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Musica

La nostra è la prima generazione più noiosa di quella precedente?

I giovani d'oggi non sono abbastanza sbarellati, se paragonati ai loro genitori?

Foto di Adrian Choa.

La storia ci insegna che c'è sembra qualcosa che non va con i giovani d'oggi. Che siano le droghe o la loro passione per rasarsi la crapa si può sempre trovare qualche comportamento che li renda deprecabili agli occhi della generazione che li ha preceduti. Fino ad oggi almeno, in cui c'è stato un cambio di ruoli: là dove l'ordine naturale delle cose impone che i figli siano il disappunto dei padri (troppo alcol, troppe droghe e decisamente troppo sesso) la realtà di oggi ci dice che sta accadendo l'esatto opposto. Semplicemente i giovani d'oggi non sono abbastanza sbarellati, se li paragoniamo ai loro genitori.

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L'idea è in giro già da un po', i think piece a proposito si sprecano e ormai i millennials sono comunemente accettati come una generazione noiosa, democristiana, lavoratrice, sensibile, studiosa e spaventata da tutto. È una narrattiva affascinante. Twitter, Tinder e internet in generale ci hanno fatto passare dall'ascoltare la house in un club a starcene semplicemente a casa e il 2014 è stato l'anno in cui il Dipartimento della Salute, in Inghilterra, ha registrato un calo in tutta una seria di attività e abitudini nefaste. Ad esempio il numero di teenager che ammette di fare uso di stupefacenti si è dimezzato e la quantità di alcol e sigarette vendute è diminuita di quasi un terzo. Allo stesso tempo è calato il numero di gravidanze tra teenager (così come quello degli aborti) e molti hanno dedotto che la prima generazione di ragazzini consapevoli è stata infine concepita.

Siamo la generazione che preferisce i ristoranti a chilometro zero ai pub e che non riesce mai ad uscire dalla comfort zone. In quest'ottica recentemente il Guardian ha condotto un sondaggio per rivelare che la maggior parte dei millennial preferisce stare a casa piuttosto che uscire. Le risposte dei partecipanti al sondaggio sono state estremamente dettagliate e una buona fetta ha persino dichiarato di considerare i club come un luogo in alcun modo interessante, ma anzi associarlo a situazioni e sensazioni negative. Tutte le loro dichiarazioni sembravano tirate fuori da un episodio di Love incrociato con una pagina a caso di Tumblr.

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Per esempio Lucy, 25 anni e di Londra, ha chiesto a sua volta "Perché mai dovrei infilarmi in un club pieno di gente sudata" quando se ne può stare a casa a fare qualcosa di "culturalmente più appagante e meno stressante?" Più o meno simile la risposta di Harri, che ha risposto "oggi capita di poter fare un viaggetto fuori città allo stesso prezzo di una serata a Londra di cui non ti ricorderesti niente, e i viaggetti valgono molto di più su Instagram." Forse i last minute economici, i filtri di Instagram e quattro episodi di The Tudors sono meglio di una sbronza in un seminterrato con la musica a volume troppo alto. O forse questa gente non ce la racconta giusta.

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Foto di Chris Bethell.

Il più grande problema del sondaggio del Guardian era proprio il gruppo di soggetti intervistati. Con un totale di 196 risposte il valore statistico di questo campione è assolutamente irrilevante. Non solo, è stato il Guardian stesso a selezionare i partecipanti e, scusate la malizia, ma non voglio nemmeno sapere quali siano stati i parametri scriteriati di questa selezione. In più il range d'età dei partecipanti (tra i 26 e i 35) mi lascia qualche dubbio su quanto in là i redattori del Guardian siano disposti a spostare l'asticella per continuare a chiamarsi giovani l'un l'altro. Questo non significa che un trentacinquenne debba essere considerato come una cariatide… No, invece sì: significa esattamente questo.

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Inoltre tutti questi discorsi su una nuova generazione più sensibile devono partire da presupposti parecchio ingombranti per avere senso, ad esempio bisogna ignorare che il 2015 è stato l'anno con più festival nella storia della musica, che l'MDMA è diventata una droga diffusa allo stesso modo dell'erba, che le pasticche sono più forti che mai e che il giro d'affari della musica elettronica è diventato enorme. Ovviamente nessuno di questi dati ha un valore qualitativo e molte persone sono convinte che i festival non facciano altro che danneggiare la club culture, ma sicuramente sono dati che ci danno qualche indizio su come infilarsi qualcosa di sintetico in corpo e ballare in modo scomposto sotto un qualche tipo di palco oggi sia una prospettiva più allettante che mai nella storia.

I giovani non hanno perso interesse nella vita notturno e il mondo non è diventato un posto più luminoso: il mito del millennial moderno, così come descritto da statistiche e commentatori vaghi, cerca di applicare uno standard a categorie di persone diverse tanto quanto un quindicenne e un ventincinquenne. L'idea che un'intera cultura giovanile possa essere riassunta in un campione statistico di universitari ben educati, lettori del guardian, bevitori di aloe e appassionati di filtri Instagram non è solo limitante, è risibile.

Per citare Hannah Ewens, gli stereotipi legati alla generazione Y sono stati plasmati da e attraverso i media, basandosi su studi e ricerche condotte a partire da giovani universitari che lavorano in aziende giovani e all'avanguardia. Questa narrativa è tenuta in vita da una piccola cerchia di giovani che cercano di legittimarla attraverso i media e dalla sezione commenti dei giornali che, come è risaputo, è il parco giochi dei vegliardi".

Questa incapacità di comprendere la realtà e di vedere il cambiamento tra club culture ed edonismo nella nostra generazione è il risultato degli anni novanta e della miopia di coloro che hanno composto la scena acid-house, e che oggi si sono trasformati nella classe dirigente dei media. Persone che hanno fatto festa fino ai venticinque anni per poi godersi la prosperità di inizio secolo e che ora non riescono a capire perché i giovani "non sappiano più divertirsi". Nel frattempo continuano ad ignorare l'aumento di rave illegali, i quattordicenni con la mascella a puttane, il consumo di azoto a scopi ricreativi e tutta un'altra serie di realtà, semplicemente perché i loro figli, immersi nella middle class, non possono entrarci in contatto.

Detto questo, si è creata una dinamica anomala ed interessante, in cui l'eccesso non è più da condannare, ma al contrario si lamenta la troppa moderazione. In Italia probabilmente il problema non è ancora sentito come all'estero, quantomeno negli organi di informazione di massa, ma non c'è dubbio che la generazione precedente alla nostra viva con la convinzione di aver organizzato e vissuto feste che tutti noi possiamo solo immaginarci. Il modo migliore per legittimare questa convinzione è insistere con questa retorica dei millennial: stupidi bamboccioni appassionati di thè biologici, così che possano tenersi stretto il loro titolo e non mettere mai in discussione l'incapacità di fare cose memorabili.

La questione non dovrebbe nemmeno avere così tanta rilevanza, perché in fondo le culture giovanili non dovrebbero cercare conferme nei media. E invece ce l'ha, perché il mito che questa moderna, moderatissima generazione di millennial esista davvero è qualcosa di falso, o che comunque copre solo una porzione di società limitatissima e benestante. Per salvare la nostra cultura, la nightlife e la club culture bisogna capire che la battaglia più grande è quella contro la scorretta rappresentazione della nostra generazione.

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