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Musica

La chiptune è solo nostalgia

Ci siamo fatti raccontare da Kenobit e arottenbit della chiptune in Italia e abbiamo scoperto che l'arte della musica coi GameBoy vive grazie ai propri limiti.

“Non ci sono dubbi nel dire che il più grande export musicale nella storia del Giappone sia da ritrovarsi nelle musiche per i videogiochi.”

Comincia così Diggin’ In The Carts, un lungo documentario sulle colonne sonore dei videogiochi giapponesi che analizza e racconta i compositori che si celano dietro a quelle musiche che più di tutte hanno infestato la nostra infanzia. Comporre quel tipo di musica sulle vecchie console a 8 o 16 bit era un calvario non solo a livello tecnico, ma anche a livello artistico: il compito dell’artista era quello di sviluppare dei racconti musicali sufficientemente riusciti da caratterizzare il gioco stesso, ma mai troppo complessi da distrarre il giocatore dal gioco vero e proprio.

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Quell’epoca è finita perché oggi, anzi a dire il vero da una quindicina di anni, non c’è più bisogno di programmare le macchine per farle suonare come vogliamo. La potenza procedurale delle console di gioco non deve più creare la musica, basta indicare dove si trova il file .mp3 e la colonna sonora è servita. Nonostante ciò la coda lunga della musica dei chip, la chiptune, arriva fino a oggi.

Diversi anni fa sono incappato in un live di Sabrepulse, uno dei maggiori esponenti del genere: in quel live al Blip festival lui, solo su un palco con una folla di adoranti spettatori al suo cospetto, si agita come un invasato armato solamente di un GameBoy. Io quel video me lo porto dietro da anni, perché spero un giorno, anche lontanissimo, di potermi divertire nella vita almeno la metà di quanto si diverte lui a premere dei pulsanti su una console per far uscire toni meccanici.

La chiptune è arrivata anche in Italia, sopratutto a Milano; stasera infatti a Macao si terrà la terza puntata del Milano Chiptune Undeground, una serata votata a far uscire dagli impianti gli stessi suoni che sentivamo nei nostri GameBoy, NES e Commodore.

Per cercare di capire come ci si faccia a divertire con la chiptune ho fatto due chiacchiere con alcuni dei più importanti protagonisti del genere in Italia, Kenobit e arottenbit. Non ho ancora capito il segreto della chip music, ma forse ho capito perché ci sono finiti così sotto, quasi colpiti da una qualche strana sindrome di Stoccolma. A dimostrarvelo il mix preparatoci da Arottenbit, la giusta preparazione psicofisica per stasera.

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Se penso alla chiptune la prima cosa che mi stupisce è che quello che sento durante un live sia semplicemente musica che arriva da un GameBoy, nuda e cruda, “Tutti hanno il loro approccio: io personalmente amo che tutta la musica che faccio esca direttamente dal GameBoy e mi piace che sia senza effetti; parto dall’uscita del GameBoy, entro nel mixer e via. Voglio che, in linea teorica, sia come la colonna sonora di un videogioco di vent’anni fa. Mi piace lavorare con le stesse limitazioni che c’erano all’epoca,” mi spiega Fabio Bortolotti, Kenobit.

“Non ne faccio una questione di purismo ma mi piace molto lavorare entro i limiti del GameBoy, perché per come la vedo io questa limitazione genera tante occasioni per inventarti delle soluzioni, e farlo ti spinge, in una maniera o nell’altra, ad innovare. Adoro spremere questo hardware il più possibile: se senti le cose che facevo cinque anni fa e le cose che faccio adesso sembrano arrivare da due macchine completamente diverse; questo cambiamento è frutto della continua spinta alla ricerca e all’innovazione che l’hardware ti porta a perseguire,” continua.

Kenobit. via Babalot

“Detto questo il purismo non è necessariamente richiesto, non devi per forza fare tutto come se stessi ascoltando il theme di una partita di Pokémon: c’è chi usa due Gameboy attaccandoli con un cavo link, come fossero due CDJ, c’è chi collega la console con un ArduinoBoy, un add-on che aggiunge funzionalità MIDI al tutto e che permette, per esempio, di sincronizzarlo con una 909 o con un Electribe. A me piace molto puro, anche perché mi piace l’effetto che fa quando la gente realizza che sto usando la stessa console che usano loro.”

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La strumentazione per produrre chip music però è piuttosto vasta, ed è curioso capire il perché sia stato proprio il GameBoy la console più di successo tra gli artisti, “Ne hanno venduti 110 milioni, per questo è facilmente reperibile. Costa poco, si trova su Ebay, si trova ai mercatini, è resistente come un carro armato e ci sono buone probabilità che se trovi un GameBoy oggi e lo accendi, quella console funzioni ancora. Poi è comodo. In più è portatile, va a pile e quelle pile durano la bellezza di 30 ore. Ha una serie di vantaggi infiniti. Il software che lo supporta per la chiptune, LSDj, è ben più che ottimo” mi spiega Kenobit.

“Parlando di LSDj: la scena è nata intorno a due programmi: Nanoloop e LSDj. Quest’ultimo è un tracker e ti permette di utilizzare il GameBoy come uno strumento musicale pratico: è sviluppato da un ragazzo svedese, costa cinque dollari, e quelli probabilmente sono stati i soldi meglio spesi della mia vita,” mi dice Fabio.

Quando ho parlato con Kenobit il tavolo da lavoro di casa sua era popolato da una manciata di salme sviscerate di console, “Il GameBoy funziona esattamente così com’è, lo prendi dalla scatola e lo usi. Questo che mi hai indicato è aperto perché è un GameBoy cavia, era rotto e lo uso per prove e pezzi di ricambio. Una console portatile come questa si apre per due motivi: uno è la cosìddetta modifica Pro Sound, consiste nel bypassare il potenziometro dell’uscita audio per farla diventare un’uscita di linea, di modo da pulire un poco il suono e eliminare un po’ di rumore di fondo.”

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Il self/titled di Kenobit, uscito a Dicembre 2013 per Lowtoy Netlabel. via Bandcamp Fabio mi parla anche dell’aggiunta di un display retro-illuminato—l’originale GameBoy non lo era. Ma quindi perché non optare per un GameBoy Advance SP, già retroilluminato di fabbrica? “Con questa domanda ci addentriamo in quel tipo di discorsi che per alcuni possono essere sacrosanti e per altri una sega mentale: l’onda quadra prodotta dal chipset del modello originale è più quadra di quella, per esempio, del GameBoy Pocket. Questo è vero, ma a conti fatti la differenza non è poi così grossa. Cosa è certo è che il suono originale della chiptune è quello del GameBoy: un’onda a quattro bit programmabile. Sicuramente le quadre non sono mai delle quadre perfette, ma quella del GameBoy originale lo è più delle altre.”

Quando si parla di micromusic ed in generale di elettrotecnica applicata alla musica, una delle prima cose che mi vengono in mente riguarda il mondo del circuit bending—che per chi non lo sapesse in soldoni si tratta di prendere dei pezzi di hardware che producono suoni (per esempio dei giocattoli) e “piegarne” i circuiti affinché producano altri tipi di suoni, “C’è un grosso punto di contatto tra la chiptune e la scena del circuit bending, ma quando si tratta dai GameBoy è una pratica non così comune, e molti preferiscono la console così com’è. Una mod che alcuni eseguono consiste nel sostituire il cristallo del clock per underclockare il GameBoy: gli metti un cristallo con la metà del valore e improvvisamente il GameBoy è un’ottava sotto; è come averlo scordato,” mi spiega.

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“C’è gente che fa degli esperimenti fantastici. Ralp di Lowtoy è uno sperimentatore spagnolo supercazzuto che, per esempio, ha affrontato il GameBoy decostruendolo. Ha fatto dei bending, dei veri e propri esperimenti. Detto questo la ricerca sonora sul GameBoy è più vicina ai parametri che sono già suoi: la quantità di suonini che puoi tirare fuori con i quattro canali della console è sorprendente,” mi spiega Fabio.

È piuttosto assurdo pensare che una console che non è stata progettata per fare musica abbia, al netto dei suoi limiti, così tanti strumenti per farla, “Partiamo dal presupposto che siamo stati piuttosto fortunati ad avere una console nata con quelle caratteristiche, un po’ come per il Commodore64.”

Junko Ozawa in Diggin’ in the Carts. grab via Tornando un attimo a Diggin’ in the Carts, il documentario sulla chip music, tra le altre viene mostrata la storia di Junko Ozawa. La compositrice mostra un quaderno all’interno del quale, a mano, ha appuntato tutti i grafici e le proporzioni necessarie a tradurre la sua musica in input interpretabili dalla macchina, “Quando ho visto quella roba lì mi è venuta la pelle d’oca. Quando la Ozawa guarda quei grafici dice “questo è il mio tesoro, è la cosa a cui tengo più al mondo.” Sono dei fogli di carta millimetrata su cui sono disegnate delle onde; ecco quelle onde sono in tutto e per tutto simili a quelle a 4bit che puoi disegnare sul GameBoy. Quello era un periodo di sperimentazione meraviglioso, i compositori lavoravano con le nostre stesse limitazioni, ma proprio allora stavano scoprendo cosa si potesse fare grazie a quelle limitazioni.”

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La “musica da videogiochi” a un certo punto però ha smesso di essere sperimentale; il progredire delle tecnologia ha reso inutile la necessità di produrre i toni direttamente dalle macchine e ha permesso di riprodurre tracce pre-registrate, “C’è stata una grande svolta nel mondo della musica dei videogiochi e personalmente la identifico con l’uscita di Wipeout per PlayStation 1. Fino a quella console la musica dei videogiochi era di fatto chiptune—certo nell’era del MegaDrive c’era un po’ di sintesi FM, ma si trattava di chiptune. A un certo punto però, con Wipeout, accendi la PlayStation e ci sono i Prodigy. All’improvviso la musica dei videogiochi non doveva essere più sintetizzata dalla macchina stessa, ma poteva essere masterizzata e messa su CD. Molti compositori hanno visto in questo la fine della lotta contro questi limiti,” mi spiega Fabio.

“Dall’altro lato però ha cambiato completamente l’approccio perchè venivano a mancare queste limitazioni. Non c’era più bisogno di fare ricerca, veniva a mancare la necessità di sperimentare e di innovare in quell’ambito: si era aperto un mondo di possibilità infinite,” mi viene quindi da pensare che quella della chiptune sia una disciplina che sopravvive proprio grazie al suo essere intrinsecamente limitata dalla macchina stessa.

via arottenbit

“Io sono convinto che la limitazione sia la chiave e il motore che ha reso grande alcuni videogiochi del passato e che rende grande la scena chiptune di oggi. Anche se uno non sceglie la via del purismo sta scegliendo di suonare con macchine che hanno dei limiti: per altre persone non sarà una pratica così gradita o motivazione così forte, ma secondo me oggi la chiptune vive gomito a gomito con le sue limitazioni, e sono proprio queste a creare lo stupore, lo spettacolo, la gioia di vedere cosa succede. Se ascolti dei miei vecchi pezzi e li paragoni ad alcuni nuovi senti eccome la differenza, ma le macchine sono sempre le stesse.”

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Qualche tempo dopo mi sono incontrato con Otto, in arte arottenbit, che organizza in prima persona Milano Chiptune Undeground. Lui a differenza di Fabio non arriva dal mondo dei videogiochi e non vede così forte il collegamento tra quel mondo e la chiptune. Otto è un animale da palco, “Io in realtà sono un po’ una mosca bianca: negli anni ho avuto modo di toccare diversi generi musicali e la cosa mi ha permesso di buttarmi in tante diverse scene, dall’hardcore punk, post-punk, fino alle serate da club. Quando ho cominciato facevo dubstep, poi electro house, ma nel frattempo rimanevo nel contesto della scena 8bit europea,” mi spiega.

“Ho cominciato nel 2008: avevo comprato il mio primo GameBoy proprio per fare musica. Dopo 3 mesi tra tentativi, esperimenti e contatti avevo una data qui a Milano al Cox18 per un piccolo festival con altri artisti della scena chiptune italiana. È un ambiente estremamente amichevole, ci si conosce tutti proprio perché non siamo in tanti. A Milano siamo in quattro: io, Fabio, Tony e Pablito; facciamo un buon numero di live, nonostante tutto,” mi racconta Otto.

via arottenbit

È strano pensare che qualcuno non proveniente dal mondo dei videogiochi possa interessarsi ad un genere con sonorità così ostiche come la chiptune, “Nel 2008 ho scoperto un gruppo metalcore, Horse The Band, che faceva hardcore con suoni elettronici vagamente 8bit, allora mi sono detto “che bella ‘sta onda quadra, mi piacerebbe fare roba del genere.’ Sono andato su Google, e senza aver mai fatto musica elettronica prima ho cominciato a provare a fare chiptune con degli emulatori. Poco dopo ho comprato un GameBoy e mi si è aperto un mondo: non avevo idea si potesse fare roba del genere, ho scoperto di poter creare dei suoni che prima non esistevano, spesso sfruttando glitch della macchina.”

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Al pronunciare di ‘glitch’ mi sono illuminato, “Il software è molto limitato, quindi se per esempio voglio fare un filtro devo inventarmi una qualche maniera per far fare al software quello che voglio io. Per esempio, se fai un’onda quadra con un release cortissimo e un sustain a zero, il suono generato è un click. Se retriggeri quel click a un tot di millisecondi ottieni un ‘trrrr’; ecco, per esempio quel ‘trrrr’ è un basso della madonna. Sfruttando questo tipo di scorciatoie tu vai a creare dei suoni che il creatore del GameBoy non aveva idea di poter creare.”

Gli ho poi chiesto di Milano Chiptune Underground: per quanto Milano possa essere un crocevia di sonorità e correnti diversissime tra loro, pare assurdo che si riesca a organizzare una serata chiptune in un posto con la capienza di Macao, “Abbiamo cominciato a organizzare questo format in Belgio. Ho detto a Fabio, ‘c’è questo posto a Milano, ci ho suonato con un band cybergrind, ci facciamo qualcosa? Il posto è figo, i ragazzi ci stanno dentro’, e siamo passati da questa specie di sottoscala e venerdì arriveremo a Macao. Quando abbiamo cominciato non sapevamo come chiamarlo, “Non mi piaceva 8bit dungeon perché volevo allontanarmi dall’immaginario dei videogiochi perché non ci rappresentava tutti; non volevamo qualcosa di nerd. Abbiamo trovato Milano Chiptune Underground, ed era perfetto. Abbiamo cominciato chiamando amici e personalità che nei primi anni della chiptune ruotavano attorno alla scena di micromusic.net, un headquarter europeo per chiunque facesse musica con console o attraverso il circuit bending. Io ho iniziato nel 2008, quando il sito era già morto, ma nel contempo la scena era rinata attorno a un altro sito, 8bitcollective.”

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arottenbit e Kenobit. via OPEN

Quando l’ho sentito per organizzare l’interivsta, Otto mi ha fatto spesso riferimento all’articolo di Birsa sulla trasformazione del metal in techno; la chiptune è il metal della musica elettronica? “La scena chiptune è molto amichevole e sincera proprio perché siamo pochi: non c’è nessuna posa, non c’è nessuna necessità di creare un immaginario che non esiste; la scena 8bit non è proprio una scena, non è un genere musicale. Chiptune vuol dire prendere della immondizia dalle discariche e farci musica, sia questa immondizia console, giocattoli o percussioni improvvisate.”

“C’è molta sincerità nel porsi, quindi quando suoni live ti comporti un po’ come vuoi. Quando io compongo penso solamente a come i suoni si comporteranno su un dancefloor, penso a come sconvolgere le persone che guardano un mio liveshow. Faccio un synth matto, faccio un tupatupa per due minuti, scendo dal palco e ti prendo a pugni. Il mio più che essere un concerto è un liveshow; io voglio salire sul palco per spaccare tutto.”

Siamo quindi tornati sul collegamento tra chiptune e limiti, “La chiptune non è bella perché è limitata. Quando io faccio musica non punto alla melodia, per me ‘chiptune’ significa ‘chip + tune’, e per me ‘tune’ non significa ‘melodia’ ma ‘accordare.’ Prendo il chip e lo stritolo, gli faccio cose che non dovrebbe fare. Decisamente out of tuning rispetto a quello che i programmatori in Giappone avevano in testa negli anni 90. Nella chiptune non esiste l’immediatezza di mettersi una chitarra al collo e fare un power chord, è una ricerca sonora molto più complicata. I parametri che hai a disposizione per creare il tuo suono sono molto limitati,” mi spiega Otto.

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“Io passo i pomeriggi a spippolare, poi trovo un suono che mi piace e da lì il pezzo che costruisco attorno è solo un modo per veicolare quel suono. Ciò che mi diverte è questo, ed è una cosa che non ho trovato con altri strumenti: non nella chitarra, non nel basso che io stesso suono. Se sul GameBoy voglio una distorsione la devo programmare, devo girare attorno alle limitazioni del GameBoy per creare qualcosa che assomigli a una distorsione.”

via Milano Chiptune Underground

Visto e considerato che Otto, arottenbit, si esibirà anche a Milano Chiptune Underground, per di più in back to back proprio con Kenobit, non potevo esimermi dal chiedergli cosa mi dovrò aspettare, “I moduli del mio sistema rack me li devo inventare, programmare. Non bastano una manciata di centinaia di euro per ottenerli. Devi spenderci sotto un paio di pomeriggi di lavoro e riuscire a simularli, stando sempre attento a non sforare la potenza del processore.”

“I primi GameBoy del 1989 sono quelli più limitati, storicamente poi con il GameBoy Color si ha una potenza di calcolo maggiore ed infine con il GameBoy Advance si abbandona l’8bit e si passa al 16bit. Proprio per questo suono con un GameBoy rosso prima edizione, da sempre; e quel GameBoy rosso ha preso un sacco di colpi. Lo schermo è ancora attaccato per grazia del signore e ogni volta che provo ad alimentare il mosh scendendo dal palco a tirare gomitate, finisce che per colpa delle vibrazioni si resetta sempre,” mi spiega Otto.

“Saranno macchine vecchia, ma riesci a capire quanto è bello? Quegli 8bit. Quel suono. Penso di non aver mai sentito nessuna macchina suonare così aggressiva. Il suono basso dei Rotten Sound è l'unico rumore che io abbia sentito macinare più di un Pulse Code Modulator di un GameBoy,” continua.

“Dopodiché la macchina è estremamente limitata: due generatori di onda quadra, un Pulse Code Modulator che appunto modulando un’onda quadra (pulse wave) permette di generare suoni complessi come onde triangolari e a dente di sega, e infine un generatore di rumore bianco, con cui creando rumori con veloce sustain e release si riesce ad ottenere praticamente tutta la parte ritmica di ogni produzione. Bella merda.”

“Questi quattro canali, usati in ogni videogioco portatile di Nintendo dal 1989 al 2001, vengono controllati da un singolo processore: uno Z80 che oltre a gestire loro si deve occupare anche del resto del gioco. Grafica, effetti sonori, esplosioni, e il tuo inventario di Pokémon Giallo. Tanta roba. Il tutto garantendo una latenza minima sui comandi, in modo da far saltare Super Mario al momento giusto senza farsi ammazzare da uno stupido Goomba. Ecco, prendete tutta sta schifezza e buttatela via. Io con il GameBoy voglio solo fare le casse gabber.”

“Tutto per me è dancefloor. La festa. Ogni suono. Ogni arrangiamento. Ogni traccia la scrivo pensandomi una maniera nuova per stupire il pubblico. E se non sempre sono in vena di scervellarmi a per creare il synth più brutto che tu possa mai ascoltare, lascio che sia il d-beat creato da campionamenti di una TR909 a parlare. E se il tupatutupa non lo capisci allora scendo dal palco e te lo faccio ricordare io quanto era bello prendersi a gomitate ai concerti punk nei centri sociali,” continua.

“Si dice che la musica 8bit sia solo nostalgia. Io il mio primo videogioco portatile l'ho comprato nel giugno 2008. Da quel giorno è stato l'unico strumento che io abbia mai suonato con un’infinita passione, abbandonando plettri e bacchette. Ogni volta che salgo sul palco faccio in modo che tu ti possa ricordare di quanto fosse bello andare ai concerti. È tutta nostalgia.”

Kenobit e arottenbit si esibiranno questo venerdì a Macao per Milano Chiptune Underground #03 assieme a TONYLIGHT, ruBRK, HarleyLikesMusic e DJ Chipwarrior.

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