Siamo stati a NeXTones, dove la roccia prende vita
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Musica

Siamo stati a NeXTones, dove la roccia prende vita

Robert Henke e Ben Frost hanno trasformato una cava di pietra a Domodossola in un luogo magico e alieno.

Domodossola non è soltanto una città che inizia con la D. È anche un punto nevralgico per il turismo, una terra di confine circondata da montagne in cui si scontrano da un lato il rigore e la mentalità montana e dall'altro la voglia di diventare un punto di riferimento internazionale.

È anche la casa di Tones On The Stones, un format artistico unico che dà spazio a spettacoli di vario genere e per diversi tipi di pubblico, dalle sonorizzazioni live di film a concerti di musica classica, tango e teatro. Ma non solo.

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NeXTones è il festival internazionale di musica elettronica e arti digitali nato all'interno del più vasto cartellone di Tones On The Stones. Giunto alla sua quinta edizione ha ospitato, negli anni, artisti del calibro di Andy Stott, Fennesz, Clark e Holly Herndon, tanto per citarne alcuni.

Ha una particolarità: tutti i live si svolgono all'interno di una cava di estrazione. Provate a immaginarvi di ballare circondate da pareti rocciose, immerse nel buio e nel silenzio dei boschi. Una resa acustica praticamente impossibile da replicare per uno spettacolo reso ancora più particolare dall'utilizzo di visual dinamici, proiezioni e laser.

La cava. Foto per gentile concessione di NeXTones.

È strano pensare che sono scappata proprio da quei monti più di 10 anni fa: non so se sappiate cosa voglia dire crescere in un paesino di montagna, dove metà della popolazione non si è mai spostata dal proprio centro abitato e il massimo a cui ambisce è la sequela di sagre e manifestazioni cittadine ad alto contenuto alcolico, sostenute dalla cover band di Ligabue. Praticamente un incubo. Se non fosse che la bellezza di quei luoghi ti rimane scavata in testa e non c’è alcuna città del mondo che possa reggere il confronto con il panorama visto dall’Alpe Devero.

La prima serata del festival è interrotta bruscamente da un forte temporale, lasciando il tempo di esibirsi solo a Petit Singe. L’artista bengalese trapiantata a Milano riesce a concludere con difficoltà il set in cui ha presentato Akash Ganga (bel titolo che in italiano significa "Il Gange del Cielo"), il suo terzo disco prodotto da Haunter Records. Le nubi nascondono il manto stellato sopra la cava ma, devo ammettere, il suono dell’acqua che scroscia dagli alberi dona all’esibizione un’aura mistica e delicata. Il sound di Hazina è fortemente strutturato su poliritmie a metà tra la tradizione occidentale e quella orientale, quest’ultima amplificata dalle improvvisazioni sulla tabla indiana. Il risultato è un contrasto tra una superficie eterea, intima e melodica e un nucleo dalla forte intensità percussiva e destrutturata, che poggia su ritmi disordinati e bruschi rumori digitali che si infrangono sulle pareti rocciose rendendo la sua figura ancora più minuta.

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Approfitto dell'interruzione della serata per scambiare due chiacchiere con Danilo Cardillo, consulente artistico del festival nonché promoter, organizzatore e responsabile di Basemental, una piattaforma per la promozione e distribuzione di spettacoli focalizzata in particolare su nuovi stili musicali e nuove tecnologie, specializzata nella realizzazione di eventi multimediali immersivi. Nel roster di Basemental si trovano alcuni dei più importanti artisti di musica elettronica contemporanea, come Oneohtrix Point Never, Tim Hecker, Ben Frost e Demdike Stare.

Danilo mi spiega che organizzare un festival di questo tipo ha sicuramente dei pro e dei contro. L’aspetto più interessante è sicuramente il potenziale “site-specific” della proposta: il loro obiettivo è offrire spettacoli che interagiscano il più possibile con lo spazio che li ospita. L’aspetto più complesso da gestire è quello organizzativo: "Si tratta sempre di cave in funzione, di conseguenza ogni uno o due anni bisognare cambiare location e ricominciare da capo. Il lavoro in cava inizia almeno una settimana prima dell’apertura. Vista la lontananza dagli aeroporti anche la parte di logistica è leggermente più complicata rispetto a un evento che si svolge in città, ma dobbiamo dire che per molti artisti è un piacere passare l'intero weekend con noi, visto che siamo in un’area unica al mondo”.

Quest'anno il festival ha anche testato le Xperience, una serie di attività legate al territorio circostante il festival ma non alla musica. Tra avventure nei torrenti, trekking, zipline, ho trovato anche qualcosa di più adatto alle capacità ginniche di una come me: una visita al villaggio-laboratorio di Ghesc.

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Maurizio Cesprini viene a prendermi verso le 10 in centro a Domodossola e insieme ci dirigiamo verso questo piccolo borgo che per decenni ha giaciuto addormentato nel cuore di una foresta nei pressi di Montecrestese, prima che lui e la sua associazione (Associazione Canova) lo ristrutturassero completamente, a mano, rivalorizzando l'architettura rurale. Ora qui si tengono campi scuola in collaborazione con università da tutto il mondo, ma anche convegni, conferenze, feste, concerti. Quando arriviamo a Ghesc rimango totalmente affascinata dai suoi racconti. Mi spiega come datare gli edifici: “Vedi, lì dove ci sono le scale retrattili in legno vuol dire che la costruzione è meno recente rispetto a questa con le scale esterne. Le facciate rivolte verso sud sono invece coerenti con il cambiamento di clima della piccola era glaciale del XVI secolo”. Mi spiega che per riparare il tetto di uno degli edifici ci ha messo più di tre anni e come ha restaurato la sua casa pietra dopo pietra.

Ben Frost. Foto dell'autrice.

Arriva la sera. Ben Frost sale sul palco a piedi nudi, come volesse creare una connessione con la pietra delle cave che, da lì, a poco, farà da sfondo a visual stroboscopici e annichilenti che, man mano, lasceranno spazio a forme più naturali e seducenti, come grandi nuvole blu e pareti glaciali, moltiplicate da teli riflettenti.

L’elemento visuale è stato molto presente nel percorso di Frost sin dai tempi di Aurora, quando l’artista australiano aveva realizzato uno studio multi-sensoriale sul concetto di abrasione grazie ai mini-film di Trevor Tweeten e Richard Mosse, con i quali ha anche collaborato per l’installazione Incoming, che poneva al centro il tema dell’esperienza umana della migrazione. Frost ha poi portato in scena una sonorizzazione del film Solaris di Andrej Tarkovskij e ha inoltre realizzato l’intera colonna sonora del telefilm Netflix Dark. A NeXTones ha presentato The Centre Cannot Hold, il suo quinto album registrato da Steve Albini, con MFO (che si era occupato anche dei live di Aurora) all’impianto visuale.

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Il musicista e compositore, ora di base a Reykjavík, sembra aver assorbito la natura desolata e solitaria della nuova terra, amalgamandola però con il ritmo e calore delle lande australiane. I suoni creati da Frost sono una miscela di minimalismo e black metal come dentro una camera iperbarica, fortemente pressurizzati. MFO s’è ispirato al Mare del Nord per creare i visual che accompagnano questo live, unendo immagini dell’oceano a filmati realizzati in studio, dando vita a frame drammatici e ondulati che portano alla deriva visiva lo spettatore, annientando i punti di riferimento statici, come in un regno di movimento senza fine. Le bordate di suono sono come lame taglienti, armonie lamentose che si accumulano una sull’altra e risuonano con profondità, mentre la figura irrequieta di Frost resta china sulle sue macchine.

“Non ho mai visto niente di simile”, mi dirà nel backstage.

Lumière III. Foto di Robert Henke, per gentile concessione di NeXTones.

Il momento più atteso del festival è sicuramente quello della performance Lumière III di Robert Henke. L’ingegnere e sound designer tedesco è uno dei più importanti protagonisti dell’elettronica mondiale anzi, potremmo dire che ne è quasi il padre della versione più contemporanea dato che è uno dei creatori di Ableton Live.

A NeXTones ha presentato l’ultima di una serie di performance audiovisive che esplorano il dialogo artistico tra laser ad alta precisione e suoni percussivi. Il software realizzato dall’artista è in grado di tracciare rapide successioni di figure astratte associandole a eventi sonori. Se non avete capito che cosa ho scritto qua sopra, ve lo ripeto in modo più semplice: se non ci eravate, vi siete persi uno dei live più incredibili della vostra vita.

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Henke ha giocato con la parete più vasta, creando figure geometriche tridimensionali e minimali in un contrasto tra luci intense e buio assoluto, coinvolgendo anche gli alberi che circondano la cava e trasformandoli in figure aliene che sembravano volerci trasmettere un codice fatto di date, geroglifici, simboli chimici. Un dialogo arcaico e futuristico allo stesso tempo, dove ogni elemento in campo fa sentire la propria voce: le striature della pietra prendono vita grazie alla luce, arrivando ad assomigliare a figure umane volteggianti. Ma Lumière III è anche un omaggio al cinema e alle sue sperimentazioni: impossibile, infatti, non riconoscere tra quelle figure un chiaro rifacimento a Matrix III del pioniere della computer graphic John Whitney realizzato in collaborazione con Terry Riley, che si è occupato della soundtrack. In alcuni parti il live di Henke è pressoché identico.

Il numeroso pubblico rimane in silenzio per tutta la durata, applaudendo rumorosamente sul finale.

Lumière III. Foto di Robert Henke, per gentile concessione di NeXTones.

Il palco viene poi lasciato a Max Cooper che dovrà darsi davvero da fare per poter competere con i live che lo hanno preceduto. L’artista irlandese nell’ultimo decennio è diventato il protagonista di sonorità che mescolano la sperimentazione elettronica più emozionale con un sound design e un impianto visuale straordinari.

Mi guardo attorno e cerco di capire se tra i presenti c’è qualcuno che conosco: un ex compagno di scuola, un compaesano, un vecchio amore. Purtroppo mi accorgo di come sia quasi impossibile trovare un local, e la cosa mi intristisce parecchio.

Nel frattempo Cooper porta all’estremo il suo live fatto di universi, città organiche e stringhe di DNA, andando a scavare negli animi dei presenti grazie ad un approccio metodico, quasi chirurgico, a quella che possiamo definire un’elettronica “scientifica” e che forse per questo, almeno a me, risulta un po’ fredda.

Arrivano un gruppo di addio al celibato con una bambola gonfiabile. Fa sempre più freddo e tutti si scaldano ballando fino alle 4 del mattino. Per questa volta salterò l'after.

Serena Mazzini fa parte del collettivo ANW e ha fondato l'etichetta DIY Tanato Records. Seguila su Facebook e Instagram.

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