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Musica

Recensione: Jerusalem In My Heart - Daqa'iq Tudaiq

JIMH è una delle cose più interessanti del panorama musicale degli ultimi anni e questi cinque brani suggestivi e ipnotici non fanno che confermarlo.

Jerusalem In My Heart è uno dei progetti musicali più interessanti che siano usciti negli ultimi anni, lo posso dire con assoluta convinzione. Ho anche avuto la fortuna di assistere a due live di questa sigla e, grazie a URSSS (sempre siano lodati), potete guardarli anche voi nella comodità del vostro salotto.

Sulla carta JIMH si presenta come un duo, ma in realtà uno dei due (Charles-André Coderre) è coinvolto soprattutto come autore dei visual, mentre la parte musicale sta tutta nelle mani di Radwan Ghazi Moumneh. Radwan è originario di Beirut ma sta a Montreal da quando era ragazzino, e fa parte del giro della Constellation Records. Se non conoscete quest’etichetta vi invitiamo a studiare un po’ di più, perché è una delle realtà che a partire dalla fine degli anni Novanta ha portato alcune delle migliori novità in quel mondo un po’ stantio che era la musica “rock” (tra virgolette perché già si parlava appunto di post-rock). Il nome di riferimento, attorno al quale ruotano molte delle realtà di questa scena, è quello dei Godspeed You Black Emperor.

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Moumneh di questa scena fa parte a tutti gli effetti, essendo peraltro proprietario di uno studio di registrazione insieme a Efrim Menuck e Thierry Amar dei Godspeed e al batterista Howard Bilerman (pure sul primo disco degli Arcade Fire, oltre che in moltissimi progetti del giro Constellation). In questo studio ha lavorato come ingegnere del suono per dischi di gente come Suuns, Ought e Matana Roberts, mentre come musicista passava dagli esordi in gruppi punk a vari progetti tra cui un disco in collaborazione con Eric Chenaux. Ma è nel 2005 che ha dato vita al progetto di cui parliamo oggi, dapprima soltanto in live, con un certo turnover di collaboratori, e infine da solo, almeno per quanto riguarda la parte strettamente musicale. È da solo che ha pubblicato (su Constellation) il primo album nel 2013 (Mo7it Al-Mo7it) e il secondo nel 2015 (If He Dies, If If If If If If), oltre a un disco condiviso con i Suuns sempre nel 2015.

La musica di Jerusalem In My Heart è fortissimamente legata alle origini libanesi di Moumneh, e fondamentalmente è un’attualizzazione, con un deciso utilizzo dell’elettronica e di sonorità drone/ambient, di musiche che richiamano direttamente alla tradizione della penisola araba e zone limitrofe (Egitto compreso). Va detto anche che il musicista trascorre ancora vari mesi dell’anno nella sua città natale, ed è molto legato alla scena elettronica del posto.

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Tutti i lavori che ha realizzato sono davvero, davvero belli, hanno una incredibile ricercatezza e precisione nei suoni, e trasmettono una magia unica e psichedelica, e lo fanno in modo allo stesso tempo indubbiamente molto raffinato ma anche profondamente diretto e immediato. Non fa eccezione questo nuovo album, ancora una volta su Constellation, che prova però anche una formula inedita: il primo lato infatti è interamente occupato da un rifacimento di un classico popolare egiziano, “Ya Garat Al Wadi” di Mohammad Abdel Wahab, in chiave orchestrale e moderna. Moumneh ha messo insieme a Beirut un’orchestra di quindici elementi, diretta nientemeno che dal grande Sam Shalabi (collaboratore di lunga data anche dei fratelli Bishop), composta da strumenti tradizionali come riq, santur, derbakeh e kanun, che vanno poi a incontrare le produzioni elettroniche caratteristiche del progetto, in questo caso ovviamente meno preponderanti e invece più sottili e limitate a alcuni dettagli, effetti, accorgimenti e finezze che solo progressivamente vanno a svelarsi nel corso del brano.

Il produttore libano-canadese ha anche deciso di cambiare il titolo del brano, riprendendo una strofa specifica del testo che si riferisce a come l’amore non abbia bisogno di parole, ma possa essere manifesto già solo nello sguardo. La canzone di origine acquisisce così in tutto e per tutto nuovi significati e ci trasmette la potenza di un sentimento che si trova a svilupparsi in mezzo alla guerra e a tempi difficilissimi.

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Il secondo lato del disco è invece dedicato a cose più vicine a quelle cui JIMH già ci aveva abituati, con voce e bouzouki e brani più brevi che lavorano su un discorso di distorsione e destrutturazione di sonorità caratteristiche delle zone del mondo di cui parlavamo prima verso i territori dell’elettronica. Cose a cui già ci aveva abituati ma non per questo meno belle o da sottovalutare. Ripeto, credo che JIMH sia una delle cose più interessanti del panorama musicale degli ultimi anni e questi cinque brani suggestivi e ipnotici non fanno che confermarlo.

Non resta molto altro da dire, essendo già abbastanza chiaro che questo disco rappresenta un altro centro per il buon Moumneh, se non chiudere con una buonissima notizia: il 30 novembre i bravi ragazzi di Threes e di Buka ci offriranno l’occasione di assistere a un nuovo live della sigla, nei pazzeschi spazi dello Striptease di via Padova, in una serata che oltre a questo main act prevede anche la presenza di un’altra robetta come Ron Morelli e dei due splendidi local DJ Paquita Gordon e Joseph Tagliabue. Ci si vede lì.

Daqa'iq Tudaiq è uscito il 5 ottobre per Constellation.

Ascolta Daqa'iq Tudaiq su Bandcamp:

TRACKLIST:
1. Wa Ta'atalat Loughat Al Kalam
2. Bein Ithnein
3. Thahab, Mish Roujou', Thahab
4. Layali Al-Rast
5. Kol El 'Aalam O'youn

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