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Tecnologia

Banane anti-razziste, funghi anti-banana

Un'epidemia si sta diffondendo tra le piantagioni di banane di tutto il mondo. Affrettatevi coi selfie perché il rischio è l'estinzione totale.

Se nei giorni scorsi avete sentito l’urgenza di combattere il razzismo brandendo banane, godetevi questi momenti finché potete. Gran parte delle banane del mondo rischia infatti di essere spazzata via da un morbo assassino, che si è già diffuso in due continenti e per cui, ad oggi, non esiste cura.

A minacciare le banane è la cosiddetta malattia di Panama TR4, condizione indotta dal nuovo ceppo di un fungo, il Fusarium oxysporium, che si introduce nelle piante di banano e ne devasta le radici dall’interno. Si tratta di un parassita resistente a fungicidi e agenti chimici vari, capace di sopravvivere per decenni sotto forma di spore, e dalla diffusione inarrestabile: basta un grumo di terra infetta sotto le scarpe per contagiare con l’ammazza-banane qualunque terreno si calpesti.

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È così che il TR4, nato in Malesia, ha fatto il salto, arrivando nelle piantagioni di Giordania e Mozambico alla fine del 2013. Adesso, le Nazioni Unite e la FAO hanno lanciato l’allarme, poiché si teme che il fungo raggiunga l’America Latina, dove si trovano alcune delle più grandi piantagioni del mondo, e dove i movimenti di braccianti fra un paese e l’altro potrebbero spargerlo su scala continentale, rendendolo incontrollabile. Mentre le multinazionali della frutta si sono affrettate a dichiarare che non c’è nessun pericolo, alcuni esperti hanno spiegato come lo sbarco nelle Americhe sia già avvenuto, e che sia solo questione di tempo prima che l’olocausto giallo abbia inizio.

La possibilità di un’apocalisse agricola può sembrare esagerata, ma in realtà qualcosa del genere è già avvenuto, e piuttosto di recente. Erano gli anni Cinquanta quando le banane Gros Michel, la varietà allora destinata alle esportazioni verso i paesi occidentali–e, dicono, molto più buone delle banane odierne–persero una battaglia pluridecennale contro la malattia di Panama originale, la nonna più mite di quella macchina da guerra che è il TR4. La produzione fu decimata e da allora la Gros Michel è quasi introvabile.

La strage delle Gros Michel lasciò traccia nella musica–la canzonetta “Yes! We have no bananas” fu un successone–e provocò qualche infarto tra i coltivatori di banane, ma non fu un disastro totale. La malattia di Panama originale colpiva solo le Gros Michel, lasciando integri gli altri innumerevoli tipi di banana. Per sostituire le Gros Michel, così, il business delle banane andò a pescare una varietà originaria delle Canarie resistente al Panama, la Cavendish, cioè quella che tutti conosciamo come “banana” e che oggi costituisce il 95 per cento delle esportazioni del frutto verso i paesi occidentali.

Contro il TR4, la Cavendish è indifesa. Ciò che è peggio, lo sono circa l’85 per cento delle varietà di banana esistenti. Il che, da un lato dovrebbe rassicurarci: bene o male, in quel 15 per cento di fortunate, si troverà una varietà di banane che sostituisca quella attuale. La Goldfinger, ad esempio, sembra essere una buona candidata: ha un sapore che ricorda quello della mela, il che non è entusiasmante, ma almeno la banana non diventerà solo una parola sui libri botanica. Non è detto però che questo processo di sostituzione sarà rapido, né indolore.

A far torcere le mani a ONU e FAO non è solo l’impatto economico che la distruzione di intere piantagioni avrebbe sull’economia mondiale–la banana è l’ottavo prodotto alimentare più consumato sul pianeta. Il punto è che la banana non è più esclusivamente un prodotto da esportare. Anzi: i due maggiori produttori di banane al mondo, Cina e India, non ne esportano neanche una cassa, riversando invece le banane sul mercato locale. In molti paesi produttori invece, specialmente nell’Africa subsahariana, la banana è spesso l’unica fonte disponibile di calorie a basso costo. Per buttare giù qualche numero, l’ONU calcola che le banane siano un pilastro dell’alimentazione per oltre 400 milioni di persone.

Un’epidemia di TR4 potrebbe quindi mettere in moto l’ennesima crisi alimentare in paesi che già annaspano nell’abisso della denutrizione. La posta in gioco, qui, è molto più alta del piacere di mangiarsi una banana a colazione, o di sbandierarla in un selfie.