Il pop potrebbe imparare qualcosa da Kali Uchis

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Musica

Il pop potrebbe imparare qualcosa da Kali Uchis

Forse Kali è troppo retrò, creativa, colombiana e femminista per sfondare veramente nel pop americano, ma diamo tempo al tempo.
Daisy Jones
London, GB

Uova. Latte. Formaggio. Pane. UN RAGAZZO. Non è la lista della spesa più normale del mondo, ma è quella che Kali Uchis mostra alla telecamera nel video di "After the Storm", la sua collaborazione con Tyler, the Creator e Bootsy Collins, uscito qualche mese fa. È uno di quei visual così ben fatti che ti fanno venire voglia di entrare nello schermo se non uscire mai più. I colori sembrano presi da un libro per bambini, se solo la trama fosse un'utopia surrealista. Kali canta a occhi socchiusi, appoggia il mento sulle mani, le unghie perfettamente curate. Scivola lungo la corsia di un supermercato su tacchi gialli, e la sua spesa prende vita. Sembra una visione da febbre a 39, ma in senso buono.

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È dal 2012 che Kali Uchis, americana di origine colombiana, crea piccoli universi in cui perdersi. Quell'anno pubblicò un mixtape, Drunken Babble. Lo aveva prodotto interamente da sola, e aveva 17 anni. L'anno scorso ha pubblicato un video che sarebbe dovuto finire su tutte le liste dei migliori video del 2017: "Tyrant", assieme alla cantante inglese Jorja Smith. E prima ancora era arrivata "Nuestro Planeta", un brano tanto sudato quanto di classe cantato assieme a Reykon, stella del reggaeton colombiano. Sono sei anni che Kali produce musica di qualità ma, per qualche motivo, non le è ancora stato riconosciuto lo status di "grande" della scena. L'anno scorso è stata nominata per un Latin Grammy, l'equivalente dell'industria discografica latina dei Grammy americani, per il suo featuring su "El Ratico" di Juanes. Ma vi sfido a trovare qualcuno che la metta nella stessa categoria di gente come, per dirne un paio, Lana Del Rey o FKA twigs. Kali è una promessa, ma quanto ci vuole prima che questa venga considerata avverata?

Il primo album di Kali Uchis, Isolation, è uscito venerdì. Solo il futuro ci dirà se potrà essere un punto di svolta nella sua carriera, ma dovrebbe proprio esserlo. Gli aggettivi che mi viene da usare per descriverlo sono proprio quelli che avrei voluto usare: sognante, febbrile, femminista. Il suo immaginario affonda le radici tanto nella cultura colombiana che in quella californiana, evoca immagini di panni stesi ad asciugare al sole del mattino, lowrider parcheggiate in quartieri dai colori pastello illuminati, la notte, da luci al neon. Nei suoi testi parla di se come se fosse perennemente innamorata. È tanto beata quando distaccata, le sue parole foderate di romanticismo. Anche quando è velenosa, come su "Dead to Me", canta come se si fosse già lasciata tutto dietro e non vedesse l'ora di scoprire quello che il futuro le prospetta: "Pensi di avere qualche problema con me, baby, ma io a te neanche penso…"

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A Isolation ha contribuito una serie impressionante di producer e autori. I Gorillaz hanno scritto e co-prodotto "In My Dreams", un brano strambo e nervoso in cui Damon Albarn ci regala quella che è la sua idea di felicità. Thundercat, uno degli uomini che hanno ideato e realizzato il mood musicale di To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, ha reso "Body Language" un'ipnotica cacofonia di fiati jazz che sottolineano l'euforia nella voce di Kali. I giovani maestri del jazz BADBADNOTGOOD, già suoi collaboratori in passato, compaiono sulla sopracitata "After the Storm". E Kevin Parker dei Tame Impala compare su "Tomorrow", sporcando di psichedelia la tavolozza di Kali.

Kali Uchis non è solo una cantautrice, ma è una di quegli artisti capaci di creare un universo creativo attorno a tutto ciò che fanno. Un mondo a 360 gradi in cui scrive le sue canzoni, dirige la maggior parte dei suoi video mantenendo un immaginario costante e tesse con cura un patchwork di collaboratori che vanno a elevare il suo suono e la sua estetica, ma senza mai adombrarli. Per intenderci, mi verrebbe da fare un parallelo con artisti come Charli XCX e Kevin Abstract.

È difficile spiegare perché Kali possa essere considerata una stella e non una superstar. Forse è perché non ha ancora pubblicato brani spiccatamente pop, quelli che vengono ingurgitati dalle radio e rivomitati per un'estate fino a renderli tormentoni. Forse è perché gli elementi jazz e doo-wop del suo sound sono troppo rétro o fuori dagli schemi per renderla la nuova Lana. Forse è perché è una donna, e c'è ancora chi fa fatica a credere a quanta autonomia abbia avuto in tutto ciò che ha pubblicato. Ad ogni modo, Kali è conscia del suo talento: "Posso comunque reclamare la mia femminilità, posso comunque prendere possesso della mia sessualità, mettermi ciò che voglio, apparire come voglio, essere chi voglio", ha dichiarato in un comunicato stampa allegato all'album, "e questo non significa che non posso anche essere una creativa, un'intellettuale, una persona che decide della propria vita". Forse Isolation porterà il mondo ad accorgersene. Almeno, speriamo.

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Questo articolo è apparso in origine su Noisey UK.

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