Un’intervista tra Milano e Genova con Tedua
Francesco Cerutti

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Musica

Un’intervista tra Milano e Genova con Tedua

"È questo che voglio insegnare, che la purezza dell’anima ce l’hai solo quando hai vent’anni e che non puoi fartela schiacciare dal lavoro o dalla tossicità."
Mattia Costioli
Milan, IT

Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul nuovo numero di VICE Magazine, completamente dedicato all'attivismo oggi.

Forse è vero che tutti gli eroi sono giovani e belli, ma per i rivoluzionari basta imparare a parlare, e Tedua ha imparato a parlare da Paolo Bonolis in TV e dai perdigiorno dentro al bar. Il suo vero nome è Mario ed è nato a Genova nel 1994, ha passato la prima infanzia a Milano, l'adolescenza a Genova ed è tornato a Milano quando ha cominciato a considerarsi adulto. Non ha mai avuto un rapporto con suo padre perché a nove mesi dalla sua nascita l'ha perso in Via Prè. A un certo punto Tedua è diventato un rapper famoso, soprattutto per via del suo particolare modo di rappare, che a un ascolto poco matematico potrebbe sembrare fuori tempo. Sta lavorando al suo primo disco con un'etichetta e senza accorgersene ha dato il via a una piccola rivoluzione culturale che, prima d'ora, il rap di strada non era mai riuscito a innescare in Italia. Mi ha raccontato quanto valgono la sua città e la sua gente e ho passato del tempo con lui alle Lavatrici di Genova [quartiere di edilizia popolare ai margini della città], in Via Prè e su un ponte dove abbiamo guardato una moto da 200 chili sfrecciare su una ruota sola.

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Dopo che il padre è sparito lui e sua madre hanno imparato ad arrangiarsi e mentre lei viaggiava e si spostava ovunque ci fosse uno stipendio da guadagnare, lui cambiava una casa dietro l'altra, tanto che è difficile stabilire un ordine cronologico.

"L'asilo nido era una cosa da borghesi, io però l'ho fatto alla Casa del Fanciullo", ricorda prima di raccontare di quella volta in cui, a soli tre anni, ha iniziato a lanciare a terra tutti i soprammobili della famiglia che lo ospitava, costringendo sua madre ad andarselo a riprendere. "L'educazione l'ho imparata a casa della Signora Elena a QT8, a Milano. Dormivo in un letto a castello in camera di uno dei suoi figli e quando mia madre tornava in ritardo dal bar mi spiegava tutti i motivi per cui nella vita non si dovrebbe arrivare mai in ritardo, che chi perde il suo tempo al bar non ha nulla da inseguire."

Nonostante questo, sua madre ha dato un pezzo di cuore a chiunque ne avesse mai bisogno e, anche se non è chiaro come sia successo, oggi ha un gruppo su Whatsapp con cui si tiene in contatto giornalmente con decine di fan di suo figlio (e mamme dei fan di suo figlio). "Mia madre appartiene al ciclo dei vinti," afferma a ogni giro di interviste, citando probabilmente la chiusa di un vecchio brano di Marracash, più che Giovanni Verga. Il loro rapporto è tanto strano quanto sincero (fino all'eccesso, per usare un eufemismo) e la loro storia è quella di tante altre famiglie che sono rimaste incastrate nella periferia.

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Quello che riesce a fare Tedua per "la sua gente" è offrire attraverso la sua esperienza l'ipotesi concreta di un Piano B, una via di fuga da tutte le storture del mondo che non passa necessariamente per uno stravolgimento o per una vuota retorica della legalità fatta da chi, per strada, non ci ha mai passato una notte a spasso. Nella sua rivoluzione si riesce a intravedere un codice di valori che non è quello dei criminali, ma che mischia elementi presi qua è là: da Stainer agli infami nelle questure. Nel weekend in cui ci incontriamo è riuscito a prendere due piccioni con una fava e incastrare un'intervista con le telecamere sui tetti di Genova alla necessità di farsi la Milano-Genova per tornare nel capoluogo ligure a saldare in contanti un errore di valutazione di un caro amico.

"Io mi sento responsabile perché Mario è un bravo ragazzo, ma se Tedua provasse davvero a interpretare la responsabilità che si sente sulle spalle la gente mi direbbe che sono un demagogo, un populista: il gioco non vale la candela. È come quando Booba fa il rap di strada e alla fine gli sequestrano la madre."

Foto di Francesco Cerutti

Qualche tempo fa su YouTube ha rilasciato un'intervista che nel giro di pochi mesi è diventata un vero oggetto di culto e che ha spinto tanti a riflettere più a fondo sui suoi testi fuori tempo. L'eloquio di Tedua è assolutamente dissonante con le sue movenze da piazzaro (e più in generale con l'estetica del rapper) e ha mandato in cortocircuito i ragazzini di mezza Italia, mentre la critica musicale non è stata in grado di decifrarlo completamente. Lui però, che è stato ospitato nelle case dei ricchi, non vuole sentire complimenti per queste cazzate perché "quando ho conosciuti gli studenti del liceo, che nel tempo libero parlavano di concezioni filosofiche e fisica quantistica e che alla mia teoria della strada pisciavano in culo mi sono reso conto, purtroppo, di non fare parte di quel mondo."

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Oggi Tedua chiede due o tre anni di pazienza, di aspettare che arrivi il successo e poi forse qualcosa di intelligente da dire ce l'avrà pure lui, anche se nel frattempo i ragazzini imparano la lotta di classe da lui e mentre si chiama fuori da qualsiasi discorso di tipo politico, mi dice che il mio lavoro sotto sotto è solamente una scappatoia e che in tutti gli altri casi "lavorare è una merda. A questo mondo nessuno nasce per lavorare 40 ore a settimana e fare ricco un altro." Mi dice anche che non sarebbe eticamente giusto fare politica, nella sua posizione, perché rischierebbe di influenzare il pensiero di qualcun altro, forse impedendogli di trovare la sua strada.

La sua storia è quella della periferia che ti schiaccia e in cui se a un certo punto ti capita la disgrazia di farti due domande finisci a farti nei vicoli, non perché la droga sia la risposta, ma perché non ce la fai più a sopportare di farti le stesse domande per un altro giorno. "La maggior parte degli spacciatori che ho incontrato spaccia solo per mantenere la propria tossicità, e il codice della strada ti insegna che se arrivi ai livelli alti della catena—in cui ogni settimana riesci a metterti una cifra in tasca—non è oggi e forse non sarà domani, ma prima o poi ti prendono. La vera ipocrisia dietro allo spaccio è che i ragazzi si trovano in giri che tutto sommato valgono pochi soldi, quindi se uno di questi viene arrestato finiscono in galera interi quartieri. Ciò che mi ha fatto capire che dovevo seguire la mia strada è che se andavo a lavorare non avevo il tempo per la musica, mentre se andavo a spacciare da un lato la cosa mi stimolava solo un tipo di musica negativo e avrei rischiato di farmi arrestare e perdere tutto il tempo che avrei potuto dedicare alla musica. Ero già stato così deluso dalla mia famiglia che l'idea di deluderli non era nemmeno contemplata, si trattava solo di perdere il mio tempo."

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"Sono sempre stato il più piccolo del gruppo in cui sono cresciuto e il successo non ha cambiato le persone di cui mi circondo, anche se col passare del tempo qualcuno ha pagato la propria malsemina, mentre altri sono rimasti dei guerrieri che stanno combattendo per riuscire a costruire qualcosa. Quando hai perso sei anni di vita è difficile imparare a crescere e spesso non sei più in grado di rapportarti con le persone."

Tedua mi spiega che c'è il male nel male, ma anche il bene nel male e anche se non è giusto fare l'apologia della vita criminale, come sarebbe potuta essere la sua, è giusto giusti care tutte quelle esistenze che vengono decise nel momento in cui nasci, semplicemente perché il caso ti ha fatto il torto di farti spuntare nella famiglia sbagliata: "E non sono un genio per aver intuito questa cosa, perché in quarta elementare io l'ho capito quando l'ha detta Piton a Potter: che il mondo delle favole non esiste."

"Per noi che siamo cresciuti con il viaggio dello skateboard, del gruppo di amici come un gruppo di hooligans, con il sole e il mare in testa… Svegliarci a 28 anni e scoprire che erano tutte cazzate sarebbe una perdita. È questo che voglio insegnare a chi mi ascolta, che la purezza dell'anima ce l'hai solo quando hai vent'anni e che non puoi fartela schiacciare dal lavoro o dalla tossicità." C'è una scritta a Scampia che recita Restituiamo la strada ai ragazzi. Credo che sia questo che Tedua è riuscito a far intuire ai ragazzi di Genova, che chi ha in tasca "quattro telefoni e la medicina" non ci pensa nemmeno un secondo alle storie dello street rap. "Ai criminali veri non gliene fotte un cazzo di noi o del rap."

Quello che sta facendo per i ragazzi di Genova, mentre mi porta a conoscerli uno per uno, è incoraggiarli ad investire nella loro creatività e in ciò che di unico hanno da offrire al mondo, perché nessuno lo farà al posto loro e il tempo a disposizione è poco: "C'era un articolo che diceva come la creatività cali una volta passati i vent'anni… Ma non so spiegartelo bene, sono cresciuto in strada. Sono un pressapochista."

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