Cultura

Il nuovo Watchmen non è come te lo aspetti

La serie di Damon Lindelof si discosta molto dal fumetto, moltissimo dal film—ma forse è questo il bello.
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Grab via Youtube/Hbo.

Attenzione: il pezzo contiene spoiler solamente dove indicato.

Ho riguardato il Watchmen di Zack Snyder. Per la prima volta da quando l’ho visto al cinema nel 2009, e poi a casa un altro paio di volte, mi è sembrato piatto e amorfo. Negli anni mi sono trovata molte volte a difendere il film dai detrattori: fatta eccezione per l’elisione di una parte fondamentale—ma di complessa resa cinematografica—è talmente fedele al romanzo a fumetti di Alan Moore e Dave Gibbons che il copione si può seguire direttamente dalle vignette. Non poco se si pensa alla generale impossibilità di adattamento del volume nelle sue molte voci, e nelle sue molte trame principali e secondarie. Senza dimenticare che la trasposizione dell’universo narrativo nella sua vivacità visiva, mi sono ripetuta più volte, vale assolutamente la visione.

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Poi, però, è arrivato il Watchmen di Damon Lindelof.

Avete probabilmente presente la faccenda del nodo gordiano, e se non è così eccola qui in estrema sintesi: Alessandro Magno, trovatosi di fronte a un nodo impossibile da sciogliere, decise di tagliarlo a metà con una spada e farla finita. Oggi 'sciogliere il nodo gordiano' è l’espressione che si usa per il tipo di pensiero divergente capace non solo di andare al nocciolo della questione, ma di generare soluzioni fuori dagli schemi a un dato problema che appare irresolubile. Ecco, io sono convinta che l’adattamento impossibile di Watchmen sia precisamente un problema da scioglimento del nodo gordiano.

La scommessa di Snyder era perduta in partenza e Damon Lindelof, l’ideatore della serie omonima in questi giorni in onda su Sky Atlantic, doveva saperlo. Così ha costruito uno show che è in tutto e per tutto il fumetto, e però non lo è; come dire che per portarlo in vita, e bene, l’unica soluzione era non portarlo in vita affatto, tradendo la stessa nozione di trasposizione.

Lo show si situa infatti in una sorta di zona liminale tra lo spin-off e il sequel; la stessa Hbo lo ha annunciato più volte come "remix" (nodo gordiano, si diceva) perché probabilmente non sapeva come altro diavolo chiamarlo. Racconta una storia del tutto originale, infatti, che edifica sulle fondamenta dei fatti noti a chi ha letto e conosce bene il fumetto, ma funziona anche piuttosto bene come creatura a sé.

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Da vero alchimista, e in maniera non così diversa da uno dei protagonisti più noti di Watchmen e cioè Dottor Manhattan, Lindelof ha generato materia da materia, sostanza da sostanza. Ed è riuscito a non sottrarre a una per dare all’altra, ma ad arricchire entrambe. Il lavoro di Moore e Gibbons è nutrito e irrobustito da quello della serie, e credo che questo davvero nessuno—nessuno—si aspettasse fosse possibile. Perché, di nuovo, non è neppure di traduzione da un medium a un altro che si parla, ma di qualcosa di simile a una clonazione fantasiosa con grandi licenze "poetiche."

Complicato? Ci potete scommettere. Watchmen è complicatissimo. È complicato come Westworld, la serie di Jonathan Nolan e Lisa Joy di casa ugualmente su Hbo ed è uno spettacolo di scatole cinesi e conigli nel cappello come The Prestige di Christopher Nolan; ma è anche struggente e stupefacente come The Leftovers di Lindelof stesso. Nasce da un testo straordinariamente complesso che poggia su un asse di significati strettamente sovrapponibili (si pensi al gioco semiotico di watch/guardia e orologio e watchmen/guardiani ma anche orologiai, tanto per dirne una) e non si accontenta di riprodurlo.

Lindelof vuole mimarlo: ogni personaggio della serie ricalca un personaggio o almeno una figura del fumetto e molte sequenze di eventi, pur differenti nella contingenza, fanno clic con quelle del fumetto. E siccome questa recensione senza spoiler sta diventando più difficile da scrivere del previsto, è il caso di dare almeno un cenno alla premessa "clonata" dello show: è la storia di una terza generazione di vigilanti mascherati che succedono ai Minutemen (la prima generazione presente nel volume originale e nella serie) e ai Watchmen così come li abbiamo conosciuti, con Rorschach e tutti gli altri (la seconda generazione).

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Un filo rosso, tutt’altro che sottile, unisce queste tre epoche di eroi a volte giusti, a volte vanagloriosi, altre volte futili. E, come già nel libro, qualcuno scollina da un’epoca all’altra. Gli Stati Uniti non sono gli Stati Uniti che conosciamo: hanno vinto la guerra in Vietnam, e poi sono stati scossi dal terrificante avvenimento ben noto a chi ha letto il romanzo. Lindelof nella serie, inoltre, amplifica con grande forza il tema del suprematismo bianco che non era comunque assente sulla pagina, e lo potenzia con lo spettro del populismo.

Però non è la trama a rendere Watchmen impressionante, o meglio. Quel che rende la serie un’autentica fuoriclasse è la sua statura culturale di prodotto "derivato" ma mai derivativo. E la sua natura ibrida, come si diceva, che a lungo andare mostra fino a che punto da spin-off a "serie compagna" quella di Lindelof sia un sequel a tutti gli effetti. Non c’è omaggio, in Watchmen, c’è aderenza ai margini: è come un lavoro di punto croce su un vecchio disegno che, però, ne sovrappone uno tutto nuovo; identico nella forma ma diverso nella figura tratteggiata, e anche nei colori.

Questo paragrafo potrebbe contenere uno spoiler quindi, nel caso, saltatelo. Però tocca fare almeno un esempio di quanto detto. Dunque: il Watchmen originale è stato oggetto di critiche circa alcuni contenuti percepiti come misogini, e la rappresentazione femminile non proprio eccellente. La nozione si può confutare o meno: parte della vicenda include uno stupro ai danni della vigilante in costume Sally Jupiter/Silk Spectre dei Minutemen e viene mostrato senza lesinare dettagli, fatto di per sé controverso. E in genere le eroine della vicenda (tre in effetti, su quattro personaggi femminili in tutto) indossano costumi sessualizzanti al massimo. Sally si dimostra peraltro, nella vecchiaia, debitrice e innamorata del suo stupratore (Edward Blake, il Comedian) che si scopre essere il padre illegittimo di Laurie, la figlia di Sally che poi ne prende il posto nei Watchmen sempre con il nome Silk Spectre. Pur rifiutando la madre e i suoi atteggiamenti, Laurie non è però particolarmente prominente e funziona spesso da scalpello del più importante Dottor Manhattan che è il suo compagno almeno fino a che non emigra su Marte. Ora, lasciando stare l’obiezione per cui nel volume di Moore e Gibbons siano tutti mostri, in effetti e la sessualizzazione delle donne sia sottolineata in negativo come una distorsione degli Stati Uniti allegorici e distopici che fanno da sfondo agli eventi, il Watchmen di Lindelof aggiunge contemporaneità a una storia già d’avanguardia per i suoi tempi mettendo al centro dei fatti della serie proprio Laurie, Silk Spectre, che nel frattempo è una dei pochi vigilanti originali sopravvissuti ed è davvero tutt’altro che un personaggio scalpello.

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(Ora potete tornare a leggere). Infine c’è un fatto che va evidenziato, ed è che Lindelof non è un autore qualunque. È l’autore che per alcuni versi ha inventato la serialità televisiva così come la conosciamo oggi al suo massimo grado di fascino e (talvolta eccessiva) artificiosità, perché è uno degli autori di Lost. È anche l’autore che ha pagato e patito di più per quello che è accaduto alla fine di Lost, considerate le numerose lettere che ha scritto e scrive ai fan giustificando il finale per cui continua a essere dilaniato dai cani feroci.

Senza sminuire la portata dello straordinario The Leftovers che echeggia rumorosamente in Watchmen per una varietà di motivi che sarebbe spoiler rivelare, è anche la lezione di Lost che emerge dalle maglie della serie e sottolinea la rara capacità dello showrunner di dar vita a storie che procedono, per così dire, a zig zag. Non c’è sollazzo nelle vicende lindelofiane, ma la fatica e la ricompensa di trovarsi catapultati in medias res in universi narrativi la cui comprensione procede per gradi e per soluzione graduale di enigmi mentre gran parte del lavoro è dedicata alla conoscenza dei personaggi da parte dello spettatore.

La serie, come si è detto, funziona da sola ma è molto, molto meglio goduta se corredata dalla lettura del testo originale su cui gira vorticosamente. Sembra, però, anche voler agire da agente saturante del filone fantascientifico televisivo più o meno recente. In ogni puntata di Watchmen che guardo scopro, in filigrana, strizzate d’occhio a Rick and Morty, Fringe, persino Stranger Things.

Succede perché, come True Detective con il poliziesco ai tempi—con i pregi e i difetti del caso— anche Watchmen sembra funzionare da pietra miliare, o almeno da segnaposto: "Tu sei qui," sembra mormorare Lindelof, o forse la serie stessa, raccontando anche di un momento nel quale la tv può permettersi di fare da medium eletto per una storia secondaria che sta in piedi su una storia primaria, pur rifiutandosi di essere meno importante.

È compito della televisione, adesso, custodire i custodi.

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