junior cally ci entro dentro
Fotografia di Sebastiano Fernandez.

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Musica

Dietro la maschera di Junior Cally

Junior Cally ci ha lasciato sbirciare dietro la maschera per la prima volta in una lunga intervista scritta e ci ha rivelato tutto quello che poteva su di lui e sul suo nuovo album.

"Quando un wrestler viene sconfitto e gli viene tolta la maschera, il suo viso viene visto dal pubblico per la prima volta. Il suo nome e il suo luogo di nascita vengono pubblicati sui giornali. La sua maschera, che simboleggiava il suo onore, viene ritirata e non può più essere usata".

Così il giornalista William Finnegan, ripreso da The Outline, parla dell'importanza della maschera per i lottatori di wrestling messicani, i cosiddetti luchadores. Se sui ring degli Stati Uniti le máscaras sono solo oggetti di scena, nelle terre a sud del Texas coincidono con l'identità di chi le indossa. Indossarne una significa dedicargli la propria vita, tenerla sulla pelle del volto anche fuori dal ring. C'è chi, come lo storico lottatore El Santo, ci si è addirittura fatto seppellire.

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La maschera è il mezzo più semplice che l'essere umano ha inventato per suggerire un'idea di mistero. Un volto celato fa scattare in chi lo guarda una curiosità ancestrale: come spiega il filosofo francese Emmanuel Lèvinas, "Nella manifestazione, nell’'epifania' del volto dell’altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’altro". La maschera fa saltare questo gioco di corrispondenze: io non conosco il tuo volto, e quindi neanche più il mondo, e quindi voglio interrompere questo stato di cose. Scoprire chi sei, sapere il tuo nome.

Il nome di Junior Cally non si sa. Nemmeno si sa chi si cela dietro la sua maschera. È stato intelligente a mettersene una, il rapper laziale, e a rivelare solo qualche dettaglio del suo passato prima di mettersi d'impegno a cercare di rendere la musica il suo lavoro. La plastica che ricopre il suo viso genera engagement tanto quanto lo fanno i suoi pezzi, costruiti su punchline che non sfigurerebbero nei vecchi freestyle di quartiere e ritmi sostenuti in cui si legge la sua età: 27 anni, giusto in tempo per aver vissuto in pieno l'era della grande dance italiana e renderla parte della sua identità.

Se ne è accorto Gabry Ponte quando gli ha chiesto di mettere la voce su un suo pezzo, se n'è accorto il pubblico che lo ha premiato con milioni di views e, adesso, un contratto con Sugar e un primo album ufficiale. Si chiama Ci entro dentro, esce oggi e sulla copertina ha tantissimi Cally. Lui e tutti i suoi fan, uniti dalla stessa maschera. Da qua cominciamo a parlare, con il pensiero che prima o poi del suo viso dovremo parlare. Ma l'impressione è che lui voglia finire come El Santo, più che come Rey Mysterio: una leggenda misteriosa, più che una superstar patinata.

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junior cally ci entro dentro copertina

La copertina di Ci entro dentro di Junior Cally, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

Noisey: Finora hai rilasciato davvero poche interviste. Come ti fa sentire il fatto che stai entrando nel classico ciclo di promozione a cui gli artisti si sottopongono?
Junior Cally: Forse questa è la prima intervista seria che faccio. Le prime le ho fatte quando non credevo di arrivare a certi livelli. Per me è interessante cominciare ora a fare interviste, è un modo per arrivare a più persone e quindi mi gasa l'idea.

Ma a te piace parlare di te stesso?
Solo per certi versi. Ho sempre voluto mantenere la mia vita attuale privata e quella passata un po' segreta.

“Sono l’unico vero, ci sono entrato davvero, pure con in tasca zero”, rappi. Che cosa ti fa scattare questa voglia di affermarti come “vero”, come “altro”. Che cos’è il falso?
Chi ostenta più di quello che ha. Chi dice di fare determinate cose nell'ambiente e poi non le fa. Chi promette ai propri fan certe cose e poi non le porta avanti. Chi dà false speranze ad artisti che incontra durante il percorso. Io mi approccio in maniera totalmente diversa dalla maggior parte dei miei colleghi. Poi non voglio generalizzare, io dico di essere l'unico vero per quello che ho passato e per chi ho conosciuto nell'ambiente. Poi c'è gente che mi ha fatto vedere altre cose, come ad esempio i ragazzi del mio booking. Non so come spiegartelo, in realtà. È che io non mi sono mai abbassato a determinate cose che gli artisti emergenti sono costretti ad accettare, forse per mancanza di personalità. Poi io non sono un Dio in terra, ma certe cose le so fare meglio mentre altri devono affidare il proprio lavoro a qualcun altro. Il mio booking, che mi segue da gennaio 2018, mi ha fatto capire che all'interno del gioco chi lavora per e con te, senza pensare solo ai soldi. Poi io sono dell'idea che chi lavora per l'artista e lo fa bene debba guadagnare bene, ma vedo artisti intorno a me che vengono spremuti da etichette, manager, stylist e quant'altro.

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Dobbiamo parlare di "Dedica", perché è il pezzo più autobiografico che hai mai scritto. Perché hai scelto di andare finalmente a raccontare qualcosa del tuo passato?
Conta che i miei hanno scoperto che mi hanno arrestato nel 2014 quando hanno sentito questa canzone. Oltre a non esternare i miei problemi con il mio pubblico non riuscivo a farlo nemmeno con le persone che avevo a fianco. Sentivo il bisogno di dire ai miei, che mi hanno dato sempre tutto quello che potevano, dell'esistenza di questa parte di loro figlio. Un genitore, se presente con il figlio, va messo al corrente della sua vita e di ciò che gli accade. Tutto quello che dico dei miei guai, dell'arresto e dell'abuso di alcool, lo hanno scoperto così. Non vivo con loro da tanto tempo.

Te ne sei andato di casa da piccolo?
La prima volta a 19 anni e sono andato in un paese vicino al mio. Poi sono tornato a vivere in paese con un amico, ma non vedevo mai i miei perché facevo, purtroppo, altre cose. Poi ho conosciuto questa ragazza con cui ora convivo da un po' di anni e ci siamo trasferiti a Roma.

junior cally maschera

Fotografia di Sebastiano Fernandez.

Le canzoni di Ci entro dentro risalgono a quel periodo o sono nate tutte negli ultimi tempi?
Sono tutti pezzi nati quest'anno. Giusto "Tappeto volante" risale all'inizio del 2018, tutti i testi invece sono stati scritti da zero a Milano, in quaranta giorni tra aprile e maggio. Dopo dovevo tornare a Roma per questioni legali, legate ancora a quei fatti del 2014.

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E quando ti sei chiesto che cosa volevi dire con il disco, che cosa ti sei risposto?
Quando sono venuto a conoscenza del fatto che dovevo consegnare il disco entro tot ho avuto paura. È difficile fare un disco vario come poi ho fatto in un tempo così stretto. I primi tre pezzi che ho fatto li ho cancellati, facevano schifo. Quando poi ho ragionato a cosa volevo fare mi sono reso conto che avrei voluto prendere sensazioni e situazioni che si sono create nell'anno passato, dal tour alla semplice bevuta con gli amici da cui è nata "Rum", e riportarle nel disco usando varie sonorità. Volevo far capire al pubblico che sono anche versatile, cosa che non stava succedendo mentre ero preso dall'ansia e dalla paura.

Dato che hai tirato fuori "Rum", volevo chiederti se c'era dentro dell'ironia o se volevi dare un messaggio.
Ovviamente c'è dell'ironia, vado a prendere in giro i "pettinati", la gente con la puzza sotto al naso. Mi è capitato di frequentare posti in cui entravo "solo per farmi guardare male", come rappo in "Ci entro dentro". Venivo giudicato solo dall'apparenza, e lascia perdere il fatto che neanche mi riconoscono perché ho la maschera. Sai come funziona tra la gente che ha un minimo di fama, subito lì a coccolarla e tutto? A me invece piace essere riservato, così posso capire chi ho di fronte. "Rum" nasce sia come presa in giro ma anche per far capire al pubblico che si può fare qualsiasi cosa con la musica. Il disco è pieno di roba incazzata e banger, questa è più pop e spensierata. Vaffanculo, faccio quello che cazzo me pare perché tanto riesco comunque a farvi ballare in discoteca.

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C'è uno scontro tra il tuo lato più incazzato e crudo e un elemento giocoso, il "Tappeto volante" e il "Magicabula". Immagino che in te ci sia un lato infantile, affascinato dalla fantasia.
Sono sempre stato attratto dai cartoni animati, più che altro perché entravo in fissa per i messaggi subliminali, per il modo in cui ti rendi conto con il passare degli anni che potevi leggerli in altri modi. Tipo la canzone della sigla di Pollon, quando dice "Sembra talco ma non lo è", e potrebbe parlare di cocaina… poi ti dico, è un viaggio che mi faccio io e non è così per tutti. Ma mi piace creare un senso di giocosità cupa, un cartone della Disney messo in rima.

I tuoi pezzi hanno una forte ballabilità ed essendo tu del 1991 hai vissuto in pieno l'ondata italodance.
Io sono cresciuto con un fratello più grande di dieci anni che mi ha trasportato nel mondo della musica facendomi ascoltare quello che ascoltava lui, quando ancora internet si pagava a ore. Mamma ci dava il permesso e ci mettevamo lì a scaricare musica, da Eminem fino a Gigi D'Agostino, Eiffel 65 e quella roba lì. E anche Gabber Mafia, musica spaccacasse senza contenuti, senza niente de niente. Andando a ballare sono cresciuto al Goa, a Roma, e andavo il giovedì sera che c'era solo musica techno. E secondo me mischiare questo viaggio con un BPM giusto per rapparci sopra, soprattutto con il drop del ritornello, è un buon modo per restare in testa alla gente. Ed è difficile risultare sia ballabili che cantabili allo stesso tempo.

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junior cally maschera ci entro dentro

Fotografia di Sebastiano Fernandez.

L'ambiente urbano in cui sei cresciuto non è mai ben definito. In "Bisce" dici "è bella una città, sì finché non crolla", parli del “paese che ti schifava”. Che idea avevi di Roma crescendoci, e com'è stato andarci a vivere?
Io abitavo in un paese vicino a Fiumicino e automaticamente quando uscivamo da ragazzini non potevamo arrivare a Roma di sera. Ci muovevamo solo nei paesi accanto. Pensavo che avrei preso la macchina appena compiuti 18 anni, a Roma ci andavamo comunque andando a ballare alle pomeridiane in centro ma tornavamo sempre in orari consoni per i mezzi, altrimenti saremmo rimasti a piedi. Quindi volevamo andare a via Libetta, e Trastevere, andare 'ndo cazzo ce pare. Roma di notte per me era misteriosa, crescendo in un paese in mezzo alla stessa gente ti viene voglia di vedere facce nuove. Una volta arrivato qua l'ho vissuta in tutto e per tutto ma ad oggi la sento mia. Io non tornerei mai a vivere in paese, secondo me la gente che abita in queste realtà piccole non può costruire sempre un gran futuro all'interno del paese. Non mi sembra giusto rinunciare a quello che c'è fuori dalle quattro mura. Però ogni tanto la mancanza c'è, la voglia di tornare lì e stare tranquilli, salutare i veri vecchi amici e ridere in faccia ai falsi, che mi dicevano di trovare un lavoro serio quando gli dicevo che facevo il rapper.

Ho chiesto ai nostri follower su Instagram di farti domande e non mi aspettavo che così tante persone avessero curiosità sulla tua maschera.
Anch'io pensavo che la cosa della maschera sarebbe andata a morire, ma magari sono persone che ancora non mi conoscono. Io mi reputo ancora agli inizi, non mi sento un rapper che gioca con i più grandi. Sto facendo il mio percorso con calma e ci sta che la curiosità continui a girare. Ma è normale che la maschera incuriosisca, c'è anche chi pensa che sia sfregiato, che abbia la faccia bruciata. La mente viaggia ed è normale che chiedano e chiederanno per sempre perché la porto.

Una domanda interessante me l'ha fatta un ragazzo che mi ha chiesto, "Com’è vedere il mondo sapendo che nessuno vede il tuo volto?".
Un Marracash, un Fibra, un Guè, un Emis Killa, viene riconosciuto. Quando entrano in un posto per forza di cose qualcuno sa che sono personaggi pubblici. Quando arrivo io mi rendo veramente conto di chi ho davanti. Quando conosco qualcuno in un bar non dico piacere, sono Junior Cally e faccio il rapper. Dico il mio nome e poi capisco se posso dirgli cosa faccio. Negli studi in cui ho registrato il disco ho incontrato ragazzi che non sapevano chi fossi, quindi mi è capitato di fare domande trabocchetto. Non avevo ancora il tatuaggio sulla mano e quindi era impossibile riconoscermi. Dicevo, "Regà, che ne pensate di questo qua?" E c'era chi mi diceva "Questo spacca" e chi "Ah sì, quel coglione di merda!" Io stavo zitto, ascoltavo tutto e capivo se avevo di fronte una persona capace di fare una critica costruttiva, un invidioso o una persona che mi apprezzava.

Ti è capitato di giocare con la tua identità, quindi.
È che certe cose non te le aspetti. Incontri davvero persone di un certo livello dell'ambiente che non sanno chi sei, lasciano andare via la bocca senza pesare le parole, e poi ti scrivono certe cose in chat. Magari ti scrivono "spacchi fratè" e dal vivo ti insultano. Ma come? Spesso e volentieri mi è venuta voglia di tirare fuori il telefono e fargli fare una figura di merda. A volte l'ho fatto. Altri mi hanno anche fatto critiche costruttive, magari avevano capito chi fossi e se la sono giocata bene. E gli ho detto comunque chi ero e li ho ringraziati, perché penso che chiunque possa insegnarmi qualcosa. Nessuno va preso con leggerezza, se uno dice cento cose una potrebbe essere giusta in mezzo a novantanove cazzate. Vedere il mondo sapendo che nessuno vede il mio volto è la cosa più figa che mi sia capitata fino ad ora. Elia è su Instagram. Segui Noisey su Instagram e su Facebook.