killer dei cani san marino
Attualità

Il mistero irrisolto del 'killer dei cani' che ha terrorizzato San Marino

Dieci anni fa, una serie di delitti con bocconi avvelenati ha scosso la popolazione del microstato. Il responsabile non è mai stato trovato, ma il caso riemerge a ogni ritrovamento sospetto.
Juta
illustrazioni di Juta

Nel 2011 lavoravo in un quotidiano di San Marino e devo ammettere che—tra le prime inchieste giudiziarie sulla malavita organizzata, gli intrallazzi politici e le acrobazie finanziarie—in redazione l’impatto dei cani uccisi, almeno all’inizio, ci era sfuggito. 

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Guardando indietro, il mio primo ricordo della vicenda mi vede seduto alla scrivania e di fronte a un computer; è giugno, e alla mia destra c’è una donna che ha appena perso due cani, entrambi uccisi da quello che veniva indicato come un assassino seriale. Ascoltare la sua esperienza è stato emotivamente molto forte: alla fine, nell’articolo, mi ero limitato a riportare quasi esclusivamente le sue parole.

Me ne sono ricordato qualche giorno fa, notando che erano passati dieci anni. Ho trascorso qualche ora a fare ricerca tra Internet e vecchi quotidiani, telefonato ad alcune delle persone coinvolte e ai colleghi di allora, e trovato dei pezzi sui cani della donna (Tea e Maya) pubblicati a fine giugno del 2011.

Parlavano di una figura che stava mandando in tilt la Repubblica di San Marino, gettando nel panico padroni e animalisti, innervosendo le istituzioni e impegnando le forze dell’ordine. La sua arma erano dei bocconi avvelenati, e la formula con cui veniva descritto era “killer dei cani.” Una persona mai identificata, e responsabile di una scia di delitti che ancora oggi inquieta la comunità sammarinese.

Negli articoli su Tea e Maya, l’Associazione Sammarinese Protezione Animali l’aveva definita “una vera e propria emergenza nazionale,” notando che la comunità stava vivendo da mesi “nell’incubo e nella rabbia.” Mentre gli avvelenamenti stavano “assumendo proporzioni inaccettabili,” dicevano, nessuna “nota ufficiale del governo si è levata per affrontare il problema in maniera efficace e organica.”

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Il fenomeno racchiudeva diverse dimensioni: una relativa alla sicurezza di animali e persone, nonché alle modalità con cui i sammarinesi stavano reagendo. L’altra collegata all’approccio, giudicato discutibile da molti, con cui le istituzioni stavano affrontando una crisi che si concentrava in meno di un terzo della superficie di San Marino, circa 60 chilometri quadrati a mezz’ora d’auto da Rimini, nell’entroterra romagnolo. 

Gli avvelenamenti erano iniziati a fine marzo 2011. Prima un cane, poi due, poi tre, poi troppi. Il numero era salito a passo spedito, tanto che dopo qualche settimana si contava già una decina di vittime. La Gendarmeria, uno dei principali organi di polizia di San Marino, aveva ricevuto sei denunce contro ignoti. Il tribunale non si era ancora mosso: lo avrebbe fatto, sollecitato, più tardi. 

A metà aprile dello stesso anno la carcassa di uno degli animali e lo stomaco di un altro esemplare erano stati spediti a un istituto zooprofilattico italiano per capirne di più. I quotidiani riportavano il “malcontento intorno all’operato delle forze dell’ordine” e gli indizi ignorati. Nel frattempo, la Protezione Animali e altri volontari si erano rimboccati le maniche: volantini di allerta nelle zone interessate, qualche appostamento, vari appelli e una taglia che avrebbe poi superato i 700 euro. 

Si ragionava su diverse ipotesi, fra cui la possibilità che dietro agli avvelenamenti ci fossero una o più persone, e che le varie azioni fossero collegate tra loro (ipotesi in seguito confermata dalle analisi sul veleno utilizzato). 

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Giorno dopo giorno si leggeva sui giornali che “l’esasperazione dei cittadini contro questi reati [...] sta superando il limite di guardia,” e che i residenti vivevano “in un clima di paura non solo per gli animali, ma anche per i propri bambini.” A inizio maggio si era tenuto un incontro pubblico dal titolo “Attenti all’uomo,” organizzato da associazioni ed enti locali. L’obiettivo era spiegare come agire in caso di avvelenamento, come prevenirlo e quali erano i rischi per i più piccoli. 

killer dei cani san marino

Alcuni titoli di giornale sul "killer dei cani" di San Marino. Foto dell'autore.

La stessa sera del convegno era però arrivata la notizia di una nuova vittima, un labrador. L’allerta si era alzata ancora di più: un ragazzo che camminava in un bosco con un borsello di grandi dimensioni era stato segnalato alla Gendarmeria, che aveva subito inviato quattro pattuglie sul posto. Tuttavia si trattava di un falso allarme, perché il killer non era lui.

Qualche giorno dopo, un gruppo di volontari aveva bonificato alcune aree dalle esche avvelenate, consegnandole alle forze dell’ordine. Lo sforzo era teso verso un miglioramento della situazione, che di lì a poco avrebbe invece preso una nuova piega.

A fine maggio era in programma un’esposizione canina internazionale con decine di edizioni alle spalle. Si sarebbe dovuta svolgere proprio nel raggio d’azione del killer, che nel frattempo aveva colpito ancora. Il 28 maggio del 2011 erano stati trovati tre cani avvelenati, di cui due morti; una padrona era stata colta da un malore, e centinaia di partecipanti all’esposizione si erano dati alla fuga. L’eco della notizia aveva oltrepassato San Marino, arrivando fino all’Ansa. La sera stessa, uno studente di 20 anni aveva chiesto l’intervento di Striscia la Notizia

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A quel punto, le associazioni e le altre realtà che avevano seguito la vicenda fin dall’inizio erano scese in piazza. Alla fiaccolata avevano preso parte circa 300 persone—quasi l’un percento della popolazione. Sugli striscioni si parlava di “strage,” mentre il killer veniva descritto come “qualcuno disturbato mentalmente” che “si aggira seminando morte, paura, veleno, dolore e agonia.”

I manifestanti avevano lanciato accuse piuttosto esplicite alle istituzioni, specialmente per la gestione della mostra canina. “Si devono vergognare soprattutto quegli uffici che nonostante gli allarmi [non si sono] mossi, non hanno fatto una piega,” aveva detto Emanuela Stolfi della Protezione Animali.

Nel frattempo era stato individuato il veleno utilizzato, chiamato Endosulfan. Come precisato durante una seduta del parlamento sammarinese, si tratta di una sostanza “utilizzata in agricoltura” e bandita dal commercio in Italia nel 2006 “a causa della sua tossicità e quindi pericolosità per l’uomo e per l’ambiente.” A San Marino non era regolamentata, ma non risultava disponibile. 

Il bollettino ufficiale registrava ormai oltre venti avvelenamenti, la maggior parte dei quali fatali. Tentando di tracciare un identikit, la Gendarmeria aveva preso in considerazione più opzioni. L’autore dei reati poteva essere un sammarinese o un residente fuori confine, infastidito dagli escrementi oppure intenzionato a sabotare l’esposizione canina. Dei tre organismi in cui sono divise le forze di polizia—Polizia Civile, Gendarmeria e Guardia di Rocca—la caccia era portata avanti da un solo corpo. In tribunale era stato presentato un esposto firmato da 1.500 persone. 

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Il killer aveva iniziato la sua catena di avvelenamenti piazzando i bocconi nelle zone più quotate per le passeggiate di padroni e animali, tra cui aree verdi con ampi marciapiedi e parchi. Gli episodi dell’esposizione canina rappresentavano un salto di qualità, ma l’escalation non si era fermata lì: a fine giugno erano stati uccisi Tea e Maya, i cani della padrona che era venuta in redazione a raccontarmi la sua esperienza. 

È stata la goccia che ha fatto ribaltare un vaso dal quale l’acqua traboccava da un po’. “Siamo pronti a prenderci la briga di formare gruppi volontari per stanarlo e vendicare la scomparsa dei nostri poveri animali,” aveva dichiarato un proprietario. “Questo delinquente è nel mirino di tante persone. Non potrà più dormire sonni tranquilli.” 

Se fosse venuto fuori un indiziato, e soprattutto se fosse stata rivelata la sua identità, avrebbe seriamente rischiato il linciaggio. Questa, almeno, era l’impressione che si aveva in quei giorni. 

Nel frattempo, non si placavano le critiche sulla gestione del problema da parte di enti e istituzioni: capitava infatti che alcuni cani fossero avvelenati negli stessi luoghi in cui altri animali erano venuti in contatto con le esche. La sensazione è che mancassero bonifiche tempestive, la chiusura delle aree interessate, nonché cartelli informativi nelle zone a rischio.

Il governo aveva annunciato la creazione di una task-force. Nel frattempo gli agenti erano andati a rispolverare una serie di incidenti simili avvenuta quindici anni prima, più o meno nelle stesse aree. Le indagini non erano arrivate a nulla di concreto; ma alla fine, all’improvviso, gli avvelenamenti si erano fermati. 

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La Protezione Animali continuava però a chiedere giustizia, e alcuni parlamentari di opposizione sostenevano che c’era un sospettato numero uno—con un volto e un nome—ma che per qualche strano motivo non si voleva andare fino in fondo. 

Il tribunale ha archiviato il caso nel novembre del 2013, circa un anno e mezzo più tardi. Nel dibattito si erano lanciate alcune accuse di presunte ingerenze politiche. Un movimento di opposizione aveva chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta, poi mai attivata. 

L’impatto di quella vicenda si è trascinato ben oltre la conclusione giudiziaria del caso. Nel luglio del 2019 sono stati trovati dieci bocconi di carne per terra, poi risultati innocui dalle analisi. Nel febbraio del 2021 è invece spuntata una polpetta con carne mescolata a frammenti di vetro. Ad ogni ritrovamento sospetto, insomma, il timore è sempre lo stesso: sarà tornato?

Per stendere questo pezzo sono tornato sui luoghi degli avvelenamenti, con in mente scene e fotografie di dieci anni fa: le strade allora piene di agenti sono vuote, le loro vetture sparite, così come le voci di panico, rabbia e frustrazione. Dove c’era un recinto c’è una staccionata, dove c’erano i volontari in azione ora c’è l’erba incolta. 

È come visitare un’area in cui si è girato un film, una specie di mezza allucinazione che fa sembrare irreali le memorie. Mancano i cartelli affissi vicino al giardino di Maya e Tea per chiedere chiarezza; manca il mattone rosso con una scritta in pennarello blu, collocato in un punto in cui sullo sfondo spiccava Palazzo Pubblico, la sede simbolo delle istituzioni sammarinesi. 

Lo ricordo bene. C’era scritto: “La giustizia degli uomini non paga. La giustizia di Dio lo farà.” Era come se il messaggio fosse rivolto in quella direzione.

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