FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

I critici musicali sono sempre stati inutili

Analizziamo questa triste figura per capire se si possa costruire una strada alternativa per la critica.

Se per vostra sfortuna siete soliti frequentare blog musicali, probabilmente vi sarà capitato di litigare con qualcuno per motivi legati alla musica. Un problema che, direte voi, si risolve tenendosi a distanza di sicurezza da Internet. Anche in quel caso, però, non siete immuni dal rischio di essere incastrati, specialmente ad orari improponibili, in discorsi infiniti sulla necessità di rimpiazzare il rock moribondo con l'elettronica… Vi suona familiare? Voi volevate solo andare a ballare e invece sulla vostra strada si pianta un tizio—spesso aiutato da additivi di varia natura—che ha la missione di dover snocciolare a voce alta una serie di verità su quanto i Tame Impala abbiano fuso chitarre ed synth in modo assurdo, sul fatto che le prossime cose interessanti stiano arrivando dai ragazzetti disagiati tipo Dark Polo Gang e su quanto sia sopravvalutato Kendrick Lamar. Il tempo passa e il tipo continua, bercia tutto compiaciuto e non accenna a smettere. Sapete perché? Perché vuole litigare. E sa che ci riuscirà, è solo questione di tempo. Potrete decidere di fingervi morti o sordomuti, che è l'unico modo per spuntarla. Ma alla fine gli risponderete, e lui non vedeva l'ora.

Pubblicità

Sapete chi è quel tizio ubriaco? È un critico. Cioè non è detto che sia uno che di professione esprime giudizi su fatti musicali, ma in quel momento sta facendo critica musicale. Lo capite perché, molto probabilmente, vi sta facendo incazzare. Non preoccupatevi, non siete i primi a cui capita. È una storia molto vecchia.

Il primo esempio di critica musicale risale al 1643. Ed è subito polemica. Il compositore Marco Scacchi ascolta le musiche di Paul Siefert e non gli piacciono a tal punto da tornare a casa, prendere carta e penna e scrivere un libricino nel quale sostiene che Siefert non sia poi un granché come musicista. Il libro si chiamava Cribrum musicum ad Triticum Siferticum (Setaccio musicale del frumento di Siefert) e non era niente meno che un dissing in piena regola. Forse non si era abituati a questo tipo di attacchi diretti, forse invece il Cribrum aveva toccato punti sensibili, fatto sta che due anni dopo Siefert scrive un contro-libricino (Anticribratio Musica ad Avenam Scachianam aka Controsetacciatura musicale dell'avena di Scacchi) in cui—come nel famoso dissing tra Al-Ghazali e Averroè di qualche secolo prima—l'accusato risponde analizzando altrettanto accuratamente le composizioni di Scacchi segnalandone diversi errori. Preso in scacco, Scacchi incolpa l'editore di aver pubblicato senza la sua supervisione e Siefert rincara la dose chiedendo ad altri compositori di aiutarlo nella polemica, ma con poco successo (non esisteva ancora Internet d'altronde, oggi le cose sarebbero andate diversamente).

Pubblicità

E quindi sì, anche ai tempi in cui mettersi le parrucche serviva per distinguersi dal popolino, e non per far incazzare Adinolfi, già volavano gli insulti. Critica è un termine che deriva dal greco Krino che significa separare, giudicare, passare al setaccio. Tutti termini che fanno presagire un'attività conflittuale che deriva da un approccio decisamente anale-ritentivo all'arte. Nel 1722 in Germania nasce Critica Musica, la prima gazzetta di carattere musicale, e da allora la musica è diventata—ancora oggi lo è—un argomento di dibattito e di interesse pubblico. La musica non solo si fa o si ascolta, ma se ne parla anche. Tutto è successo perché in quegli anni era in corso una vera e propria rivoluzione musicale: la musica strumentale stava guadagnando terreno su quella vocale. Quindi per gli ascoltatori non era più scontato capire cosa stesse succedendo, in mancanza di un testo da accompagnare alla musica. Questo ovviamente riporta a una delle questioni più discusse: cosa significa la musica? Finché c'è un testo il problema non si pone, qualcuno ha scritto un messaggio e lo ha affidato alla musica per farlo viaggiare meglio e più lontano. Tutto tranquillo. Ma quando la musica esiste solo per se stessa, non si corre il rischio dell'asemanticità? In altre parole: se i suoni hanno un grande potere evocativo, sono piuttosto scarsi dal punto di vista dell'espressione di un significato preciso. Per fare un esempio, prendete la canzone più triste che conoscete e provate a pensarla senza il testo. Rimarrebbe un generico senso di malessere, ma non riusciremmo a capirne i motivi. Solo il testo potrebbe spiegarli in dettaglio, perché mentre la parola descrive, la musica può al massimo alludere. Per spiegare le ragioni della musica “pura” al pubblico i critici si misero al lavoro cercando di trovare interpretazioni "esterne" ai suoni delle composizioni strumentali. Il critico era quel ponte che cercava di mettere in contatto la musica con l'ascoltatore, per questo motivo il Settecento è stato tutto un proliferare di riviste e rubriche musicali. Come reagì il pubblico a questa schiera di esperti che voleva guidare e formare i giudizi musicali? Bene e male. Diciamo che la cosa non è cambiata molto rispetto ad oggi, ovvero i critici sono apprezzati quando danno informazioni e scovano materiali interessanti, insomma quando forniscono un servizio oggettivo, ma quando esprimono un giudizio soggettivo o parlano di gusto musicale allora possono suscitare polemiche che vanno dalla delegittimazione—chi sa fare fa, chi non sa fare critica—al "ti aspetto sotto casa e poi vediamo, brutto musicista fallito".
Questo perché la critica è un'attività paradossale. Infatti il critico trasforma un'esperienza personale in oggetto di dibattito pubblico, ponendosi certe volte come giudice o guida e urtando allegramente gli eventuali musicisti stroncati, il loro pubblico e l'organizzatore dell'evento. Quindi la critica musicale nasce in un momento di crisi e si pone un compito paradossale. Verrebbe da credere che gli piaccia farsi del male, benché nemmeno loro siano proprio degli agnellini.

Pubblicità

I critici Andrea Laffranchi e Marco Mangiarotti alla scuola di Amici di Maria De Filippi. Siamo da tempo convinti che il massimo della conflittualità nella nostra società trovi sfogo su Internet, e in effetti chi di noi non ha mai litigato con un grillino o con uno di quei raffinati politologi che sostengono che il governo regali ogni giorno una cifra che oscilla tra i 30 e i 100 euro a qualsiasi Rom passi per strada? Tuttavia già prima di internet esistevano i flame, i troll e i leoni da tastiera. Per esempio ai primi del Novecento alcuni dei più illustri critici diedero vita a scontri memorabili sulle pagine dei quotidiani dell'epoca. Volavano insulti e prese per il culo degne di una gara di freestyle e gli argomenti erano tutti molto scottanti e sentiti. E non si salvava nessuno: per esempio Puccini, che oggi è una delle icone del melodramma, si sentì dire che era un borghesuccio, uno che “non è musicista, non fa dell'arte. È sempre stato, intimamente, un artista mancato”. C'erano poi un bel po' di discorsi su quale fosse la nazione musicalmente più interessante, con toni da ultrà di curva gonfio di birra del discount. Un gruppetto di critici amava sostenere che le tendenze più innovative, siccome venivano da Germania e Austria, fossero “musica illogica, immorale” oppure “stato psicopatico di agitazione da parte dei musicisti più inetti”. Altre risse erano dedicate all'eterna lotta tra modernità e tradizione, senza tralasciare un bel po' di attacchi personali. Nomi come Pizzetti, Casella, Torrefranca e Parente non ci dicono niente, ma all'epoca erano i pesi massimi della polemica, con punte che ricordavano i migliori scontri Sgarbi vs. D'Agostino. Ma senza gavettoni.

Pubblicità

Probabilmente la critica musicale per sua natura deve essere polemica o comunque provocare una reazione, anche perché la musica strappata agli specialisti e consegnata al pubblico permette ad chiunque di esprimere la propria opinione. È una cosa bellissima, ma che porta con sé, per forza di cose, nuove possibilità di scontro. L'idea che ognuno possa avere un proprio gusto personale, e possa ascoltare la musica che gli pare ed opinarne anche senza essere uno specialista, da un punto di vista storico, è abbastanza recente. E in parte deriva da tutti questi scontri, che hanno contribuito farci percepire la musica come un argomento del quale poter parlare tutti, su cui farsi un'opinoine anche senza aver mai messo mano a uno strumento. Da questa scoperta di una dimensione pubblica della vita musicale deriva l'idea di un patrimonio condiviso e permanente. Prima la musica finiva nell'immediatezza dell'evento, senza spazio per la riflessione e senza possibilità di un approccio intellettuale. Ovviamente questo approccio intellettuale hai il suo prezzo da pagare, basta pensare alla lunga tradizione di musicisti che si sono divertiti a usare i critici musicali come pungiball. La famosa frase: “Scrivere di musica è come ballare di architettura: è proprio una cosa stupida da fare,” attribuita a turno a Frank Zappa, Elvis Costello, Thelomious Monk e addirittura Clara Schumann, la dice lunga sulla love story tra chi la musica la fa e chi ne scrive. Ci siamo già occupati di cose simili, e di alcune cantonate che un critico può prendere. Anche nella musica classica le cose non vanno molto meglio, se persino un simpaticone come Erik Satie ha scritto un Elogio dei Critici nel quale si sbizzarriva in paragoni tra critici e animali e Adorno nella sua Introduzione alla Sociologia della Musica ricorda che la critica è inutile perché ha fallito come “organo istituzionale dell'opinione pubblica”. Anche questo ovviamente ha contribuito a rendere la critica un ambiente confortevole quanto una stanza buia che ospita combattimenti di Vale Tudo. Come hanno reagito i critici a tutto questo? Fondamentalmente continuando a fare quello che hanno sempre fatto: a scrivere, cercando di rispondere più come individui che come categoria. Non sembrano infatti esserci stati particolari cambi di rotta, e ciò che ha conformato la critica come la conosciamo oggi è dovuto principalmente a motivazioni esterne come la nascita del disco, le nuove tecnologie, il minor spazio a disposizione e la prepotenza del mercato discografico. Eppure i critici, bistrattati e continuamente a rischio di estinzione, non mollano. Come mai? Probabilmente per lo stesso motivo per cui il pubblico, tutto sommato, continua a seguirli: ci piace assistere a discussioni accese su quello che accende e appassiona anche noi. Altrimenti non si spiegherebbe come mai esistano alcuni umani, o presunti tali, che comprano la gazzetta dello sport TUTTI I GIORNI. L'appassionato di musica non riesce a non leggere cose sulla musica, perché in fondo non vuole smettere, o meglio vuole smettere per poi ricominciare, come ogni drogato che si rispetti. Ma la stessa dipendenza, in forma più acuta, ce l'hanno pure i critici. Anche perché bisogna tenere presente che il 90% dei critici non viene pagato, o viene pagato poco, e comunque spessissimo deve fare altri lavori per campare. Allora perchè nessuno molla? Probabilmente perché ci siamo tutti dentro fino al collo, e perchè la musica ci parla in un modo che sembra sempre incompleto, sempre pieno e coinvolgente, ma con tanti punti oscuri. O forse perché ci piace leggere e scrivere, molto semplicemente. Comunque sia, nessuno molla, malgrado tutto. Probabilmente c'è anche una parte di masochismo, del resto la parola critica stessa non è forse utilizzata sempre in contesti spiacevoli? Situazione critica, criticare, criticone, criticato. Certo ci sarebbero il pensiero critico e la critica costruttiva, ma si vedono raramente e iniziamo a dubitare della loro esistenza.

Pubblicità

L'inarrivabile Piero Scaruffi.

Portando il discorso più in là verrebbe da chiedersi se esiste una critica musicale 2.0. Di certo una prima svolta è venuta dai generi musicali della modernità, in particolare il jazz e il rock. Siccome la critica musicale tradizionale aveva snobbato questi generi, che del resto erano rivolti ad un altro pubblico, per forza di cose si è consolidata una differenziazione di generi per la quale nessuno chiederebbe a Quirino Principe di seguire il Tomorrowland o nessuno avrebbe mandato Lester Bangs a Sanremo (anche se sarebbe stato fantastico). Le nuove leve della critica, (nuove mica tanto, dato che adesso iniziano ad imbiancare anche loro), portarono di prepotenza il mondo dei fan in primo piano. L'età dell'oro delle fanzine ha rappresentato proprio questo: la critica fatta da appassionati non professionisti senza una formazione musicale. Le cose che scrivevano quindi erano basate sulle loro impressioni e su una conoscenza solo empirica dei fatti. Questo da un lato ha giovato alla critica, contando che la cosa più gonzo che un critico di musica colta possa permettersi è la prima della Scala, dove si prendono in giro i vip per i loro completi umilianti. (Sì, lo so che ora state pensando alla Santanché. Scusate.)

Tuttavia, la botta di vita che la critica rock-pop ha portato, spesso ha pagato lo scotto di tanta passione e dinamismo senza una preparazione adeguata. Nei casi peggiori si giungeva al tristemente noto binomio ciuccio e presuntuoso. La cosa purtroppo ha portato ad un'ulteriore separazione tra generi con conseguenti gerarchie dure a morire per le quali esiste una musica colta e pallosa, e una divertente che quindi deve essere anche ignorante. A volte questa ghettizzazione è stata alimentata anche dai critici stessi, come quando Eddy Cilìa, figura storica della critica rock, afferma: “credo sia indispensabile essere musicisti se ci si occupa di musica classica. Per il jazz magari può aiutare. Per il rock e il pop invece credo contino di più gli ascolti e l’avere una chiara idea storica di come si sono sviluppati i vari generi”. Quindi una bella calssifica a tre, con il jazz a metà che non si capisce mai dove ficcarlo. Allo stato delle cose, l'aggettivo al quale ogni critico aspira è “autorevole”. Il critico professionista è in qualche modo condannato ad essere presuntuoso perché può avere peso e riconoscimento dal pubblico solo se si dichiara o si dimostra superiore al pubblico stesso. Ma se prima questo avveniva in modo quasi naturale, perché il critico riusciva ad ascoltare i dischi in anteprima, a parlare con gli artisti (non con gli uffici stampa) e soprattutto era il solo ad poter scrivere, adesso che invece chiunque può avere un blog, un canale YouTube, mentre i critici ufficiali hanno sempre meno spazio, che cosa succede? La musica è diventata liquida e viaggia ovunque, quindi il critico musicale assomiglia sempre di più ad un sommelier di acqua, a qualcuno che cerca di venderti porta a porta lo stesso liquido che ti esce gratis dal rubinetto di casa.

Pubblicità

Ecco quindi il paradosso della critica di oggi: chi fa critico per passione ha tutto lo spazio e l'indipendenza che vuole, mentre la critica ufficiale ha il numero di battute contato e non può inimicarsi i pesi massimi dell'industria. Questo non vuol dire che la critica è morta. È un po' come la Seconda Repubblica: non può morire perché non è mai nata del tutto. Più che ad un'estinzione, probabilmente assisteremo ad una serie di mutazioni—che a dirla tutta sono già in corso. Come ha detto Federico Capitoni nel suo libro sulla critica esistono un sacco di nuovi strumenti che la tecnologia offre: lo spazio infinito, il real-time, la multimedialità e soprattutto la condivisione e l'interattività. Se la critica andrà in questa direzione, allora probabilmente riuscirà ad interessare il pubblico, perché l'opinione personale—anche se molto documentata—non può competere con la trinità Wikipedia / YouTube / Social Network.

L'analisi musicale e dell'esecuzione, capisaldi della critica tradizionale, non interessano più il pubblico, e bisogna farci i conti. Snobbata dai giornali, la critica potrebbe riguadagnare terreno sulla rete dove, anche tra mille insidie, sembra esserci più pluralismo e un livello di dibattito più acceso, visto che internet ha portato con sé la croce e la delizia dei nostri tempi: i commenti. Oggi anche il critico viene criticato, un po' perché è oramai assodato che ognuno è padrone del suo gusto personale, un po' perché quei bottoni “commenta” sono spesso irresistibili, tutti colorati e pronti ad farci sentire opinion leader.
Sarebbe quindi interessante vedere qualcosa di buono nascere da questa sorta di arena delle opinioni, che se da un lato porta a vicoli tragicamente ciechi, dall'altra potrebbe, si spera, offrire aperture interessanti. Sicuramente tra i doveri della critica di oggi sarebbe da mettere una maggiore cura per le forme stesse del comunicare. Se infatti l'intervista resiste abbastanza bene perché fornisce materiale inedito, la recensione, l'analisi e la divulgazione in un contesto multimediale come Internet potrebbero, e probabilmente troveranno, nuovi modi più interessanti di esistere. Ne è esempio il fatto che alcuni critici, tipo Anthony Fantano aka The Needle Drop stanno andando forte, e il motivo sta nell'attitudine e nell'attenzione alla forma con cui si esprime.

Probabilmente la critica musicale avrebbe bisogno di una maggior consapevolezza della propria condizione e dei propri scopi, magari anche provando a ricomporre—benché in parecchi casi sia utopico—il rapporto con il pubblico, o quantomeno cercando di sollevare l'interesse con argomenti freschi e trattati in modo dinamico. La cosa importante oggi è fare delle buone analisi, che non siano pallose ma nemmeno superficiali, creare collegamenti e formulare ipotesi su questo o quel genere e i possibili sviluppi. Serve questo, servono buone interpretazioni, perché i fatti in sé sono sempre di più alla portata di tutti, spesso in tempo reale, tanto che a volte addirittura gli uffici stampa arrivano in ritardo. Se proprio si devono fornire informazioni, che siano di prima mano. Quel gruppo ha quel suono che entusiasma tutti? Infilati nel loro studio e spiega a tutti che strumenti usano, svela qualche segreto che non sia una mossa pubblicitaria. Se un critico musicale è un giornalista, allora magari qualche inchiesta o qualche scoop non farebbero male, direi.

La critica della opinioni è morta con Internet. Il pubblico va riconquistato con idee ed interpretazioni fuori dagli schemi, non con la conoscenza non applicata o peggio ancora con l'erudizione. Esiste Wikipedia, quindi siamo tutti onniscienti o ignoranti, a seconda di come la si voglia vedere. Il critico che ci saprà interessare sarà quello che ci insegna qualcosa. Per le stelline e le recensioni qualitative abbiamo già Tripadvsor (o Metacritic), grazie.
Apettando che tutto questo accada, torniamo pure alla nostra festa, a litigare con tizio ubriaco su quali siano i dischi del secolo.

Alessandro di solito insegna e scrive cose più "pesanti" di queste. Non crediamo abbia Twitter, ma puoi litigarci nei commenti qui sotto.