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Con la squadra che si occupa dei cadaveri di chi si butta sotto i treni

"La parte più terribile è quando i macchinisti vedono quello che sta per succedere e sanno di non poterci fare niente."
Un momento di 31 Hours.

Sulla rete ferroviaria britannica c'è un suicidio ogni 31 ore, e la casistica ci dice che è molto più probabile sia un uomo che una donna.

In queste settimane al Bunker Theatre di Southwark, a Londra, è andato in scena 31 Hours, una pièce scritta da Kieran Knowles che racconta le vite di quattro uomini incaricati di intervenire sui luoghi dei suicidi e incapaci di parlare apertamente dei disturbi psicologici conseguenza del loro lavoro. Lo spettacolo ha il sostegno del British Safety Council (BSC), un'associazione attiva da più di sessant'anni per tutelare la salute mentale dei lavoratori britannici.

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Louise Ward, della BSC, ha un passato a capo dell'organo per la Salute e la Sicurezza delle Ferrovie britanniche e per anni ha avuto a che fare con casi di suicidio lungo la rete. Ho parlato con lei di come, insieme alla sua squadra, gestiva questi incidenti tragicamente comuni.

VICE: Come è nata la collaborazione tra il British Safety Council e 31 Hours?
Louise Ward: La salute mentale è un tema che ci sta molto caro, è una delle questioni centrali del nostro tempo. I disturbi mentali sono molto stigmatizzati, in particolar modo in un settore come quello ferroviario. È considerato un lavoro "da uomini", da duri.

A quanti suicidi hai assistito durante la tua carriera in British Rail?
Be', sappiamo che c'è un suicidio ferroviario ogni 31 ore. Ho lavorato lì per quattro anni.

Essendo così frequenti, è mai successo che diventassero semplicemente numeri?
Mai. Quando la mattina guardi il notiziario, non smetti mai di sentire quello che senti le prime volte. Anche il giorno che ho lasciato il lavoro, non riuscivo a smettere di pensare che nelle ultime 24 ore ce ne erano stati uno o due. Eravamo sempre rispettosi verso tutte le persone coinvolte, e capitava ovviamente di risentire a livello emotivo o fisico del lutto.

Qual è la procedura in caso di incidenti?
Il conduttore o una persona dello staff segnala immediatamente l'accaduto. La notizia arriva all'addetto al traffico dei treni, che attiva la risposta di emergenza. A questo punto intervengono il gestore delle operazioni mobili e il suo team, come vuole la British Transport Police. Si recano immediatamente sulla scena. Hanno il compito di decidere se c'è qualcosa di sospetto o se possono procedere. La scena deve essere ripulita in modo rispettoso prima che i treni possano ricominciare a transitare.

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Quanto ci vuole di solito?
Dipende, ogni incidente è diverso. Non ci sono delle regole.

Come è l'atmosfera in una situazione del genere? Ovviamente si è appena verificata una tragedia, ma la gente deve anche essere consapevole degli effetti che questa ha sulla rete ferroviaria.
È professionale, sobria e riflessiva. È molto diverso da un cantiere ferroviario, per dire, in cui ci sono chiacchiericcio e un sacco di confusione.

Louise Ward.

Non voglio essere macabro, ma cosa succede a un corpo quando viene colpito da un treno?Siamo sempre molto cauti nel parlarne. Dipende dalla velocità a cui viaggiava il treno, e dalla posizione della persona durante la collisione. Alcuni saltano dalla banchina. Altre si siedono, si sdraiano o rimangono in piedi in mezzo dei binari. Dipende molto dalle condizioni atmosferiche e dalla posizione in cui sono al momento dell'impatto.

Deve essere traumatico per il macchinista.
È orribile. So di situazioni in cui non hanno mai più guidato un treno. La parte più terribile è quando vedono quello che sta per succedere e sanno di non poterci fare niente. Alle volte viaggiano a più di 250 km orari—quando vedi la persona, ormai sai di non poter fermare il treno.

Viene fornita qualche consulenza ai macchinisti dopo gli incidenti?
Certo, si parte dal momento stesso in cui viene segnalato il fatto. Il controllore del traffico rimane al telefono con il macchinista finché non arrivano i soccorsi, e qualcuno si occuperà poi di assisterlo nel trasferimento dalla scena. È del tutto normale sentirsi a pezzi, e vogliamo far passare questo messaggio. È altrettanto normale volerne parlare. Spesso il sostegno è fornito da chi è passato in prima persona per avvenimenti di quel tipo.

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E il resto della squadra?
È importante che il personale abbia la formazione adeguata a riconoscere una vulnerabilità. Bisogna fare domande, chiedere se serve una mano, spingere la persona che ha subito il trauma a parlare. Spingerla a parlare dei propri sentimenti. Il nostro lavoro è "aggiustare", quindi l'istinto ci porta naturalmente a cercare di far sentire meglio il prossimo, ma non è necessariamente ciò di cui c'è bisogno in un momento del genere. È meglio fare domande, spingere l'altra persona ad aprirsi e arrivare al punto in cui è possibile aiutarli.

Da quando abbiamo avviato un programma di prevenzione dei suicidi in collaborazione coi Samaritans, c'è stato un calo del 12 percento.

Come vedi invece la trasformazione dei luoghi degli incidenti in memoriali?
È una questione complicata. Non dico che non si possa fare, ma in alcuni casi c'è bisogno di minimizzare. Non creare eventi o sponsorizzarli. È un equilibrio delicato, quindi spesso suggeriamo di creare questi memoriali non sul luogo dell'incidente, ma in posti cari alla persona scomparsa.

@gobshout