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Atlantide resiste

Raccontiamo la storia del baluardo italiano della cultura queer e punk diy, che rischia di essere sgomberato.

Tutte le foto via Federico Bernocchi (PicaPunk)

Atlantide è uno spazio autogestito che da 15 anni vive all’interno del Cassero di Porta Santo Stefano a Bologna, ormai ultima reminiscenza dell’epoca in cui la città era la capitale italiana della controcultura e le mille occupazioni dentro e fuori le mura del centro erano l’humus su cui diverse generazioni hanno fermentato e sperimentato i propri percorsi politici e creativi.

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Coabitata pacificamente per la maggior parte della sua storia da collettivi gay, femministi e punk DIY, Atlantide è però diventata negli anni soprattutto un punto di riferimento per la comunità punk italiana e internazionale: un luogo che per una molteplicità di motivi casuali, intrinseci, sfuggenti e assolutamente non replicabili ha saputo incarnare al meglio quello spirito che dai Negazione in poi ha spinto migliaia di band a conquistarsi brandelli di libertà salendo su furgoni con troppi chilometri alle spalle.

Oggi Atlantide—in rigoroso ossequio agli ormai consolidati e trasversali dogmi securitari—è sotto concreta minaccia di sgombero, notificata via lettera il primo di aprile.

Con Enrico (batterista dei Sumo e membro di NullaOsta, collettivo che dal 2001 organizza la programmazione live di atlantide) abbiamo ripercorso le tappe della storia di Atlantide e cercato di spiegare la magia di un luogo che per tanti anni ha fatto da casa ad una comunità forte e variegata.

Non so se ci siamo riusciti del tutto in realtà: forse perché inconsciamente ho cercato troppo, con troppa insistenza, conferma di sensazioni e immagini che per anni hanno definito meglio di qualsiasi parola l’essenza di quel luogo, o forse perché semplicemente è giusto che questa attitudine rimanga inafferrabile per chi non ha voluto o potuto esperirla entrando nel posto, sudando, parlando, scambiando qualcosa di sé.

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Posso dire questo: nella mia esperienza Atlantide è stato in assoluto il luogo in cui ho riscontrato meno distanza (meglio: nessuna distanza) tra l’idea utopistica di ciò che uno spazio del genere dovrebbe essere e ciò che è, tra quello che gli individui desiderano e ciò che sono e fanno. Un luogo dove la politica non rimane parola morta nei pipponi tra un pezzo e l’altro o parentesi lunga un weekend, ma si reifica nei corpi di chi suona e di chi ascolta, nel cibo che si mangia, nei chilometri che si percorrono per muoversi e nelle modalità di sopravvivenza che tutti i giorni ciascuno sperimenta per non morire dentro prima che fuori. Se proprio avete ancora voglia di mettervi a cercare un significato alla parola punk nel 2014, provate a ripartire da qui.

Non posso permettere che giornali e tv mi dicano cos’è il punk. Non si tratta solo di borchie, anfibi e creste colorate. Non lo puoi trovare nei club, nelle discoteche e forse neanche più nei centri sociali. Non è un fenomeno giovanile o una delle tante mode del momento. Il tempo mi farà da testimone. (Colonna Infame Skinhead)

Noisey: Cominciamo dalla storia. Quando è iniziato il tuo rapporto con Nulla Osta dentro Atlantide?
Enrico: Come Nulla Osta abbiamo iniziato per caso ad organizzare concerti nel 2001 come forma di autofinanziamento per una rivista che stampavamo ai tempi, e non ho mai ben capito perché il collettivo gay si sia fidato di noi lasciandoci le chiavi del posto…

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Atlantide è stato per molti anni un punto di riferimento per la scena punk- diy. Cosa ti ricordi degli inizi e cosa è stato a rendere così speciale questo luogo specifico per la realtà italiana secondo te?
Mi ricordo ancora il primissimo concerto che abbiamo organizzato in Atlantide. Era Marzo 2001, suonavamo noi (Sumo) e i Raein. Siamo arrivati, abbiamo sistemato il palco, e non appena abbiamo alzato le serrande hanno cominciato a materializzarsi molte più persone di quelle che ci saremmo mai aspettate. Per noi è stato quasi commovente.

Questo perché nonostante ci siano stati sempre molti concerti in città, Bologna è sempre stata poco ricettiva verso i gruppi italiani… Mi ricordo di aver visto un volantino, da qualche parte dentro il vecchio Livello 57, su cui c’era scritto “una scena hardcore ha senso solo se ai concerti dei gruppi italiani c’è lo stesso numero di persone che ai concerti dei gruppi stranieri,” che in qualche modo riassumeva questo fenomeno.

Da quel primo concerto in poi la magia si è ripetuta tante volte, mi ricordo il concerto dei Jr Ewing nel tour di Calling in Dead, primo gruppo straniero a suonare in Atlantide: c’era gente che sosteneva fossero un gruppo di erasmus, non riuscendo a spiegarsi cosa ci potesse fare una band di norvegesi in un posto del genere .

Mi ricordo la mia prima volta nel 2002, era un concerto con Settlefish, Laghetto e non so chi altro ancora… Ero venuto per appioppare il demo del mio gruppo a qualcuno.
Probabilmente a qualche stronzo che poi non ti ha fatto suonare…

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No, ma col senno di poi penso sia stato meglio così. In ogni caso di concerti incredibili ce ne sono stati veramente tanti. Così sparando a caso mi vengono in mente gli Against Me! Subito prima di fare il botto…
Gli Against Me! Sono venuti due volte, la prima volta non li conosceva praticamente nessuno, erano arrivati infreddolitissimi e avevano passato buona parte della serata intorno alla stufa. La volta dopo il posto scoppiava e i cori del pubblico sovrastavano il volume degli strumenti… C’è stato anche un momento piuttosto epico in cui la corrente è saltata (cosa abbastanza frequente in Atlantide) durante un pezzo a cappella che è stato protratto fino a quando gli amplificatori non hanno ricominciato a funzionare.

Against Me

La lista di nomi stranieri con una certa notorietà passati da Atlantide è piuttosto impressionante: Yage, Yaphet Kotto, R.A.M.B.O., Torche, Black Breath, Lungfish, Statues, Bones Brigade, Ted Leo, What Happens Next e potremmo andare avanti per ore. Che cosa ti è tornato indietro dall’aver speso tanto tempo ed energie per rendere possibile una programmazione così continua e di alto livello (ndr: SOLDI è la risposta sbagliata)?
Sicuramente la soddisfazione più grande è sentir dire a tanti gruppi “questa è stata la miglior data del nostro tour”, al punto che spesso è accaduto che chiedessero esplicitamente di suonare di nuovo al tour successivo… Mi vengono in mente i Bellicosi che vollero fare il loro ultimo concerto da noi, e fu belissimo; i Migra Violenta (gruppo hc argentino), che in un articolo su Maximum Rocknroll parlarono di Atlantide entusiasti di come fossero arrivati punk da tutta Italia per vederli (non era vero, ovviamente, ma nessuno se l’era sentita di spiegargli la faccenda dei fuori sede); o Karl Alvarez dei Descendents, che venne in tour con i Real Mckenzies e al bar disse che i posti in cui si suona il punkrock per lui devono essere esattamente così, e che era felice di ritrovarsi a suonare in una situazione del genere, visto che con i Descendents non era più possibile.

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Anche solo il fatto di veder comparire ogni tanto gruppi di ragazzetti che scoprivano un mondo nuovo grazie ad Atlantide e poi magari tornavano e cominciavano la loro cosa è stato importante… Poi chiaramente le cose cambiano, negli anni ho avuto anche io momenti in cui inevitabilmente le motivazioni si modificano, momenti in cui ho sopportato il posto (pur non smettendo mai di supportarlo), ma non sono mai riuscito a farne a meno… Tutt’ora è qualcosa di cui sento il bisogno.

Yage

Credo che un aspetto molto importante nella storia di Atlantide sia stato non essersi fossilizzata su un certo tipo di scena ultra-specifica. Ovvero: anche nell’ambito della scena punk-DIY, che—come tutti i corpuscoli sociali—tende a riprodurre in piccolo le tendenze della società, in alcuni atteggiamenti è facile riscontrare un certo conservatorismo di fondo per cui, una volta scelto uno steccato abbastanza confortevole, ci si rinchiude evitando il confronto con tutto ciò che rimane fuori, autoghettizzandosi in maniera più o meno consapevole. Perché secondo te questo in Atlantide non è successo?
Non è stata una scelta consapevole o pianificata, ma penso dipenda dall’aver sempre rifiutato di aderire a determinati dogmi facendo (o non facendo) suonare alcuni tipi di gruppi piuttosto che altri in base ai nostri gusti personali. Forse perché tra di noi abbiamo gusti molti diversi, io stesso non ascolto sempre la stessa roba… Poi io avevo il mio background di frequentatore della Scintilla, dove ciclicamente tutto moriva a causa della tendenza portata all’estremo ad assecondare un unico trend, ed ero quindi ben consapevole della sorte che ci sarebbe toccata replicando quello schema. Poi ovviamente questo non significa far suonare cani e porci, un denominatore comune deve esserci e c'è stato, ma le scelte sono sempre state fatte dando una grossa importanza al fattore umano, forse è questo che ha contribuito a creare un equilibrio così particolare.

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Altro aspetto peculiare: in tanti anni di concerti non mi ricordo nessun episodio veramente grave di violenza o ingestibilità generica dello spazio. Ti ricordi qualche momento brutto nello specifico?
Niente di che, in realtà. Ci fu una volta in cui un tizio un po’ sconvolto si mise a sedere nel bel mezzo dell’incrocio di via Murri e dopo varie trattative fu convinto a spostarsi da un paio di schiaffi, in un’altra occasione il concerto degli Inedia fu interrotto da due skin sbronzi che minacciavano il cantante, ma in generale il pubblico si è sempre autoregolato piuttosto bene.

Un episodio non brutto ma sicuramente bizzarro fu il concerto delle Eagle and Talon, gruppo americano di ragazze accompagnate da un turnista al basso che non volle nemmeno entrare in Atlantide perchè era un posto “non sicuro”. La cantante era stata raggiunta in tour dalla madre che a sua volta era preoccupata dal fatto che sua figlia dovesse esibirsi in un posto del genere, spiegando come la ragazza si fosse appena laureata e dovesse sposarsi una volta tornata a casa, ed io passai la serata a rassicurarla sul fatto che sarebbe andato tutto bene.

9/7/2006: una fotografia

La finale del mondiale in cui l’italia ha vinto la coppa l’ho vista nel portico di Atlantide. Qualcuno aveva piazzato un televisore da 14” davanti alla finestra del bar e c’erano due file di sedie, dal fondo dovevo sporgermi un bel po’ per vedere lo schermo oltre la fila di smanicati neri, toppe e mohawk. Dopo la finale ci sarebbe stato un concerto con due gruppi anarco punk canadesi, che durante la partita fotografavano increduli l’improbabile accolita di crust e punk italiani che—in barba all’ortodossia libertaria—tifavano come degli ossessi la nazionale.

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Alla fine dei rigori l’ovvia esplosione di delirio: crust, straight edge e punkrockers abbracciati in una selva di arti ormai indistinguibili, mentre giù dai gradini in via Santo Stefano una fiumana umana cominciava a riversarsi per strada.

Durante il concerto, in più di un momento, gli amplificatori sono stati sovrastati dal boato dei caroselli sui viali, fuori dalle finestre di Atlantide. Magari non voleva dire nulla, ma lì dentro, quella sera, tutti erano pienamente liberi di essere ciò che erano. Non serviva altro.

La rassegna di musicisti contro lo sgombero di domenica scorsa.

Qui trovate la petizione.

Atlantide Resiste.