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Musica

Siamo stati a un concerto delle Savages prima di colazione

Immaginatevi una fila di persone su Oxford Street, alle 8 di un martedì mattina, che aspetta di entrare al 100 Club a vedere le Savages.

Tutte le foto di Nathan Lucking

Non sono ancora le 8:45 di un martedì mattina di gennaio quando Jehnny Beth, cantante delle Savages, si avvicina al bordo del palco. Davanti a lei, il 100 Club è sold out. "Buongiorno", dice, sorridendo con tutto il volto. "Procediamo".

Torniamo indietro di un'ora e la folla ammassata davanti al palco lungo e stretto del famoso locale londinese si trova sparpagliata lungo Oxford Street, fino all'angolo con Berners Street. Le mani stringono caffè takeaway e si sentono risate, a commento delle scuse accampate a capi e superiori per giustificare il probabile ritardo in ufficio.

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Un cameraman in cerca di inquadrature da usare come riempitivo riprende il lavavetri di un minimarket, mentre un tizio coglie l'occasione di volantinare per il concerto delle Savages alla Roundhouse. Un ciclista, mentre fa lo slalom tra le auto, si volta a guardare che cosa sta succedendo. "Non sarò nemmeno in ritardo al lavoro", dice un uomo in fila. "È questa la figata".

Le Savages non sono tipe da fare le cose a caso. Il fatto che l'orario di questo concerto, il primo dopo l'uscita del loro incendiario secondo album Adore Life, abbia un significato preciso è implicito. Alle ore 6:45, con il collo della giacca alzato contro il freddo di questa mattina e i lampioni che ancora rimandano l'alba, la speranza che significhi qualcosa è viva più che mai. Quando hanno annunciato l'uscita del disco, lo scorso autunno, questo concerto mattutino era quasi una nota a margine; un bonus per il pre-order che sembrava urlare "Perché?". "Per l'esperienza", ha risposto lapidaria Beth durante un'intervista per la BBC. "Per provare qualcosa di nuovo."

Conta con le dita le esperienze comuni che hai avuto questa settimana. Due, tre, quattro, forse cinque. I mezzi pubblici sicuramente, forse un concerto. A Londra, la metropolitana esprime sicuramente un severo contrasto tra scopo comune e testardo individualismo. L'ora di punta è vissuta a tutta velocità e con poco riguardo per i propri fratelli e sorelle ratti da laboratorio. Questa mattina è da manuale. Occhi incollati a free press o telefoni, con qualche libro a lottare per la propria esistenza. Tutti sembrano già stanchi e stressati. Li attendono otto ore alla fine delle quali saranno ancora più stanchi e stressati.

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È qui che l'appello delle 8 delle Savages trova il proprio scopo. Dal momento in cui "Shut Up" prende vita con il rombo del basso di Ayşe Hassan, abbiamo qualcosa d'altro da fare. La performance di Beth si basa su sguardi e segni fatti con le mani. Tutto è comunicazione. In un certo senso, l'esatto contrario di quanto è successo nelle ore precedenti.

A un certo punto, però, lei osserva che il concerto è uguale a ogni altro. Ha ragione. Il bar è aperto, anche se è pieno di lattine di Red Bull invece che di bicchieri da pinta, e c'è un tavolo con il merch. Il volume è alto, le luci di scena sono accese e, una volta rotto il proverbiale ghiaccio londinese, i corpi si muovono.

Ma c'è una differenza molto evidente. Il fatto che sia posizionato all'inizio della giornata lo trasforma in un esercizio di trenta minuti su come premere reset e guardarsi attorno con chiarezza. Adore Life ha uno scopo. Mentre Silence Yourself poneva domande importanti sulla pressione interna ed esterna, sulla sessualità e sulla natura della libertà, questo disco parla di cercare di rimettere insieme ciò che è rotto. Parla d'amore in ogni sua forma: brutale, danneggiato, corroborante, dolce, potente, universale. Live, le nuove canzoni sono tanto taglienti quanto quelle che le hanno precedute, ma c'è un calore nuovo. Sono un contrappunto, non una revisione.

“I need something new in my ears, something you could say, perhaps,” canta Beth in “I Need Something New”. La canzone non è in scaletta, ma rivela lo spunto del concerto: l'idea che noi, come gruppo di persone, possiamo influenzarci positivamente a vicenda, o perlomeno cambiare un po' la prospettiva. Quando Beth si concentra su persone in particolare nel pubblico, c'è un passaggio di capitale emotivo, mentre i suoi occhi grandi sembrano chiedere qualcosa, qualunque cosa, in cambio.

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Hassan e la batterista Fay Milton trovano subito la linea e non la mollano. Come sezione ritmica, sono solide come l'acciaio, permettendo a Beth e Gemma Thompson di spaziare. Thompson sta a destra palco e incarna il subdolo cambiamento nell'approccio della band. È una chitarrista capace di aprirti la testa con un riff, e stamattina alterna raptus di feedback con tappeti di fuzz. Aggiunge profondità e sfumature allo sviluppo di "The Answer" e "Sad Person" da ammassi di rumore a melodie ingannevoli.

Adore Life è un disco che si basa su un senso di cattura e liberazione. C'è un senso di pace quando le linee di basso strette e nervose di Hassan riducono momentaneamente l'impatto, ma le canzoni possono anche precipitare in un ululato primitivo, apparentemente infinito, come "Slowing Down The World". Questa discesa è ripetuta perfettamente al 100 Club. "Penso che siamo tutti d'accordo che questo sia il miglior motivo per fare tardi al lavoro", scherza Beth a un certo punto, mentre beve da una tazza, la cosa che più di tutte fa intuire che ore sono in questa stanza senza finestre.

Per le 9:15, la musica comincia a sfilacciarsi. Durante la penultima canzone, la tipicamente viscerale "Husbands", Beth marcia oltre Thompson verso il lato del palco e si esibisce per il piccolo gruppo di persone in quell'angolo. Pochi secondi dopo, alcune donne vengono esortate a scavalcare il palco e a mettersi in prima fila per l'ultima canzone: "Adore". Il cinismo ti fa bene, ma è il momento di lasciarlo da parte. “Maybe I’ll die, maybe tomorrow”, canta Beth. “So I need to say: I adore life.”

Non si sentono piedi affrettarsi verso l'uscita una volta che l'ultima nota è morta. Beth si volta e saluta con un secco "buona giornata". Sembra che la maggior parte dei presenti si siano dimenticati del lavoro. Molti attraversano la strada verso Soho, in fila indiana verso il negozio di dischi Sister Ray, che ha appena aperto. C'è un altra coda all'interno e, mentre gli LP passano sopra il bancone, si parla di fare colazione. Le giustificazioni per il capo, a quanto pare, saranno valide ancora per un po'. Come dicevano le Savages lo scorso autunno: quel che conta è adesso, non domani.

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