Cibo

Perché il vino al ristorante costa di più

Il ricarico dei vini in un ristorante a volte ci fa storcere il naso. Ma come funziona esattamente? Che costi ci sono dietro? L'abbiamo chiesto a tre ristoratori.
Francesco Morresi
Senigallia, IT
Ricarico vini ristorante italia
Foto per gentile concessione di Røst

“Prendi i bicchieri, per esempio: costano quasi quattro euro più Iva l’uno. Hai idea quanto spendo di bicchieri in un anno?”

Oggi parliamo di vino. E di quella irrazionale, onnipresente voglia di capire perché quel vino, al ristorante, ci costa un sacco di più. Per alcuni questa storia dei ricarichi sui vini può essere già conosciuta, ma volevamo andare al fondo della questione.

Partiamo da una domanda semplice: quanto pagheresti la miglior bistecca sulla piazza? Il taglio di carne che preferisci, cottura da manuale e camino che crepita mentre riscalda la sala di un bel ristorante. Bene, quanto spenderesti invece per lo stesso taglio di carne dal macellaio? Da scegliere e cucinare a casa tua con quella vecchia bistecchiera comprata da Ikea? Niente fuoco che crepita, ovviamente. Ci siamo capit*.

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Il punto è che le stesse cose, in scenari diversi, hanno diverso valore: ci sono di mezzo lavoro e conoscenza, che si traducono in scontrini diversi. Stai pagando lavoro, saggezza e un sacco di altre cose, teoricamente.

Ma possiamo fare lo stesso ragionamento con la bottiglia di vino che accompagna? O meglio, lo facciamo con la stessa immediatezza?
Due bottiglie uguali, una ti viene servita al tavolo e l’altra la compri in enoteca; una costa la metà dell’altra.
Perché? Quali sono i meccanismi che i sommelier e gli osti prendono in considerazione per fare il ricarico sul vino in carta?

Abbiamo chiesto a tre persone che lavorano con il vino di aiutarci a districarci nel mondo dei ricarichi.

Costo vino ristorante ricarico.

Enrico Murru (a sinistra). Foto per gentile concessione di Røst.

“Io non farei neppure il paragone con l’enoteca fisica.” Per Enrico Murru, cofondatore e uomo di sala di Røst, interessante bistrot milanese dalla filosofia nordeuropea —ma decisamente italiano—, sarebbe in realtà ora di confrontarsi con gli e-commerce, invece che con le enoteche.
“Sono i nostri più grandi competitor al momento. Contestualizzandolo nel discorso ristorativo, mi sono capitati clienti che, prima di pagare, mostrano lo schermo del loro telefono. Ti dicono che stanno per pagarti 40 euro una bottiglia che online ne costa 18,” dice Enrico Murru.

Il prezzo del vino deve essere calibrato con il costo del cibo e con il prezzo medio delle bottiglie in carta. Così, se una bottiglia in enoteca costa 10 euro, può costare 25 in trattoria e 50 in uno stellato.

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Secondo Murru, non si può, ovviamente competere con il modello web, accessibile a tutt*, e sarebbe insensato farlo sulla concorrenza dei prezzi. “Dobbiamo per forza trasferire un maggiore valore nella bottiglia per giustificare un prezzo più alto. Abbiamo impiegato mesi a perfezionare la nostra carta, circa duecento etichette che rappresentano una scelta decisa e consapevole verso la naturalità nel vino. Vogliamo prodotti che abbiano qualcosa da raccontare e studiamo costantemente per trovare il modo migliore di comunicarlo ai nostri clienti.”

Tutto questo in un mercato, come quello milanese, dove la media è di circa 25-30 euro a bottiglia (un po’ più alto della media italiana, di 17 euro) e c’è parecchia competizione, per cui è bene non solo sapere raccontare meglio degli altri, ma anche conoscere i trend a menadito.
Il prezzo del vino, poi, deve essere calibrato sempre con il costo del cibo e con il prezzo medio delle bottiglie in carta; e così, se una bottiglia in enoteca costa 10 euro, può costare 25 in trattoria e 50 euro in un ristorante stellato.

Vini ristorante costi e ricarichi

Valeria Romano di La Valevineria. Foto per gentile concessione di La Valevineria.

Però non di sole grandi città vive l’Italia. Per questo ho sentito l’esigenza di confrontarmi anche con la realtà di una piccola provincia, per capire se ci siano e quali siano le differenze coi grandi centri.

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“La mia è una realtà piccola e di provincia, mi racconta Valeria Romano di La Valevineria, un piccolissimo locale a Falconara, nelle Marche. “Passo le giornate di chiusura del locale a girare aziende agricole per trovare nuovi vini o per vedere dove nascono i vini che già mi piacciono.”

Valeria Romano mi fa capire bene alcuni costi a cui non pensiamo. I bicchieri, per dirne una: lei fa solo mescita, di sera, e se ne rompono parecchi: “costano quasi quattro euro più Iva l’uno. Hai idea quanto spendo di bicchieri in un anno?,” mi dice. E, sulla scelta di prediligere la vendita alla mescita: “ho deciso di mettere al centro la mescita al calice perché così posso far assaggiare più vini. Ma al calice il rincaro è ancora più alto.”

Quando stappi una bottiglia hai poco più di un giorno per servirla, se non vuoi versare un prodotto in decadimento, e se parliamo di vini spumanti il tempo è ancora meno. Rimanere con l’ultimo calice della bottiglia invenduto significa perdere un quinto o un sesto del prezzo che incasseresti dalla bottiglia. Insomma, un rincaro maggiore serve anche per coprire questo rischio.

La scelta però ha permesso a Valeria di consolidare un modello dove il confronto con il gusto della propria clientela viene incentivato e approfondito. Il dialogo per trovare il giusto vino diventa la base su cui fondare un rapporto di fiducia. “Così posso capire i gusti del cliente,” mi dice. Considerate che lontani dalle città più grandi non è semplice trovare locali che fanno lo stesso. “Ed è una scelta gratificante visto che, anno dopo anno, entrano sempre meno persone che chiedono una bollicina. La clientela è sempre più curiosa.”

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Vino costi ricarichi ristoranti

Ristorante Consorzio. Foto per gentile concessione di Ristorante Consorzio.

Pietro Vergano è uno dei fondatori del ristorante Consorzio di Torino. È da locali come il suo, aperto nel 2008, che la cucina italiana ha trovato una strada per rinnovarsi. Non solo ingredienti, non solo tecnica; per portare aria fresca bisognava rimettere al centro dell’esperienza la condivisione, cosa che, senza vino, non si riesce a fare.

“Non sono sicuro di percepire questo problema,” mi dice al telefono Pietro Vergano. “Abbiamo un rincaro sul vino, certo, ma se si riesce a comunicare bene quello che si fa è fisiologico che il cliente lo accetti.”

“I ricarichi coprono spesso anche il fattore umano: sono necessari per un ambiente lavorativo sano.”

E mi dice che non serve nemmeno parlare dei costi diretti che un ristorante deve coprire: “Ha senso dire alle persone che alcuni nostri bicchieri costano trenta euro da vuoti? Che abbiamo comprato una lavabicchieri a osmosi per romperne di meno? Il prezzo di un vino non dipende solo dalle spese dirette che gli ronzano intorno, tutte le spese che affronta il ristorante partecipano al rincaro.” Può sembrare una banalità, ma forse non sapevate che a volte, quello che vi sembra un normale calice, costa quanto una buona bottiglia di vino.

Grazie alla vicinanza geografica, Pietro va molto spesso in Francia. Ed è interessante, perché può fare un raffronto. E lì è assolutamente normale trovare ricarichi sui vini che a noi sembrerebbero enormi.Lì è comune vedere una bottiglia in carta a più di quattro volte il prezzo che è costata al ristoratore. In Italia, invece, una bottiglia si rivende a poco più del doppio di quanto si è pagata, difficilmente a più del triplo.”

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Ma i ricarichi coprono spesso anche il fattore umano: “sono necessari per un ambiente lavorativo sano,” mi dice ancora Pietro Vergano. “Si tiene basso lo scontrino per non far scappare il cliente, ma poi incappi in forza lavoro sfruttata che se ne va. Ti tieni il cliente, ma perdi i tuoi dipendenti. Noi abbiamo scelto di essere più cari della media torinese anche per trattarl* meglio: il ricarico sui nostri vini è anche questo.”

Ora, forse, quando guarderete in una carta dei vini qualche bottiglia che ricordate sullo scaffale del supermercato a molto, molto meno, non penserete subito che vi stanno fregando.

Oddio, a volte succede, eh. Ma è anche bello pensare che stiate coprendo non solo i costi di un’attività che è anche—e soprattutto—umana.

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