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Quello che le neo-donne non dicono

Come si cambia sesso in Italia, chi lo fa e cosa comporta? Ne abbiamo parlato con Antonia, transessuale ex-quasi-internata al manicomio, ex prostituta, consulente e militante contro la discriminazione.

Antonia Monopoli nel suo studio presso lo sportello Trans della ALA Milano Onlus.

Qualche giorno fa un amico mi ha annunciato che presto al suo posto avrò un'amica, riempiendomi di punti interrogativi sul come, in corpore et anima, e in Italia, si diventi una donna quando si è nati uomini. Straziato dalle mie domande, mi ha consigliato di rivolgerle a The Boss, Antonia Monopoli, che sta aiutando lui e molti altri/e/etc nel percorso di transizione.

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Sebbene non sopporti il termine "donna con le palle", soprattutto perché trovo così bello che siano le tette a fare la donna forte, per chi altro potrei usare questo appellativo? Antonia è una sorta di guida spirituale per molti di quelli che si mettono in marcia verso l'altro, una transessuale ex-quasi-internata al manicomio, ex prostituta, militante contro la discriminazione e neo-donna responsabile dello sportello trans di Milano e della linea amica a livello nazionale. Ecco cosa ci siamo dette quando sono andato a trovarla nel suo ufficio dell'Associazione ALA.

Antonia e colleghe non-choosy con l'ex Ministro delle Pari Opportunità Elsa Fornero. 

VICE: Ciao Antonia, quando hai cominciato a occuparti di chi vuole cambiare sesso?
Antonia: Dieci anni fa, quando mi sono avvicinata all'Arci Trans di Milano per cercare aiuto per il mio reinserimento lavorativo. Sono venuta a Milano dalla provincia di Bari nel '94 pensando che la prostituzione, che ho poi esercitato per dieci anni, fosse l'unico modo per affermarmi come donna. È stata un'esperienza molto dura, e ora, attraverso lo sportello trans voglio anzitutto dare alle persone che incontro per strada calore umano, quello che è mancato a me. Nel 2002 ho iniziato la mia formazione: sono partita come mascotte rompiscatole della linea amica trans, poi ne sono diventata la responsabile a livello nazionale, ho cominciato a moderare i gruppi di auto-mutuo-aiuto, e nel 2005 ho definitivamente abbandonato la prostituzione e sono entrata come mediatrice culturale nella mia organizzazione attuale, la Ala Milano Onlus. Ma ho sempre indagato anche l'aspetto antropologico della questione, da autodidatta.

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E cosa hai scoperto sul sentire una difformità tra corpo e psiche?
Ho notato che se prima tutti avevano in mente uno stereotipo della persona transessuale, la nuova generazione lo decostruisce. Un tempo la distinzione era tra trans primarie—quelle che rientrano nello stereotipo, ambiente della prostituzione, femme fatale, tacchi a spillo, calze a rete, seno maggiorato e labbrone, eterosessuali—e trans secondarie, con orientamento sessuale diverso, o che magari avevano avuto un matrimonio e dei figli. Già questo era un principio di decostruzione, ma oggi, quando accolgo qui il mercoledì mattina, mi trovo davanti persone che lasciano stranita anche me. Ma poi chi lo può dire? Va bene così, mi spingono a interrogare anche me stessa.

Forse perché anche noi "non-trans" abbiamo meno evidente la distinzione tra sessi. Sono più i ragazzi o le ragazze che si rivolgono a te?
Cinquanta e cinquanta. Diciamo che gli FtM si mimetizzano più facilmente rispetto alle MtF, perché la transizione di queste seconde è più evidente a livello culturale: ci declassiamo, perdiamo un ruolo sociale, ciò che invece acquisisce l'FtM. Appena ti ho visto e ti sei seduta qui, ho pensato "Mah, potrebbe essere un possibile FtM, un FtM alternativo." A me piacciono moltissimo.

Per ora sto bene così, decostruita ma femmina. 
Almeno così possiamo definirci queer.

Antonia, io e l'identità di genere.

Facciamo finta che io voglia fare il cambio di sesso, che iter devo seguire? 
La transizione non è standardizzata, ed è giusto così. Il primo passo è rivolgersi allo sportello trans: io mi metto a disposizione della persona trans per accompagnarla nel percorso della favolosità—lo chiamo così perché è un percorso in cui ti liberi degli impacci e di un gran peso. Il secondo step è ospedaliero, l'incontro con l'andrologo e poi con la psichiatra, che nel corso dei colloqui deve capire se la persona rientra nei parametri della disforia di genere, e se non ha nessun altra patologia mentale. Se rientra nei parametri, la psichiatra dà il benestare per la terapia ormonale, e quando inizia la terapia ormonale io consiglio di provare a viversi con abiti e scarpe e cercare di avvicinarsi al proprio modello, per capire se ci si sente bene così o se si deve passare al prossimo step, i vari interventi chirurgici. 
Il lavoro psichiatrico poi dura due anni, ed è importantissimo che sia accurato: dalla diagnosi della psichiatra dipenderanno gli interventi chirurgici e il benessere futuro della persona. Ci sono casi di transessuali che non erano sicure, si sono trovate pentite e alcune sono arrivate anche al suicidio.
Dopo questi due anni, e una volta che la psichiatra e l'andrologo hanno rilasciato una perizia scritta, l'avvocato fa richiesta al tribunale per il cambio di sesso, la rassegnazione chirurgica sessuale. Inoltre si chiede l'atto integrale di nascita al comune natio, e là si corregge.

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Proprio all'anagrafe, come nascere un'altra volta. 
Esatto. Seguono due udienze, in tutto un altro anno e mezzo. Nella prima udienza il giudice ti mette alla prova, "Sei sicuro di fare una cosa del genere, sai che è un intervento irreversibile?" E lì devi appellarti all'autodeterminazione. Con la sentenza si emettono per gli FtM l'isterectomia e la mastectomia; per gli MtF oltre all'intervento di neo-vagina si può inserire anche una mastoplatica additiva, ma non tutti sanno che è loro diritto richiederlo. 
Alla seconda udienza partecipano due testimoni, ovvero l'andrologo e la psichiatra che hanno rilasciato la perizia: se la perizia è giudicata valida si procede, altrimenti la persona transessuale viene messa in analisi per altri due anni da uno psichiatra d'ufficio.

Cosa pensi del fatto che la disforia di genere sia considerata una malattia mentale?
Be', ci sono due modi di considerare la cosa: "per fortuna" o "per sfortuna". Io dico per fortuna, perché così il servizio sanitario eroga la terapia ormonale e gli interventi chirurgici primari; nel caso venga depatologizzata, accadrebbe come in Francia dove è tutto privatizzato e la persona transessuale viene quasi indotta dallo stato a prostituirsi, a meno che non venga da un ceto sociale medio-alto.

Antonia con la sua cagnolina Kendy, che adesso non c'è più :(

E l'intervento?
L'intervento di riassegnazione chirurgica sessuale per le MtF di solito si fa tutto in uno, in 6-7 ore, ma si può fare in due step, prima la demolizione poi la ricostruzione. Io per ora ho fatto solo l'orchiectomia e ho raggiunto un benessere psicofisico, non sono a disagio con il mio pene come lo ero con il testosterone, e consiglio sempre che le persone trans cerchino il proprio benessere un passetto alla volta, sperimentino ogni stadio, invece vogliono fare tutto subito per omologarsi. Soprattutto le MtF pongono nell'intervento di neo-vagina molte aspettative, pensano che una volta fatta una vagina tra le gambe gli uomini cadranno ai loro piedi, pensano di essere passabili come donne, magari fanno anche diecimila plastiche. Io sono contraria.

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Sei contraria alle plastiche?
Sì, io sono per la chirurgia estetica correttiva, ma se tu vuoi passar come donna non ti fai diecimila plastiche, perché proponi e rincorri un'iperfemminilità che non esiste. Le donne biologiche non sono delle Barbie, ma per fortuna! Io stessa dopo l'intervento sto ridimensionando il mio comportamento, mentre prima ostentavo la mia transessualità, e noto che anche la società spesso si rivolge a me come donna biologica, nonostante io sia un metro e 84.

Come si ottiene questa iperfemminilità?
Gli interventi estetici più in voga sono la femminilizzazione del viso, il naso, gli zigomi, la fronte, si tolgono la pelle qui, si mettono la protesi lì, modificano la voce, si tolgono le costole per avere la vita più stretta, si fanno limare il pomo d'Adamo. E tutti questi interventi chirurgici non fanno bene al corpo, oltretutto. Le persone trans non vogliono ascoltare ragioni, si lamentano perché dicono "il corpo è il mio", ma se si fanno del male, i costi della sanità li pago anche io.

E come sono i centri italiani?
I centri specializzati sono pochi, e la domanda è incessante, e tutti cercano di marciarci, spesso il chirurgo dice "Se vuoi fare l'intervento, mi dai 15.000 euro e ti prenoti la sala operatoria per la settimana prossima." Ma io per prima dico, se devi fare il mutuo per fare l'intervento a Trieste, vai in Tailandia, spendi 7.000 euro e ti trattano come una regina, vai a Belgrado che è all'avanguardia e ti costa 5.000 euro. E poi in Thailandia la profondità della nuova vagina è più soddisfacente che a Trieste, il centro di riferimento in Italia. Va be', tu mi dirai essendo una donna, non tutti i peni sono enormi, però una volta che la facciamo facciamola bene.

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La cosa interessante è che non tutti quelli che si incamminano nella transessualità vogliono diventare donne in toto, che ci sono altri step intermedi a cui ci si può fermare. 
Tutti pensano di dover per forza arrivare all'intervento, perché se no non ci si sente donne. Non è così. Io mi posso sentire maschio e mi posso anche sentire femmina. Non è un pene che fa di un uomo un uomo e una vagina che fa di una donna una donna. Pensiamo di doverci omologare perché siamo il prodotto della nostra società, noi come te. Ci viene inculcato da piccoli che per essere femmina o maschio ci vuole una vagina o un pene e quando facciamo la transizione vogliamo rientrare nella nostra brava casella. 
Io che sono 18 anni che vivo come donna, ho fatto l'adeguamento di genere a ottobre 2011, dopo 17 anni. Pur avendolo sempre voluto, per me le cose primarie erano altre, per esempio l'autoaffermazione nel lavoro, l'indipendenza economica. Sono una trans atipica, me lo dicono tutti.

Antonia (in abito rosso) sul palco con la compagnia teatrale di cui fa parte, la ATOPOS.

Da questo discorso mi sembri molto più donna di una trans che vuole solo trovare un compagno ed eliminare i propri difetti fisici. Come è stato non sentirsi più testosterone in corpo?
All'inizio ero euforica. Basta testosterone, sto benissimo! Però dopo sei mesi circa ho avuto una defaillance; ce l'hanno tutte le trans operate, perché comunque nasci e cresci con i tuoi genitali, e oltretutto quando li togli sono organi sani. Non avevo fatto i conti con questo sentimento di mancanza della mia virilità, mi sentivo come se avessi perso la bussola e mi sono nuovamente rivolta alla psichiatra—il problema è che avevo raggiunto un buonissimo equilibrio psicofisico con la terapia ormonale e questo intervento l'ha messo in discussione, e lì ho iniziato una nuova transizione. Io dico sempre che la transizione si inizia e non si finisce mai. Mi hanno detto che anche le donne, dopo il parto, posso cadere in una analoga depressione: per nove mesi hanno portato in grembo una creatura che poi, d'improvviso, non c'è più.

Non deve essere facile abituarsi.
Quando ho fatto l'orchiectomia non riuscivo nemmeno a fare pipì, perché la mia psiche non era in equilibrio con il mio "sotto". Pensa a quelle che dopo l'intervento si ritrovano un nuovo organo: molte mi hanno raccontato che nei rapporti sessuali la psiche concepiva la vagina come una ferita, così la vagina si chiudeva e impediva che il pene entrasse. E sai qual è il problema? Il problema è che sono cose che noi trans sappiamo ma non ci diciamo, perché le viviamo come un fallimento: poniamo troppe aspettative nei risultati della chirurgia e se qualcosa va storto entriamo in depressione. Ecco perché sono contro la chirurgia estetica: adeguare il genere sì, ma non stravolgere i nostri caratteri. Noi siamo trans, non possiamo essere donne o uomini, siamo trans e dobbiamo cercare di creare una nostra cultura, qualcosa per cui la cultura transessuale sia riconosciuta, non solo per le plastiche o la prostituzione, ma per qualsiasi cosa, per un colore, per la favolosità.

La prostituzione è sempre un grosso problema?
Sì, ma ora è più che altro straniera e, soprattutto a Milano, dopo le ordinanze della destra, si è trasferita in appartamento. Soprattutto ci sono brasiliane, che migrano tanto, peruviane, più stanziali, e alcune turche, algerine, tunisine. Le italiane passano alla prostituzione, se lo fanno, per pagarsi un intervento o perché hanno perso il lavoro, e come possono vivere? Avere un documento non conforme all'aspetto è discriminante nel momento in cui ci si rivolge al mondo del lavoro, e nel frattempo per pagare le bollette come si può fare? Oltretutto, un datore di lavoro, se io mi presento come donna, pensa, "Ma chi mi devo assumere, una che poco prima si è prostituita? e cosa vuole venire a fare qua, vuole rimorchiare gli uomini che stanno in azienda?" Ecco perché abbiamo il terrore di esporci. Ecco perché tante volte si ricorre all'intervento di omologazione.

Già. 
Io, perché sono io, ho fatto la mia ribellione e l'ho resa la mia missione, ma non tutti sono come me, e mi ritrovo da sola. Ok, a me piace, sono orgogliosa di essere il punto di riferimento di molte persone, ma mi sento sola, perché so benissimo che per adottare questo stile di vita ci vogliono le palle, ci vogliono.

Segui Elena su Twitter: @gabbagabbaheil