se mi lasci ti cancello

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Musica

La colonna sonora di Eternal Sunshine of the Spotless Mind è un capolavoro di empatia

La colonna sonora di Jon Brion per il capolavoro di Gondry è una pietra miliare della cinematografia del nuovo millennio.
GC
London, GB

Colonne sonore bellissime è la serie di Noisey che parla di colonne sonore bellissime. Qua gli altri episodi.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind arrivò il 19 Marzo 2004 nelle sale statunitensi, prima di sbarcare nel nostro Paese con un celebre quanto sciagurato adattamento del titolo (che conosciamo tutti, e che sarebbe meglio bypassare) qualche mese dopo, a ottobre. Il film è diventato manifesto emotivo delle generazioni a venire, capace di smistare drama e romanticismo in uno sviluppo della trama dai contorni completamente innovativi, con una fortissima componente psicologica come perno centrale. Per il buon Charlie Kaufman rappresentò la consacrazione del sorprendente quanto unico stile di sceneggiatura, agli occhi dell'industria hollywoodiana che lo aveva già ammirato in Essere John Malkovich; per il pubblico un punto di riferimento per un cinema emozionale di estrema introspezione, che vide nella forza delle idee, nell'estrema abilità registica, nella concatenazione degli eventi del racconto una luce nuova.

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In questo scenario, la musica giocò un ruolo molto importante. Per Gondry, la ribalta era arrivata anche grazie alle decine di videoclip musicali girati negli anni addietro—tra i suoi clienti, Rolling Stones, White Stripes, Björk, Chemical Brothers, Radiohead e Daft Punk (se ve lo state chiedendo, sì, proprio "Around The World"). Una componente che aveva accresciuto il valore della sua carriera, e che lo premiò anche nel momento in cui fece la scelta che avrebbe cristallizzato le sorti di ESOTSM.

La colonna sonora di Eternal Sunshine of the Spotless Mind fu affidata a Jon Brion, che aveva lavorato a stretto contatto con Paul Thomas Anderson, per Boogie Nights, Magnolia e Punch-Drunk Love, e che da lì a poco sarebbe stato quasi automaticamente associato al film di Gondry, capace di realizzare con ogni probabilità uno dei migliori score del nuovo millennio. Un effetto calamita, da ascrivere ad un linguaggio affascinante e meticolosamente in linea con gli effetti del montaggio, che tocca esattamente le corde per diventare imprescindibile. Alla fine, ai Grammy riceverà solo una nomination, il che è quasi certamente un crimine.

Jon Brion.

Il suo merito è stato quello di aver fatto diventare il film, nel nostro immaginario, un tutt'uno con quelle melodie soffici e trasognanti che entrarono perfettamente in simbiosi con il mood della pellicola, e che ne definirono ancora meglio i caratteri predominanti. L'empatia che è possibile provare con i protagonisti scaturisce da un perfetto incastro di tonalità melanconiche, dai colori a volte nitidi e luminosi, altre pesantemente opachi, per enfatizzare nel nostro ascolto la travagliata evoluzione dei loro stati d'animo. Si alternano archi, piano e strumenti a fiato che estremizzano la densità di afflizione, rimorso, dolore, desiderio, passione, amore. Tutto, in ordine completamente sparso, esattamente come il complicato processo attraverso cui va incontro Joel, sotto i nostri occhi, e nella ricostruzione del personaggio di Clem, attraverso i suoi ricordi.

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Ma qui, a differenza dei salti temporali del film, cercheremo di andare con ordine. L'introduzione, con il rilassato tema iniziale (durante il quale vediamo Joel alzarsi dal letto, già inconsapevole della notte trascorsa), si propaga fino al dialogo del protagonista, tra sé e sé, di quella insolita mattina.

Non sono andato al lavoro oggi. Ho preso un treno per Montauk. Non so perché. Non sono un tipo impulsivo.

Non siamo immediatamente stimolati al punto da capire quanto ci sia dietro la sua confessione, ma sarà questione di attimi. Per metterci a nostro agio con il mood di ESOTSM, si manifesta molto presto nella composizione di Jon Brion il carattere nostalgico e sentimentale dei brani. Clementine saluta Joel dalla finestra, dopo averlo appena conosciuto, la mattina stessa sulla spiaggia di Montauk, invitandolo a farsi vivo al più presto per telefono. "Phone Call" ci guida con estrema facilità nel binario della suggestione emotiva che il protagonista sta provando. Il suono avvolgente ci conforta, diventa quasi nido di una felicità in divenire, celata da qualche parte nel suo subconscio, futura preda della cancellazione. Sarà, non a caso, replicata nella scena del lago gelato, poco più avanti, e nel ricordo della bambola che Clementine collegava ai suoi irrequieti trascorsi infantili. Ma è una felicità estemporanea, che andrà rincorsa, conquistata, costi anche rincorrere ricordi che ci sono stati tolti da un computer, in maniera irreversibile. Nella scena seguente, balziamo nelle tonalità scure, tetre che il reverse narrativo della sceneggiatura comincia a tessere. Joel sta guidando per tornare a casa per prepararsi, controvoglia, a subire il trattamento della Lacuna Inc. Piange disperato in macchina, perché ha deciso di cancellare Clementine dalla sua memoria, dopo aver scoperto che lei aveva preso la stessa iniziativa qualche giorno prima, per rimediare al brusco epilogo della loro difficile storia.

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La celeberrima cover di "Everybody's Gotta Learn Sometimes" dei Korgis fatta da Beck suona dall'autoradio ed è certamente il pezzo che ruba la scena, comparendo al palesarsi dei titoli iniziali (nel preambolo alle scatole cinesi con cui giocherà di continuo il film), e tornando in quelli di coda. La sintesi perfetta del significato insito nell'intera trama, l'inno al rapporto d'amore dei due protagonisti, pieno di rammarichi e rimpianti, sliding doors e what if.

A volte, tutti dobbiamo imparare.

Nonostante le difficoltà, non c'è niente che possa separare questi due pezzi del puzzle, che vediamo decomporsi—e poi, dopo mille peripezie, ricomporsi—accompagnati dalle parole del pezzo. Abbiamo ottenuto il primo elemento di rottura, la cui entità ci verrà svelata man mano più avanti, mentre apprendiamo che lo stato psicofisico del protagonista è in condizioni pessime. Inizierà il progressivo rewind, il rovescio degli eventi che lo hanno condotto fin lì, e ci arriveranno simultaneamente le sfumature più cupe e tristi della sua situazione mentale. Il down emotivo dei fiati in "Postcard" risuona mentre Joel legge la notifica arrivata agli amici Frank e Carrie da parte della Lacuna. "Collecting Things" è invece lo sfondo della conversazione con il dottor Mierzwiak, che cercherà di spiegargli come comportarsi per inizializzare il processo. Quest'ultimo pezzo ripete in chiave minore le note di "Phone Call," proprio in un battito opposto a quello con cui era apparsa nel ritorno alla loro notte speciale (che scopriremo essere il loro re-incontro)—perché bisognerà fare i conti con una realtà e un presente che parlano di tutt'altro.

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"Row," che accompagna le memorie del piccolo Joel sotto la pioggia, rappresenta forse il pezzo dal sapore più dolce. Tramite un pianoforte, ci mette in contatto con la parte più vulnerabile e suggestionata, ancora estremamente presente nella sua personalità. Il contrasto che avviene dopo, in "Down the Drain," è per questo ancora più lancinante: durante la fuga di Joel e Clementine tra un ricordo d'infanzia e l'altro, la procedura di rimozione viene ristabilita, causando una decisiva inerzia negativa al suo tentativo di sabotarlo. C'è, poi, il tema di "Strings That Tie To You," in cui lo stesso Brion canta, utilizzato nella versione strumentale, chitarra acustica e piano, in "Elephant Parade," durante il ricordo della parata degli elefanti a Manhattan—una tra le ultime tracce felici che il percorso a ritroso rimuove. Intanto Mary ripete i versi della Lettera di Eloisa ad Abelardo di Alexander Pope (che il titolo del film riprende), comprimendo in pochi istanti una nostalgia immensa.

In sequenza, poi, arrivano i momenti più ricchi di trasporto del film, e la musica riesce davvero, pienamente, ad accentuarli: "Bookstore," nella scena della libreria ("Ricordati di me, fai del tuo meglio"), è un ensemble di archi che tocca le nostre debolezze, mentre ci rendiamo conto che dietro sta per svanire tutto. "Peer Pressure", durante il crollo della casa a Montauk insieme agli ultimi ricordi, accompagna il dialogo che segna l'addio definitivo a tutto ciò che era stato, a ogni tumulto della storia. Ci sentiamo sconfitti dalle stesse emozioni che provano i personaggi nel loro déjà vu. Percepiamo tutto ciò che quell'addio, pur essendo già avvenuto, pur essendo frutto del subconscio di Joel, ha significato.

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Vorrei essere rimasto. Davvero.

Ma il twist finale (profetizzato proprio nell'apice della nostra distruzione emotiva, con "Ci vediamo a Montauk") ci riconduce a una possibilità. Le strade di entrambi si riconcilieranno, pur estremamente scombussolati da quanto è accaduto, senza che se ne possano rendere conto. Cercheranno, a fatica, di confrontarsi, per poi mettere da parte la ricerca del significato del loro passato. Joel rincorre Clementine per i corridoi del palazzo fino a farla desistere dalla fuga, perché tutto quello che non riescono più a ricordare, che di loro è stato parte, varrà comunque la pena essere vissuto. Tutti quanti dobbiamo imparare, prima o poi—parole il cui eco segnerà un nuovo, migliore, inizio anche per loro. Riparte la cover di Beck, durante i titoli di coda, che ricompone il puzzle che avevamo lasciato prima.

La colonna sonora di Jon Brion arricchisce il concetto e la resa del film in una simbiosi straordinaria tra immagini, trama e veste sonora. Il compositore americano è riuscito ad acutizzare ogni aspetto che la pellicola, già ad alto tasso di emotività, poteva rendere esperienza totalizzante, scandendo come un metronomo i momenti che definiscono una delle migliori storie del cinema moderno. Ha rappresentato un prezioso lavoro artistico in grado di uscire dall'ordinarietà che la musica, in molti film della nostra epoca, sembra soffrire (probabilmente solo quelli con soundtrack a cura di John Williams, negli ultimi decenni, hanno avuto una combinazione altrettanto ben assortita—basti pensare alle theme di Jurassic Park e Harry Potter). Ha creato una dimensione a sé stante.

Non è semplice, per un compositore, mettere a fuoco così deliberatamente i punti fondamentali di una narrazione e far parlare i suoni. Per di più senza estremizzare, senza adattarsi a temi e sensazioni in maniera grossolana, ma captando alla perfezione le istantanee dei dialoghi e del ritmo del racconto. Entrarvi in contatto tanto bene da migliorarne gli stessi caratteri ha permesso a questa colonna sonora di lasciare un segno destinato a durare. Ed è il motivo per cui ci verrà subito in mente, anche solo leggendo da qualche parte il titolo del film, anche solo analizzandolo per motivi diversi. E se per caso state leggendo questo articolo senza averlo mai visto, è solo un altro ottimo motivo per provare a convincervi. 

Giovanni scrive di musica per AuralCrave. Seguilo su Instagram: @almondsonvenus.

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