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I motivi per cui amiamo odiare Massimo D'Alema

Nella sua lunghissima carriera politica, nulla è riuscito meglio a Massimo D'Alema che farsi odiare. Eppure intorno a lui si è sviluppata una specie di culto. Tra snobismo, livore e meme, abbiamo provato a elencare i motivi di questa venerazione.

La sfida di — la Repubblica (@repubblicait)15 giugno 2016

Quando questa mattina mi sono svegliata #dalema era trending topic su Twitter e quindi mi sono trovata di fronte due scelte: la prima, comprare delle sbarre di tungsteno per assicurare al meglio l'ingresso del mio rifugio antiatomico; la seconda, informarmi.

Così ho scoperto quello che abbiamo scoperto tutti, cioè che D'Alema avrebbe assicurato a un membro della redazione di Repubblica la sua volontà di votare Virginia Raggi (candidata del MoVimento 5 Stelle sostenuta anche dalle destre romane) al ballottaggio pur di scacciare Renzi.

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Immagine via

Facebook - Er Dalemiano coatto.

Ora: era chiaramente impossibile per diversi motivi, non solo perché fortunatamente la realtà è un po' più complessa dei sogni bagnati dei retroscenisti di Repubblica, ma soprattutto perché nella storia dei secoli Massimo D'Alema non ha mai espresso endorsement secchi così, senza neanche un minuscolo insulto passivo-aggressivo che svolazza nell'aere. Infatti nel raggio di circa 0,3 secondi spazio-tempo è arrivata la smentita in cui D'Alema precisava che la ricostruzione fornita era "frutto di fantasia del cronista," per la gioia e il disgustoso autocompiacimento suo e dei suoi fan (io) ogni volta che si presenta l'occasione di insultare qualcuno.

Contestualmente si viene anche a sapere che la versione originale di questa frase mai pronunciata in quei termini era "voterei anche Lucifero," dettaglio che fa suonare il tutto molto più credibile e dalemiano.

Rimane comunque un episodio abbastanza significativo dopo le sue ultime dichiarazioni di fine maggio in cui si è detto "pronto a un ritorno" sulla scena politica e che in molti hanno interpretato come la punta di un iceberg piuttosto imponente, quello del "tutti contro Renzi" interno al suo partito, e che si appoggia fra le altre cose a un consistente calo nei sondaggi del Premier nell'ultimo anno—dal 41 percento delle europee di un anno fa al 26 percento delle comunali più veloce di un tic all'occhio.

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Tutto questo accade dopo anni di dorato ostracismo di D'Alema, passati a rispondere "sono appena sceso dall'aereo non so niente" dopo ogni singola tornata elettorale, con l'aria di chi sia suo malgrado esposto alla presenza di qualcuno che non crede nell'uso del deodorante.

Fatto sta che Massimo D'Alema nella sua millenaria carriera politica non ha mai generato delle correnti: ha generato dei culti. I Dalemiani sono l'anello di congiunzione fra Game of Thrones e la nostra realtà parlamentare, strani esseri mutaforma il cui oscuro linguaggio veterocomunista è l'oggetto di studio preferito degli analisti di Repubblica.it, avvezzi a intravedere la nota Ombra di D'Alema dietro ogni pertugio o rimpastone.

L'uomo in sé non è mai stato un estroverso o un amico della gente, anzi è chiaro che non sa più come ribadire che detesta il genere umano—in particolare gli italiani, in particolare quelli di sinistra—ma lo stesso si è guadagnato negli anni un seguito amoroso, impermeabile alle continue delusioni che lui gli infligge. Legioni di innamorati del baffetto stizzoso, delle scelte politicamente indifendibili e dell'ammissione alla Normale che al culto della personalità berlusconiano ridono in faccia. Per loro, ma in realtà anche per tutti gli altri, la possibilità concreta che ci sia un altro scrollone interno al PD teso a esautorare Renzi apre uno scenario cupo, complesso e pieno di vicoli bui. Ovvero, l'habitat naturale di Massimo D'Alema.

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È in queste circostanze, quindi, che sarà bene ricordare tutti i motivi per cui comunque vadano le cose il culto di Massimo non può spegnersi mai.

IL LIVORE

Molte persone odiano, ma poche con la tenacia di D'Alema. Ovviamente una delle aree di riferimento è la nuova classe dirigenziale del PD. Qui di seguito un breve florilegio delle mie dichiarazioni preferite negli ultimi anni:

- "Sono stato sprezzante, ma non cattivo";

- "Anche oggi abbiamo fatto la solita pulcinellata";

- "Il PD sta abbandonando molti valori, ma non il metodo dello stalinismo. Oggi i trozkisti da fucilare se il piano quinquennale falliva si chiamano gufi";

- "Ho letto oggi un bell'articolo, sa? Diceva [riferito a Renzi]: bisogna salvarlo da se stesso, parla troppo";

- "L'elettorato? Ma che ne so facciamo il congresso apposta. Vedremo."

Se esistesse un campionato europeo del trasmettere senso di superiorità sbuffando e guardando altrove, D'Alema sarebbe il vincitore di quel campionato. È proprio la situazione che lo annoia, non le domande delle interviste in sé. Il problema siamo noi.

LO SNOBISMO

Nel caso non bastassero tutta la sua persona e il suo tono di voce a ricordarci quanto D'Alema si senta migliore di noi, c'è anche la sua vita privata, cioè uno spin-off vivente de Il Capitale Umano fatto di vela, vino autoprodotto, tennis, capitalismo illuminato e ulivi secolari che è come tutti noi immaginiamo essere il Paradiso o anche solo il Successo. Peraltro ho sempre avuto una grande curiosità a questo riguardo: perché mai le persone che arrivano sopra una certa soglia di fama/ricchezza sentono questo impellente bisogno di cominciare a produrre del vino? Ma magari sono l'unica a cui non è chiaro.

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IL PASSATO DA TRUE COMPAGNO

Ci sono poche cose più interessanti delle foto di Silvio con la pistola sulla scrivania; fra queste, ci sono le foto di D'Alema da segretario della FGCI o da giovane dirigente di Partito. Leggenda vuole inoltre che sia entrato piccolissimo in sezione e che Palmiro Togliatti, sentendolo una volta parlare, disse: "Ma quello non è un bambino, è un nano!"

Sì, lo so. Commovente. Specie per uno che poi ha sempre rappresentato l'anima governativa del partito, l'entusiasta della realpolitik poco incline alle ciance veltroniane. Ricordiamo affettuosamente però, che c'è comunque stato un tempo in cui l'odio era attenuato dalla gioventù e dal peso di tutti quei capelli sopra il cranio.

LA NOTORIETÀ INTERNAZIONALE

Immagine via Imgur.

Al di là dei suoi incarichi pochi sanno che Massimo D'Alema è uno dei maggiori personaggi d'esportazione insieme a Papa Francesco, Laura Pausini e il Duce. Infatti per motivi ignoti una sua foto particolarmente rappresentativa è diventata famosa nell'internet rendendolo un meme noto come do not want guy. Non mi credi? Google è tuo amico.

L'ATTITUDINE

Non credo ci sia bisogno di sottolineare quanto questo essere umano sia contemporaneamente arrogante e un vincitore assoluto nei secoli dei secoli.

INFINE, IL FATTO CHE NON CI AMA

Perché questo è abbastanza innegabile. Gli interventi militari in Serbia, le responsabilità personali nella fine del progetto politico dell'Ulivo: D'Alema non ci ama quanto noi amiamo lui. D'altronde questa cosa non è esattamente una novità, né è cambiata negli anni. Anche adesso che medita un "ritorno" sulla scena politica lo fa totalmente a prescindere dall'elettorato, inquadrando la risalita nell'ambito delle manovre di partito dei pesi e dei contrappesi, dei gufi dei franchi tiratori eccetera eccetera.

Questo perché non ha imparato niente dalla lezione berlusconiana prima e renziana poi, poiché l'arroganza crea un ulteriore strato di corteccia cerebrale in Massimo D'Alema che impedisce l'assorbimento delle norme basilari per relazionarsi con persone che non siano russi morti nei primi anni Venti o Rosy Bindi.

È per questo che onestamente, per ora, un'ipotetica alba dei morti viventi del PD non mi sembra un'ipotesi molto concreta. Ma occhio perché, dobbiamo esserne consapevoli, le vie dell'ombra di D'Alema sono infinite e misteriose.

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