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Musica

La morte e risurrezione dei Faith No More

Raccontata in prima persona! Ci siamo fatti dire tutto sulla reunion della band dal tastierista e fondatore Roddy Bottum

Roddy Bottum non ha voluto rivelarci chi sia lo schiavo. I Faith No More si sono fatti un set di foto ptomozionali in cui sono tutti in frac e Roddy, "il gay della band" (parole sue) ha uno tizio guantato di gomma al guinzaglio. "È stata una mia idea, ovviamente", ci dice "ma non vi rivelerò il suo nome."

La foto ha comunque un valore più alto: anticipa il nuovo album dei FNM, Sol Invictus, il primo da vent'anni a questa parte. Quando la band si è sciolta nel 1998, Bottum era convinto che non avrebbero mai più suonato insieme, figuriamoci se avrebbero registrato nuovo materiale. Lui e i suoi compari (il cantante Mike Patton, il bassista Billy Gould, il batterista Mike Bordin e il chitarrista Jon Hudson) si sono rimessi insieme nel 2009, senza mettere in conto nessun nuovo album, ma sei anni dopo è successo l'impossibile: sono entrati in studio per fabbricare un nuovo lavoro, una roba che è persino all'altezza di loro classici come The Real Thing, Angel Dust e il sottovalutatissimo Album Of The Year, il disco che sembrava sarebbe stato per sempre il loro ultimo capitolo.

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Chiatamente c'è molto di cui parlare: anzitutto l'improbabilità stessa di questa reunion, l'assenza del chitarrista originale Jim Martin (rimpiazzato da Hudson nel 1996, e il fatto che di recente Bottum ha composto un'opera sul Sasquatch intitolata Sasquatch: The Opera. C'è anche la sua intervista di coming-out rilasciata ll'icona gay Lance Lound nel '93 su The Advocate, come quella volta che incontrò l'altro Roddy: il wrestler e star di They Live “Rowdy” Roddy Piper.

Noisey: Ti chiami Roswell. Da quand'è che ti chiamano Roddy?
Roddy Bottum: In famiglia. Non l'hanno inventato i miei amici, né niente del genere. Mio nonno si chiamava anche lui Roswell, come la città del New Mexico, e lo chiamavano "Roddy". Anche mio padre, ma lo chiamavano "Ros", per cui io, Roswell Christopher Bottum III, fui ancora "Roddy". Lo sono stato fin da piccolo, è un soprannome, ma ce l'ho anche scritto sulla patente. È anche molto divertente, potete immaginare come sia stato crescere chiamandosi Roddy Bottum [ndt: suona come "rowdy bottom", che si potrebbe tradurre come "culo selvaggio" o anche "frocio scatenato"], una vera roba che forma il carattere.

A me fa venire in mente “Rowdy” Roddy Piper.
Di brutto, l'ho pure incontrato una volta.

Davvero? I due Roddy a confronto?
Sì, fu una bomba. Eravamo in Inghilterra per partecipare a un programma TV, una specie di tak show, con noi che suonavamo un pezzo e poi ci mettevamo a sedere con gli altri ospiti, tra cui c'era Roddy Piper, che era totalmente fuori controllo. Salmmo per primi sul palco, e poi salì lui, credo si sentisse stimolato dal fatto che c'era una rock band, che sentisse un po' di competizione; aveva addosso il suo classico kilt ed era crichissimo, si buttava sui muri.. Cercai di inserirmi nella conversazione ma non c'era verso: la monopolizzava. Poi si spensero le camere per la pubblicità e lui si calmò, si girò verso di noi e ci chiese "hei, che state combinando in questo periodo?" Era capace di spegnersi e riaccendersi a comando.

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I Faith No More si sono riuniti ufficialmente nel 2009, ma da quant'era che ne parlavate?
Tre su cinque di noi si ribeccarono al mio matrimonio, a Los Angeles. Non ne parlammo in quell'occasione, ma era la prima volta che ci ritrovavamo tutti insieme nello stesso posto da anni. Fu bello, tipo una cena con la tua classe del liceo… Sai, ho condiviso un sacco di cose con quei ragazzi, e rivedersi dopo tanto tempo fece un bell'effetto, credo fossimo tutti d'accordo. Poi, all'improvviso, ci venne offerto di fare uno show e, nonostante nessuno di noi ci aveva pensato fino a quel punto, essersi già rivisti ci rese più disponibili di quanto saremmo stati qualche tempo prima. Per cui non saprei, è suc

Quando ti sei sposato?
Non ricordo, non sono molto bravo con gli anni, mi ricordo solo in che anno mi sono diplomato: nell'81.

E quando eravate inattivi, avresti mai pensato che ci sarebbe stata una reunion?
Assolutamente no. Eravamo proprio tutti stufi di stare insieme, ed era l'ultima cosa che avevamo in mente. Dal primo tour, fatto con un Dodge del '66, dagli anni passati a dormire sui divani della gente per arrivare a vendere milioni di dischi, è un lungo viaggio, molto duro e difficile. Farlo da ventenni, tra l'altro, prendendo decisioni creative importanti, lavorando insieme, dormendo insieme, drogandosi insieme… era un casino di roba da affrontare. Quando diventammo famosi eravamo già sull'orlo dello scioglimento, ne avevamo veramente abbastanza l'uno dell'altro. A un certo punto ci siamo voltati tutti le spalle a vicenda e non pensavamo ci sarebbe stato ritorno.

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Ci fu un momento preciso in cui tu decidesti che ne avevi avuto abbastanza?
Be', io negli anni Novanta ho combinato un bel po' di casini. Mi drogavo un sacco, poi ho smesso, ma i macelli sono successi tutti insieme: morirono due miei carissimi amici, e poi mio padre. Per esperienza posso dire che, quando ti capita roba del genere, tutto il resto perde completamente di senso. A meno di non amare tantissimo quello che fai, che lo fai a fare? Al tempo dei nostri ultimi due dischi, infatti, non amavo più quello che facevamo, anzi, dopo quelle tragedie mi sembrava davvero insignificante.

E nessuno dei Faith No More voleva più andare avanti?
Credo fosse contagioso. Mi vergogno un po' di avere spinto io le cose in quella direzione, ma iniziai una nuova band e iniziai ad appassionarmi più a quella. Avevamo tutti diversi progetti e opportunità, divenne un virus. Inizialmente eravamo un paio a non starci più dentro, ma poi caddero anche gli altri e la band sfiorì del tutto.

Immagino la band di cui stai parlando siano gli Imperial Teen. Per cui inizialmente erano una reazione ai Faith No More?
Mi sa di sì. Quando iniziammo i Faith No More, Billy [il bassista] era il mio migliore amico. Eravamo cresciuti insieme, ed eravamo molto vicini, ma le strade che abbiamo percorso da lì in poi ci avevano separato parecchio, e mi pareva di essere finito a suonare con persone che non erano più mie amiche. Per l'appunto, gli Imperial Teen invece erano un modo di sollazzarmi e creare insieme a dei miei buoni amici. Per cui sì, fu una reazione ai Faith No More, dato che a quel punto eravamo un mucchio di vecchi rompipalle.

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Non ti piacevano gli ultimi due dischi?
È solo che facevo fatica a concentrarmi sula musica. Poi ci sono stato dentro, ma fu davvero dura. Era un periodo duro.

Come ti sei sentito undici anni dopo, al vostro primo concerto di reunion?
It was really, really crazy. I don’t know if you have these kinds of dreams, but I have these dreams where I’m back in high school and a test is coming but I haven’t studied. I used to have that dream an awful lot. And then sometime after Faith No More broke up, it turned into this dream: I’m showing up for a Faith No More show, and I’ve forgotten how to play the songs. It was a nightmare that kept coming back and coming back. So when we played that first reunion show, it was this crazy reckoning of getting through that nightmare, addressing it, and moving on in some weird, pivotal way. It was super, super emotional. The band was so much a part of my youth, you know? Going back to it and having it be a good thing after all those years was really, really empowering. It’s an opportunity that no one gets. I don’t know who gets to rebuild those bridges that have been burned in their lives.

Ma Jim Martin lo avete scartato a priori o non ha voluto esserci lui?
Inizialmente abbiamo cercato di tirarlo dentro. Per me non c'era storia di fare sta roba senza Jim, e credo ci tenessimo tutti, chi più chi meno. Jim era una persona che creava tensioni nella band, ma gli volevo bene. È un grande e un matto vero, nonché il mio opposto totale: non troverai due persone nella stessa band che siano più diverse tra loro di quanto fossimo noi, ma mi è sempre piaciuto. Volevo ci fosse e gliene ho parlato, per un po' pensavo ci sarebbe stato dentro, ma non

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Non gli interessava?
In realtà, all'inizio credo di sì, ma covava un po' di rancore per come ci eravamo separati. Credo sia stato davvero difficile per lui tornare alla normalità, e l'ha messa in un modo che… Ecco, credo che inconsciamente si sia danneggiato da solo per sdegno, che fosse così ferito dal risentimento che abbia scavato un buco per terra e ci si sia infilato dentro. La vedo così, ma è un tipo molto chiuso in sé, molto mascolino. Non parla di sta roba.

Ho saputo che è un affermato coltivatore di zucche.
Sì, ne abbiamo parlato, mi pare anche sia sposato e abbia due figlie. Penso anche che continui un po' a suonare, e coltiva zucche. Mi pare sia felice.

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Ok, e quindi come siete arrivati all'album? Una cosa è mettersi a jammare i vecchi pezzi, un'altra scriverne di nuovi. Non avevate paura che il vecchio spirito fosse perduto?
No, quella è stata l'ultima cosa a cui abbiamo pensato. Non penso fosse una preoccupazione per nessuno. Prima abbiamo fatto un po' di concerti, poi ne abbiamo aggiunti altri e, nel mentre, ci pareva brutto suonare solo roba vecchia, come menare un cavallo morto. Per questo motivo decidemmo di scrivere almeno un pezzo nuovo, e venne fuori in un modo molto bello e soddisfacente. Avevamo ritrovato un linguaggio comune, c'era ancora. Al che prendemmo la decisione di non fare altri live se non avessimo scritto nuova musica. E così fu.

A me questo disco suona come in classico stile Faith No More, come se non ve ne foste mai andati. È così anche per voi? È importante che lo sia?
Un po', ma credo fosse l'unico modo in cui potevamo farlo, onestamente. Suoniamo come suoniamo, non siamo in grado di fare altrimenti. Grazie, comunque, è molto bello sentirsi dire una cosa del genere. Sto iniziando solo ora a parlare con gente che ha davvero ascoltato il disco, ed è bello sentire che ne pensano. Quello che hai detto tu è molto interessante.

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Lo ammetto: sulle prime ero scettico. Non sono molte le band che hanno tirato fuori una cosa decente dopo tanti anni che non suonavano insieme.
Ah, ti capisco. Anche io lo sono, in genere: ogni volta che si riunisce una band che amavo mi dico "no, dai, non voglio sentirli". È una cosa difficile da far funzionare, molti cercano di aggiornare il proprio suono, il che fallisce sempre. Tipo, io tifavo davvero per i Pixies, ma non ce l'hanno fatta. Credo che a noi sia venuta bene perché non abbiamo detto a nessuno che lo avremmo fatto, per cui nessuno aveva delle aspettative. Noi abbiamo fatto l'unica cosa che siamo capaci di fare, cioé essere noi stessi, ma c'era una vaga idea di tornare alle nostre radici, e sono quasi sicuro che ci sia venuto bene.

Il primo singoo si intitola “Motherfucker.” Sembra una dichiarazione di intenti, ma la canzone in sé non è molto rappresentativa del suono del disco. È fatto apposta?
No, ma ci andava di fare una dichiarazione forte, dire alla gente che non stavamo facendo giochetti. La stessa parola "motherfucker" è una roba divertente da buttare lì, è un po' offensiva, crea un vago senso di antagonismo… Comunque sì, è completamente diversa dal resto del disco. Canto io, il che è strano, mi rendo conto, ed è un pezzo molto semplice e asciutto. Insomma, ci piaceva l'idea di iniziare il nuovo capitol dei Faith No More con un pezzo intitolato "Motherfucker".

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Vi hanno spesso accusato di avere ispirato Korn, Limp Bizkit e Linkin Park. Sentite questa responsabilità?
Assolutamente no. Non è roba mia, non ho nemmeno idea di che roba suonassero quele band. Non sento nessuna affinità, e quella fu una nidiata di band davvero strana. Io ho in qualche modo portato una componente "femminile" nel suono della band, per cui mi sento al sicuro da quella roba. Non ho mai rischiato di essere additato come uno di quelli a cui piacevano le robe pese, e credo fosse un elemento del suono della band su cui si è concentrata altra gente, non io. Neanche ce lo sento, a dire il vero. Però può capitare che chi fa musica di merda abbia buoni gusti.

Lance Loud ti intervistò per The Advocate nel '93, il che fu praticamente il tuo coming-out party. Oggi che ne pensi? Nel 2015, rivelare di essere gay è meno impegnativo, ma nel 1993—specialmente nel giro della musica heavy—doveva essere una roba tosta…
Molto, sì. Erano in tanti a non essere aperti sulla propria sessualità, specialmente in quel campo. Quando mi dichiarai eravamo in tour coi Guns N' Roses e i Metallica, e fu una cosa stramba da gestire, ma mi sembrò anche più significativa. Fu decisamente estremo dichiararsi gay in quel giro lì, era una posizione molto precisa. Ricevetti anche parecchie parole di incoraggiamento e gratitudine da un sacco di ragazzini gay che seguivano questa musica. Fu una cosa significativa per tanti, per cui mi fece sentire bene. Oggi le cose sono cambiate, non credo sia più così difficile per i ragazzi giovani gestirsi la cosa.

Hai preceduto Rob Halford dei Judas Priest di cinque anni. Lui ha aspettato fino al ’98.
È buffo: eravamo in Australia a suonare in un festival in cui c'erano anche i Judas Priest, e io volevo assolutamente beccare Rob Halford. È un fico, un grande: anche se quel tipo di musica non mi ha mai preso, avevo visto il loro show e mi era sembrato una bomba. Mike [Bordin, il batterista] era un loro grandissimo fan e mi diceva "non è posibile, Rob si è dichiarato un sacco di tempo fa", e io "no, guarda, sicuro non prima di me." Stavamo per cercarlo su Google ma fummo distratti ed è morta lì.

Ti preoccupava che ci fossero conseguenze negative?
No. Uno dei nostri manager del tempo aveva esffettivamente provato a bloccarmi dicendomi "Magari pensaci due volte, potrebbe farvi vendere meno copie". E io: "Ma dici sul serio?" Il tipo era di un qualche buco di merda della Florida, non era uno con cui potevo relazionarmi bene su queste cose. Anche a quei tempi, quando la gente si impuntava di brutto su queste cose, non credo la faccenda ci abbia causato meno vendite. Non credo ci sia stato qualcuno che abbia detto "Oh no, Roddy Bottum è gay, io smetto per sempre di ascoltare i Faith No More" e non credo sia andata così nemmeno per i Judas Priest, onestamente.

Ultimamente hai composto una cosa chiamata Sasquatch: The Opera. Parlacene.
Hahaha, be', non è opera tradizionale, più una strana operetta, basata su questa assurda idea di usare il Sasquatch per raccontare una storia d'amore. Ho scritto io storia e musica, e la prima è il mese prossimo. Metteremo in scena solo tre parti dell'opera, ma col tempo la trasformerò in una produzione più grossa.

E perché il Sasquatch?
Ho sempre amato i giganti gentili come Frankenstein o Elephant Man—i mostri incompresi che in realtà sono molto sensibili e intelligenti. Mi colpiscono sempre molto, e credevo potesse funzionare mettere anche Sasquatch in quel ruolo. Sono sempre toccato dagli emarginati dal cuore d'oro.