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Musica

La meraviglia panica di HDADD

"Sense Of Wonder" è un lavoro pieno di strati sonori, a metà tra l'afrofuturismo e la psichedelia spaziale.

Mentre penso a cosa potrei scrivere per parlarvi di Sense Of Wonder il mio cervello in cerca di assurdi giri verbali si ferma un secondo a riflettere su come in realtà già il titolo stesso sia in grado di descrivere alla perfezione il progetto a cui aderisce. HDADD, oltre ad essere il nome tecnico di un particolare disturbo da deficit di attenzione, è l'alias scelto da Marco Acquaviva per il proprio progetto, che oramai vive da qualche anno ed è foriero di alcune delle produzioni elettroniche più dense e ipnotiche del nostro panorama elettronico. Una delle sue tracce era stata inserita nella compilation uscita qualche tempo fa dal collettivo milanese Communion, il cui ambito di ricerca è appunto la comunione sonora, che sia frutto di un viaggio psichedelico collettivo o di una direzione di studio folklorico condivisa.  La spinta space-psichedelica di HDADD è chiara sin dai lavori pubblicati in precedenza sulla sua label Queenspectra, di cui cura anche le grafiche (anche l'immagine che accompagna Sense Of Wonder è sua), ma in questo album c'è uno sviluppo preciso del sound che va dall'astrazione completa di synth che si stratificano in orbite lontane dalla concretezza, poi si fa strada avvicinandosi gradualmente, come se nella rincorsa allo stupore lo sguardo si spostasse progressivamente dall'alto al basso, fino ad arrivare a riconoscerne la presenza anche qui, a un millimetro da noi. Il nostro collaboratore Nicolò Arpinati ha descritto il percorso sonoro di Sense Of Wonder come un progressivo avvicinamento al Pianeta Terra: "dopo una partenza che è quanto di più sintetico e siderale, cosmico, si possa immaginare (c'è quasi la sensazione di autogenerazione dei suoni, con un risultato però diversissimo dalla teoria degli Autechre) arriva la title track con i primi sentori di anima black, di soul e di jazz. Quello è appunto il primo contatto con l'orbita terrestre: il sound si fa sempre meno etereo e trova nel singolo "Quetzal Splendente" il secondo punto di svolta. da questo momento si accendono definitivamente gli istinti più funk, più afrofuturisti dell'opera, tanto che in certi punti pare davvero di trovarsi tra le mani un disco di fine anni Settanta di Miles o Hankock."  In effetti è raro trovarsi davanti a un lavoro così fortemente narrativo, pur senza mezza voce umana, e allo stesso tempo così complesso—prova definitiva che i nostri migliori producer, orfani di una "scena" vera e propria che dia un marchio di appartenenza alle loro produzioni, stanno andando verso una direzione comune di esplorazione panica, in cui sembra che l'unica costante sia la ricerca di una agilità sonora scatenata da ogni etichetta, come se l'urgenza fosse quella di affermare che, se dal nostro underground non arrivano input precisi, vorrà dire che si è autorizzati a demolire ulteriormente ogni residuo di barriera.  Ed è per questo che abbiamo tra le mani un piccolo tesoro: una generazione di musicisti, di cui fa parte anche HDADD, che sanno di avere davanti infinito materiale e infinite possibilità per trattarlo e comunicarlo. Si tratta solo di prendere la mira. E la traiettoria di questo lavoro è tanto ampia quanto faunisticamente interessante: durante il viaggio disegnato da HDADD si incontrano talmente tanti input, e così diversi (lui parla di Sense Of Wonder come di una colonna sonora per un mondo immaginario in cui passato, presente e futuro collassano) che è necessaria una risposta attiva da parte di chi sceglie di seguirlo, tanto che HDADD stesso afferma di voler condurre il proprio ascoltatore in uno stato di "verginità sensoriale", in cui lo stupore è il sentimento che deriva dalla liberazione totale dai paradigmi razionali. E siccome i diamanti nascono sempre dalla merda, è possibile ipotizzare che artisti come HDADD sentano così forte il senso di paralisi che c'è in superficie—nel circuito mainstream, per intenderci—da sviluppare per reazione uno slancio verso l'apertura totale nelle proprie produzioni, che riflette una presa di posizione quasi politica nei confronti della stasi semantica che ci circonda, e questo è il regalo più bello che il nostro fertile underground ci può fare.

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