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Musica

I 10 congiuntivi più sbagliati della canzone italiana

Prima che tu te ne vai da me io non vorrei che tu, a mezzanotte e tre, stai già pensando a un altro uomo...

Sono cresciuto in un'Italia che stava andando culturalmente allo sfascio in tanti modi diversi, ma ha tenuto sempre in gran conto l'uso della sua lingua. È probabile che sia una questione di cocciutaggine e del rifiuto di semplificare la nostra lingua parlata, seguendo uno sviluppo verbale che unifichi alto e basso in un giusto-mezzo che nelle uniche altre due lingue di cui so qualcosa (inglese e francese) è già un fatto. Triste a dirsi, l'italiano come si deve è sempre rimasto un affare per pochi eletti: li riconosciamo al primo minuto di conversazione, provano un termine, non si sforzano troppo nel mettere insieme una costruzione logica/grammaticale giusta ma non pesante, riescono nell'intento, ti inducono involontariamente a migliorare il dizionario in tempo reale. Molti li considerano gente con la puzza sotto al naso: è il risultato di un processo di semplificazione del linguaggio che prevede margini d'errore non troppo stringenti nell'uso di modi, tempi, concordanze e tutto il resto. Il simbolo di questa sorta di separazione è ovviamente il congiuntivo, un modo oscuro ai più che definisce situazioni ipotetiche e che in conversazione viene sbagliato apposta per proiettare un'immagine ingannevole di sé o dare alla conversazione un tono più confidenziale. Nella lista che segue cerco di identificare quelli che secondo me sono i più chiassosi congiuntivi sbagliati della canzone italiana, classificandoli a grandi linee sulla base del tipo di errore compiuto e sul significato culturale di quell'errore (che quasi sempre sembra fatto apposta). È una specie di tributo al Sanremo in arrivo e alla nostra lingua, ma è brutalmente slegato da entrambi.

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ADRIANO CELENTANO - UNA CAREZZA IN UN PUGNO

Inutile nascondersi: "Una carezza In Un Pugno" è IL congiuntivo sbagliato, il primo della lista, la pietra miliare, il Grande Balzo In Avanti, ciò che dà un senso al concetto di congiuntivo sbagliato nella storia della musica. Come spesso capita con il Molleggiato, è un congiuntivo sbagliato di grandissima valenza politica: il testo è scritto da Miki del Prete e Luciano Beretta e dice "Ma non vorrei che tu, a mezzanotte e tre, stai già pensando a un altro uomo". È abbastanza evidente che il congiuntivo sia stato sbagliato apposta, probabilmente per riqualificare Celentano come una sorta di Grande Amatore della porta accanto per le casalinghe di Voghera. In ogni caso, te lo senti proprio spalmarsi addosso, diventare figo e importante, esploderti sul viso. Se dovessimo indicare, a tavolino, un singolo momento in cui la cultura di massa di questo paese smette di essere prodotta da accademici con una scopa su per il culo e inizia a diventare roba fatta dalla gente per la gente, probabilmente sarebbe quel verso. In questo, in fondo, sta tutta la grandezza di Adriano Celentano

VASCO ROSSI - DOMENICA LUNATICA

Liberi Liberi è stato per anni la colonna sonora del mio trattenere la pipì. Mio fratello ascoltava Vasco Rossi nel bagno chiuso a chiave e si faceva il bagno poi si asciugava e si profumava, due ore circa di occupazione militare del bagno dalle sette alle nove di sera durante le quali girava in loop questo disco che ai tempi sembrava un po' l'unica musica esistente. La canzone che apre Liberi Liberi si chiama "Domenica Lunatica". Non è chiaro di cosa parli la canzone, forse di una sveltina o di una ricaduta o di due che si stanno lasciando un po' ma c'è tempo per una rimpatriata. Vasco ha un tono dimesso ma esaltato, un po' bipolare, e le fa una promessa. "Voglio che sei tranquilla." Succede. Lei ha vent'anni in meno di lui, anzi, forse è lui ad avere vent'anni di meno di se stesso, o è il livello educativo dell'ascoltatore a regredire di vent'anni. Non sa usare il congiuntivo, ma ha cura. Non credo serva altro.

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RAF - VIA

Il Raf degli anni Ottanta e Novanta è un superbo ed elegantissimo autore di canzoni che parlano di un amore viscerale e totalizzante, massacrate da cognizioni produttive italo-qualcosa tipiche dei tempi in cui i dischi venivano registrati, roba che riascoltata oggi fa sentire un peso nel cuore e la sensazione di trovarsi dentro al primo Tron dalla parte di quelli che vengono sbaragliati. Insomma, compro—nel senso di scaricarlo—un best di Raf, mi metto a riascoltare canzoni a caso finchè riesco e impallidisco sulla sua produzione anni Duemila: impeccabile. Trova il suo suono, trova le giuste ellissi nei testi, trova una pace interiore. "Via", il secondo singolo di Iperbole (il primo è la straordinaria "Infinito"), è una sorta di "Thunder Road" in italiano senza tutto quell'immaginario da bifolchi e il cock rock e la redenzione da supermercato di Bruce Springsteen. Un po' conta il fatto che Bruce Springsteen incise Thunder Road come metafora del volercela fare, mentre Raf nel Duemila aveva fatto tutto quello che può fare un cantante italiano a parte ingrassare. Il testo di "Via" parla di un concetto puro: cambiare vita, prendere la moto e fuggire io e te. Il paradosso è che è una canzone in cui il passato non esiste, non c'è redenzione, c'è solo questa tensione incredibile ad un futuro improbabile ma già quasi certo. Gli "io e te" di Raf sono vette di poesia lancinante, momenti in cui ogni cinismo è tenuto a collassare, e mi dispiace se qualcuno non condivide e si sfrangia le palle scambiandolo per normale rimanticismo da canzoncina pop. Sfido chiunque, in ogni caso, a rimanere impassibile mentre, nel crescendo del primo ritornello, l'Uomo snocciola uno dei congiuntivi sbagliati più chiassosi e perfetti della storia: "Godersi giorno dopo giorno ogni momento che verrà, sarà diverso mai più tempo perso, aspettando che la vita va."

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JOVANOTTI - RAGAZZO FORTUNATO

La cosa che più piace di Jovanotti è la musica, e francamente non lo capisco. La seconda cosa che più piace di Jovanotti è il fatto che sia stato capace di reinventarsi, e francamente lo capisco ancora meno. Non come concetto puro, però. Nel senso: credo che, tutto sommato, i Beastie Boys di Ill Communication siano molto migliori di quelli del primo disco e, tutto sommato, arrivato alla mia età non so dire se davvero odio meno "La Mia Moto" rispetto a cose inoffensive come "Safari". È che Jovanotti è giunto alla sua attuale dimensione cantautorale tramite un processo che è durato anni, durante il quale siamo stati costretti ad ascoltare discacci come Una Tribù Che Balla e l'orribile Lorenzo 1992, nel quale si smarca per la prima volta e definitivamente dall'essere un rapper, per quanto evoluto e contaminato, col singolone "Ragazzo Fortunato". Il ritornello contiene una delle costruzioni grammaticali più a cazzo (e quindi simpatiche) della storia: "Sono fortunato perché non c'è niente che ho bisogno", in piena esplosione grunge. A leggerla così, staccata da tutto il resto, sembra l'aforisma cherubiniano definitivo, una linea di testo facile facile, sospesa in equilibrio tra Hesse e Alvaro Vitali. Personalmente mi ha sempre fatto così tanto effetto da non farmi notare quanto il verso successivo ("e quando viene sera e tornerò da te, è andata come è andata la fortuna è di incontrarsi ancora") sia altrettanto incasinato nell'uso dei tempi verbali. Ecco: il mio Jovanotti preferito—nel senso di quello che odio di più—è quello del compromesso storico dei primi anni Novanta, quello di cui davvero ci si poteva schierare a favore o contro e se ci si schierava contro si sfotteva quelli schierati a favore, cioè quello del "non c'è niente che ho bisogno".

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ANDREA BOCELLI & GIORGIA – VIVO PER LEI

A un certo punto Bocelli e Giorgia reinterpretarono un singolo degli ORO, una power-ballad anni ottanta stile "Total Eclipse Of The Heart" ma più cafona. "Vivo per lei", in originale, è una di quelle canzoni col testo un po' ambiguo che non si capisce se parlino di una donna o della musica; nella versione di Bocelli & Giorgia, il testo viene cambiato per non dare il dubbio in merito al fatto che si parli della musica. Il testo della seconda versione, fun fact, è scritto dal grandissimo Gatto Panceri (quello di "Mia" e "Le Tue Mani" mica il primo stronzo che passava… Ma personalmente ammetto di considerarlo un grandissimo solo perché nella mia mente la sua discografia si confonde spesso, per motivi a me ignoti, con quella dell'ancora più grande Danilo Amerio, che in curriculum ha "Donna Con Te" di Anna Oxa e l'inno del movimento di Scilipoti). Insomma, una minor hit ripescata, riscritta da un autore di grido e interpretata dai due nomi più caldi della musica italiana di quegli anni, il che rende Bocelli & Giorgia i tardivi Johnny Cash della musica popolare italiana. La canzone è stratosferica, comunque, molto migliore dell'originale. Quello che la manda in vacca è il finale, quando Giorgia e Bocelli hanno già spaccato tutto con quei raddoppi vocali incredibili e lei spinge per l'ultima volta su un verso che passa indenne il congiuntivo ma inciampa rovinosamente sul condizionale che segue. "Ci fosse un'altra vita, la vivo per lei." Nel contesto di perfezione wannabe-operistica degli arrangiamenti, un disastro assoluto.

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ARISA - CONTROVENTO

La parabola di Arisa è una bella gag: artisticamente ha smesso di avere senso quando la gente ha smesso di ricordarla brutta e timida. È anche vero che il fatto di passare da vincitrice di Sanremo a valletta di Sanremo nel giro di un'edizione racconta più della crisi di valori in seno al Festival, e quindi in seno al cuore della coscienza nazionale, di quanto parli dell'artista in sé. L'artista in sé è una specie di Povia prima che perdesse la brocca, una persona che non è necessario cagare quando non ha un singolo fuori e/o la vincitrice—non si sa a quale titolo—di un'edizione nella quale il televoto avrebbe fatto stravincere Renga (e il buon senso Giusy Ferreri); in qualche modo coinvolta nel fallimento del golpe fazista per l'egemonia culturale nel pop italiano, della sua canzone rimane soprattutto un testo capace di sbagliare due congiuntivi a fila nella stessa riga: (…) "brucia nelle vene come se il mondo è contro te e tu non sai il perché".

COLLE DER FOMENTO – SOLO HARDCORE

Il rap italiano ha sempre avuto questa sua elasticità espressiva del famo a capisse che francamente, in bocca a gente che passa il tempo a perfezionare il proprio uso della parola, sta malissimo. I testi del genere sono infarciti di brutture verbali, quasi tutte perpetrate con assoluta cattiveria e scarso senso della misura, probabilmente allo scopo di parlare la lingua dei giovani o ridefinire un proprio gergo ex-novo e usarlo per settare un livello di comunicazione inedito, una cosa che credo sia riuscita bene solo ai Sangue Misto. Esistono comunque parecchi esempi nobili di congiuntivo che viene sbagliato a viva forza per rompere gli schemi e buttarla in caciara. Il caso più eclatante è quello del proclama che apre Odio Pieno, un'opera che comunque la si guardi sta tra le cinque più alte espressioni artistiche partorite a Roma, Cappella Sistina e carbonara comprese. "Chi non ha niente da dire è meglio che non dice niente." Ha qualcosa di Wittgenstein, ovvio, ma è per tutti, ed è mossa da rabbia cieca. Viene detto per chiuderti la bocca in quel modo perentorio che serve a separare i buoni dai cattivi, alcuni dei quali sono persone che invece di ascoltarti guardano a come parli. Potentissimo, e meraviglioso.

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TIZIANO FERRO – TI VOGLIO BENE

"Ti Voglio Bene" è la traccia numero 4 di 111, quello che Wiki chiama il secondo album ufficiale di Tiziano Ferro (il che suppongo si riferisca a qualche fantomatico album di inediti non ufficiali di Tiziano Ferro, magari pubblicato sotto falso nome). Il titolo del disco è riferito al fatto che prima di diventare una popstar Tiziano Ferro pesasse centoundici chili, una cifra a cui il mio peso attuale è pericolosamente vicino; "Ti Voglio Bene" è l'ultimo singolo estratto dal disco e, in confronto ai tre estratti precedenti, è una cosa abbastanza dimessa. È un bel pezzo d'amore che collassa intorno al successo stesso del cantante il quale, al momento di registrarla era comunque una meteora con un solo disco ufficiale di successo; il testo raggiunge il suo apice scazzando clamorosamente un congiuntivo, tra l'altro per eccesso. "E in quanto a te so solo che se ti vedessi sarei più stronzo di ciò che ti aspettassi." Estremamente probabile che la cosa sia voluta e pure autobiografica, riferita a un tic vocale giovanile e/o della persona cui la canzone è dedicata. La cosa migliore di Ferro sono le ellissi, l'idea che in mezzo a quei monoblocchi di testo ci si possa infilare una vita intera e che spesso la vita sia la tua, o quantomeno della tua migliore percezione di te stesso.

LUNAPOP - UN GIORNO MIGLIORE

Attualmente Cremonini è considerato tra i massimi autori/interpreti della canzone italiana di qualità, sull'onda (credo) dei suoi dischi recenti. Ho provato ad ascoltarli ma non fanno per me: detesto quel tipo di arrangiamenti e credo che il suo modo di cantare debba essere proibito per legge (non so se avete presente, quella sua fase recente in cui utilizza la lettera H tre volte più di quanto sia richiesto dalla lingua italiana; "una khome the, non la phuoi dhimentikhare"). Cosa sia successo a Cremonini, come sia diventato ciò che è diventato e quanto la cosa pesi nel portafoglio culturale italiano non è dato saperlo, attualmente: se si sta lontani dalle radio generiche è possibile vivere senza inciampare dentro la sua musica, e questa caratteristica di evanescenza e non-rilevanza è una cosa che apprezzo molto. Quando i Lunapop erano insieme, per dire, non era possibile: la mattina ti alzavi e sembrava che gli schizzi del filo interdentale sullo specchio del bagno si disponessero in modo simile a una linea di testo di 50 Special. A quel glorioso periodo risale anche "Un Giorno Migliore", rip-off di un terribile gruppo britpop chiamato Ocean Colour Scene che –a quanto ne so—lo stesso Cremonini non ha mai riconosciuto. Nel testo c'è la frase "devo trovare un appiglio prima che tu te ne vai da me", un congiuntivo sacrificato alla metrica in modo abbastanza scolastico e innocuo, sostanzialmente irrilevante per la nostra vita e per i destini della musica popolare italiana, incluso solo per farne dieci.

DOMENICO MODUGNO – NEL BLU DIPINTO DI BLU (VOLARE)

"Penso che un sogno così non ritorni mai più, mi dipingevo le mani e la faccia di blu". Sarebbe il primo, ma non è un vero e proprio errore, diciamo che è un eccesso di indulgenza del congiuntivo. Maestro.

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