare musica, e abbiamo capito che emo, punk e hip-hop non sono così lontani.

"Vorrei riuscire a scrivere canzoni che parlino di qualcosa che non sia la morte", canta un filo di ragazza con la faccia rossa in un'aula devastata. Dice di essere una maratoneta, ma anche che si è slogata la caviglia. Fuma, ma le fa schifo e si sente i polmoni pesanti. Lo fa con una voce che è poco più di un sussurro, aiutata da due timidi coretti e una chitarra soffice. Lo fa per due minuti e poi basta.

Pubblicità

Quella ragazza l'hanno vista settecentomila volte, anche un po' di più. Si chiama Julien Baker ed è nel video di "Sprained Ankle", il pezzo che l'ha resa famosa. Alla fine è riuscita a fare canzoni che non parlano solo di morte, ma la fine è un sottotesto costante della sua musica: della propria salute fisica e mentale, di un'amicizia o di un amore.

Non è scontato, in Italia, trovare musicisti che parlino di sé senza una qualche forma di filtro. Che si tratti di pop, itpop o cantautorato, le nostre voci narranti sembrano evitare di scoprire all'ascoltatore le zone più dolorose del loro intimo. Sono istrioni, stramboni, innamoratissimi, maschere, presi male ma un po' bohemien, maschi alfa, femmine forti. E allora l'ascoltatore bisognoso di sfumature e nervi scoperti che non voglia rivolgersi alle scene punk, emo, hardcore o rap resta quasi a bocca asciutta. A meno che non sappia l'inglese e si diriga verso artiste come Julien, ovviamente.

Al Circolo Ohibò di Milano c'è pieno di gente che in Julien si è specchiata. Quando sale sul palco ed esegue "Sprained Ankle" il viso le si illumina non appena si rende conto che tutte le persone che ha davanti la stanno cantando insieme a lei. Uniti da una semplice idea: è ok essere ansiosi, è ok essere depressi, è ok condividerlo, possiamo stare bene. Perché Julien fa la musicista professionista grazie e nonostante sé stessa.

"Ho sempre sofferto d'ansia e mi sono stati diagnosticati dei problemi di salute mentale", mi spiega. "È un'enorme parte di me che influenza ogni ambito della mia vita. Me ne sono accorta in modo particolarmente forte all'università. È assurdo quanto la tua mente riesca a controllare tutto, al punto da farti stare male fisicamente. C'è questo splendido libro intitolato Il corpo accusa il colpo che parla del modo in cui i traumi e l'ansia influiscono sulla nostra salute. Ho avuto problemi di stomaco, il mio metabolismo ha cominciato a deperire, e il tutto perché non mi stavo prendendo cura della mia salute mentale. Quando ho cominciato a farlo ho cominciato a sentirmi più sana anche a livello fisico."

Pubblicità

Questa fragilità fisica traspare dalla "caviglia slogata" da cui abbiamo cominciato, aleggia sull'intera opera della prima Julien. In "Brittle Boned" racconta di un'operazione subita, sforzandosi a credere alle infermiere che le dicono che "non farà male" nonostante lei "sia così brava a farsi male da sola". In "Vessels" descrive l'ansia di un amore traballante tramite immagini fisiche: aria pesante nei polmoni, ginocchia spellate, lo scheletro come "casa per gli occhi".

julien baker

Fotografia di Nolan Knight

"Una cosa che mi ha aiutata a sentirmi a mio agio a far uscire certe parti di me stessa, a essere così trasparente, è stato sentirlo fare dagli artisti che ascoltavo crescendo", racconta. "Ricordo ancora quando ascoltai per la prima volta hardcore, da piccola. Sentii il cantante urlare e pensai, 'Ecco, mi piacerebbe poterlo fare anch'io'. Ho sempre teso, forse per pressioni sociali, a tenermi dentro tutto. E sentire qualcuno gridare la propria sfiducia, rabbia o tristezza mi ha fatta rendere conto di come la musica potesse essere un tramite, più che un fine. È stato l'inizio della mia ossessione per la musica, e sono sempre andata a cercare artisti che non avevano paura a mostrarsi vulnerabili, a condividere il loro passato e il loro privato. Quindi quando ho cominciato a scrivere mi è venuto naturale fare lo stesso. Non sono mai riuscita a scrivere finzione. L'unica cosa di cui riesco a parlare è la mia vita".

Julien cita, al di fuori dalle scene hardcore e screamo, dischi come Transatlanticism e We Have The Facts And We're Voting Yes dei Death Cab For Cutie, e una canzone come "Options" dei Pedro The Lion: "Una canzone che tuttora mi fa venire i brividi. Soprattutto nel finale: 'So I told her I loved her / And she told me she loved me / And I mostly believed her / And she mostly believed me'. Il tutto cantato come se fosse poco più di un respiro".

Pubblicità

Julien continua: "Non mi sono resa conto immediatamente di quello che stavo insinuando su me stessa nelle canzoni finché non mi sono trovata a cantarle in pubblico venti, trenta, quaranta volte di fila. 'Perché sto dicendo queste cose su di me? Devo stare più attenta', mi sono detta. Non 'attenta' nel senso che non dovrei dire certe cose, ma essere conscia della fonte dei miei sentimenti. Quindi scrivendo [il mio secondo album] Turn Out The Lights mi capitava di arrivare a metà canzone, fermarmi e interrogarmi su quello che avevo fatto. E per me è diverso, perché sono riuscita a inserire anche i miei amici e i loro sentimenti e pensieri nel mio discorso".

E ancora: "Ci sono canzoni, come 'Appointments' o 'Turn Out The Lights', che mi sembrano tuttora tappe di un percorso che mi deve portare a essere più comprensiva con me stessa. A rendermi conto che non sono un fardello, che la mia persona e la mia mente non sono un'imposizione, anche se a volte è esattamente così che mi sento". Gli "Appuntamenti" sono quelli con uno psicologo, quelli che il destinatario della canzone le chiede di rispettare e che lei continua a mancare. Convinta di potercela fare da sola, sì, ma solo fino alla fine del pezzo: "Se sbaglierò di nuovo / E tu sarai ancora lì ad ascoltarmi / Forse alla fine tutto andrà bene / Oppure no, so che non andrà bene, ma devo credere che possa succedere".

Ma come ha fatto Julien a far convivere una scrittura così intima e dolorosa con la sua esplicitazione, sottolineatura, esposizione costante richiesta da una carriera come musicista professionista? "Su Sprained Ankle ci sono solo canzoni che ho scritto per me stessa, da sola, nella mia stanza. Quindi sono uscite cose un po' più diaristiche ed eseguirle dal vivo è stato strano, spaventoso. Esibirmi mi fa ancora paura. Prima che [la violoncellista] Camille Faulkner cominciasse a suonare con me non avevo nessuno da guardare, qualcuno a cui affidarmi se le cose fossero andate male. Perché è un pensiero costante: può succedere qualcosa con la tua chitarra, puoi avere una serata storta. Quindi ho cominciato a guardare molto più spesso il pubblico e ogni sera mi concentro su chi ho di fronte, cerco di capire se si sta creando una connessione con loro e faccio il possibile per costruirla. Perché è questo il senso del fare e ascoltare musica. Quindi ora invece di sentirmi isolata o sola penso a quello che prova il pubblico, come se fossimo la stessa cosa".

Pubblicità

Julien è arrivata, oggi, a un punto di svolta nella sua carriera. Ha fondato un nuovo gruppo insieme a due amiche e colleghe, le cantautrici Lucy Dacus e Phoebe Bridgers. Insieme si chiamano boygenius e hanno fatto un EP che unisce le loro parti migliori condensandole in un pugno allo stomaco le cui cinque dita sono emo, indie rock, intimità, sentimento, coralità. Ma la band esiste perché Julian sta meglio o è la band ad aver fatto stare meglio Julien? "È che ho sempre teso a isolarmi e a cercare di avere il controllo su ogni cosa. Ma penso che per stare meglio bisogna in parte aprirsi, comunicare e condividere ciò che hai dentro e quella che sei con altri persone".

E ancora: "Ho cominciato a rendermi conto che non potevo andare avanti per sempre a cantare canzoni su me stessa, da sola, sul palco. Forse aggiungere membri a ciò che faccio sarebbe stato il modo più semplice, ma appena è nata l'opportunità di fare qualcosa con Phoebe e Lucy mi ci sono lanciata. Penso che sia sempre meglio collaborare e moltiplicare le voci, in qualsiasi ambito della vita. Abbiamo quasi la stessa età, siamo più o meno allo stesso punto della nostra carriera, siamo entrambe ragazze che si stanno facendo strada nel mondo della musica e quindi abbiamo condiviso le stesse sfide ed esperienze. Ma le nostre personalità sono proprio simili, tendiamo tutte a rinchiuderci nei nostri pensieri. Ma tra di noi riusciamo ad aprirci e a costruire rapporti aperti".

Prima di salutare Julien le chiedo che cosa ne pensa del fatto che il rap si sia appropriato dei modi e dei suoni dell'emo. Ancor prima che termini la domanda lei se ne esce con un enorme "Love it". E poi comincia, dicendomi che parla sempre di queste cose sul tour bus senza grande successo: "Penso che l'hip-hop stia assumendo la stessa posizione che un tempo era occupata dalle scene hardcore e punk, e che l'emo ha occupato per un periodo. Se prendi l'emo, lo scomponi e tiri via tutte le componenti sonore - il suono delle chitarre, le voci nasali - che cosa resta? Musica contro-culturale, che non nasce per essere mainstream, prodotta da una comunità che si è costruita una modalità di condivisione al di fuori dai canali istituzionali. SoundCloud e il modo in cui il rap e l'hip-hop vengono condivisi, in questi abissi sconosciuti ai media generalisti, mi ricordano un po' le zine e le cassette venivano fatte girare nella scena hardcore".

julien baker

Fotografia di Nolan Knight

E fin qua d'accordo. Ma che cosa ne pensa, invece, del rapporto tra giovani rapper e salute mentale, della mitizzazione dello Xanax, del sottotesto di abusi che macchia le reputazioni di artisti come XXXTentacion? "Lui è un'altra storia. Una volta che sono venuta a sapere delle accuse nei suoi confronti non sono più riuscita ad ascoltarlo. Quando ho sentito Lil Peep la prima volta mi è piaciuto molto, ma ho un problema - a parte quello che gli è successo, che è stata una tragedia - ci sono state un sacco di persone che lo conoscevano, sapevano quello che faceva e ascoltavano le sue canzoni. Ma nessuno è riuscito a intervenire".

Julien conclude: "Di Lil Xan neanche ti parlo, con un nome così… mi piace molto Denzel Curry, però, perché evidenzia quanto questa cultura sia distruttiva. In 'Percs' dice "Perché ti ficchi tutta quella roba in corpo?" Penso sia enorme che qualcuno si renda conto che non è una cosa figa da fare o che, come canta, 'Non è cambiato niente da quando Peep è morto'. Perché la cultura hip-hop non ha dato una risposta? Ci sono momenti di luce e momenti di buio, come la vicenda di X. Ma non è niente di nuovo, continuando il paragone con la scena emo e pop punk: ci sono un sacco di band composto da cinque tizi bianchi che invitano ragazzine sul loro bus per fare chissà cosa. È un problema sociale condiviso da tutti i generi". Segui Noisey su Instagram e su Facebook.