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Música

I problemi del documentario su Amy Winehouse

Nel suo documentario sulla cantante di Camden Asif Kapadia raccoglie un sacco di bel materiale inedito, ma non fa che ripetere l'errore dei media che ha spinto Amy Winehouse alla depressione: speculare sulla sua debolezza e la sua fama.

Tutti gli screenshot sono tratti dal film

Il quinto film di Asif Kapadia, sulla vita di Amy Winehouse, ha due facce. Amy, in cui vengono narrate la fulminea ascesa e la morte prematura della cantante di Camden, mostra ancora una volta come Winehouse poteva farti venire i brividi con la sua voce e contemporaneamente farti preoccupare come un genitore che aspetta a casa la figlia ribelle. Ma per farlo, il film ripete alcuni degli schemi che hanno portato la cantante—morta 27enne quattro anni fa per abuso di alcol—sulla china discendente: primo su tutti, quello dell'occhio indiscreto della telecamera.

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Per Kapadia il documentario è un ritorno a un territorio già esplorato nel 2010 con Senna. Anche quel film trattava di una vita finita troppo presto prendendo in esame la carriera di Ayrton Senna in Formula Uno, dal debutto nel 1984 all'incidente fatale durante il Gran Premio di San Marino nel 1994.

Come Senna, anche Amy è un montaggio di materiali d'archivio, foto e registrazioni finora inedite. Anche se ci sono testimonianze audio dei suoi collaboratori, amici e familiari, nel film non ci sono molte interviste "in posa". Questo significa che tutta la pellicola si svolge in quello che sembra un eterno presente infestato dal fantasma della sua morte, che si avverte per il fatto che gli intervistati si riferiscono a lei usando il tempo passato. E questo la rende ancora più angosciosa.

All'inizio del film, la piacevolezza, l'umiltà e l'energia contagiosa di Amy ti colpiscono dritto al cuore. La vediamo adolescente che imita Marilyn Monroe e canta "Happy Birthday". Poco dopo canta "Moon River", dimostrando di essere vocalmente matura oltre che uno spasso. Nick Gatfiel di Island Records, ricordando la prima volta che l'ha sentita cantare prima di siglare il contratto, dice, "È entrata ed era una vera forza della natura… Aveva un'anima matura in un corpo giovanissimo. Abbiamo chiuso il contratto subito." La scena migliore è quando imita comicamente l'accento spagnolo in una clip di un filmino amatoriale girato durante una vacanza a Maiorca.

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La natura per niente pretenziosa della cantante viene fuori se consideriamo la sua allergia, spesso ben visibile, ai cliché che i media cercavano di attaccarle addosso. In un video d'archivio, quando un giornalista cerca di trovare un parallelismo tra la sua vita e quella di Dido, Amy risponde con ironia. Kapadia mostra come la musicista sia sempre stata consapevole dei pericoli della fama: "Non penso di essere in grado di gestirla," risponde a un giornalista, "penso che potrei impazzire."

In seguito, quando l'attenzione dei media si fa opprimente, Winehouse ripete che "Più mi conoscono più capiscono che l'unica cosa che mi riesce è fare musica…Lasciatemi stare." Queste dichiarazioni sono rese ancora più tragiche dal fatto che Kapadia le monta sulle immagini catturate dai paparazzi che allora già la braccavano per i club di Camden. Le immagini della cantante inseguita fino alla macchina tra continui flash sono molto difficili da guardare, consapevoli di quello che succederà poi.

"Gli artisti jazz non sono fatti per cantare davanti a 50.000 persone," dice Tony Bennett, con cui Winehouse ha vinto un Grammy postumo per il duetto su "Body and Soul" del 2012. È guardando il video di lei che registra il pezzo con Bennett, uno dei suoi idoli, che ci accorgiamo di quanto profonda fosse la sua umiltà: non voleva fare altro che musica, e vederla così sinceramente nervosa accanto al collega fa sciogliere il cuore.

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È un circolo vizioso: repulsiva alla fama, Winehouse si è chiusa negli eccessi della vita da rockstar, che la isolerà ancora di più dall'aiuto di cui aveva così disperatamente bisogno. Chi la sosteneva? Come fa notare il consulente per gli abusi di sostanze Chip Somers nel film, quando entra in gioco la combinazione droga-soldi, la questione si fa complessa. Questo potrebbe spiegare in parte il comportamento rapace tenuto da molte persone vicine a Amy nei suoi ultimi anni—ma non del tutto, perché non c'è un vero motivo per cui i soldi e la fama in sé dovrebbero essere così pericolosi.

A metà del film la cantante sembra pronta a ricominciare dopo innumerevoli degenze in rehab per la sua dipendenza da droga e alcol. Gli amici e i famigliari pensano che la causa scatenante fosse stata la morte di sua nonna nel 2006, anche se Kapadia allarga lo sguardo e inserisce del materiale e delle testimonianze della depressione della cantante ("Non penso che sapessi cos'era davvero la depressione—pensavo fosse una cosa da musicisti") e dell'ansia strisciante che l'ha resa prona a relazioni instabili e comportamenti autodistruttivi.

Presentando le testimonianze e il materiale senza alcun esplicito intervento registico, Kapadia ammanta questa pellicola di un velo di oggettività. Ma alcune delle scelte del regista rivelano una tendenza speculativa invece che una sinceramente investigativa. Anche se non è facile assemblare una gran quantità di materiale audiovisivo in un montaggio che fila liscio, il film a volte si limita a una presentazione cronologica degli eventi invece di offrire una spiegazione esaustiva, e questa è una delle pecche più gravi.

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È quando entra in gioco Blake Fielder-Civil—marito di Winehouse tra il 2007 e il 2009 (e che ha sempre ammesso di essere stato il responsabile di aver introdotto Amy all'uso di eroina)—che la pellicola si fa disturbante. C'è qualcosa di invadente e autoriferito nel modo in cui Kapadia rallenta ripetutamente la velocità delle clip d'archivio e le accompagna con musica inquietante per sottolineare l'oscurità della figura e del ruolo di Fielder-Civil. È premonitore, certo, ma è anche scontato—e nell'imporgli retrospettivamente un significato, trasforma il girato in una specie di anticipazione di morte certa.

Anche le testimonianze di Juliette Ashby, una delle migliori amiche di Winehouse, sono particolarmente dolorose per il pubblico, non solo perché più volte sembra sull'orlo delle lacrime, ma perché Kapadia alla fine lascia un po' cadere nel vuoto le sue preoccupazioni per il trattamento riservato a Winehouse da suo padre, Mitch Winehouse.

Anche se Kapadia dedica una parte del film alle vacanze a Santa Lucia del 2010 di Amy, interrotte dall'irruzione di suo padre con una crew per girare il reality di cui era protagonista, il modus operandi del regista non gli permette di indagare oltre il ruolo di Mitch Winehouse. E anche se ci rendiamo conto del complesso mix di senso di colpa e angoscia nel tremito della voce di Ashby, Mitch compare solo come parassita egoista al peggio e come tassista giunto inaspettatamente alla fama al meglio, che cerca di venire a patti con gli stessi media che stanno alle costole di sua figlia.

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Se avesse dedicato più tempo a Mitch Winehouse—per non parlare del manager di sua figlia Raye Cosbert, che deve di certo avere qualche responsabilità per aver permesso che la cantante salisse sul palco a Belgrado, dove è stata subissata dai fischi poche settimane prima di morire—Kapadia sarebbe stato più giusto. Lo stesso vale per Fielder-Civil, la cui presenza in selezionati video ce lo fa dipingere in una luce negativa, senza darci molte spiegazioni.

Intenzionalmente o meno, Amy partecipa della principale colpa dei media: di aver fatto narrativa della vita della cantante, di averne fatto sensazione, speculazione, infamia. Riducendo la vita dell'artista a una serie di clip che spiegano la sua morte il film la trasforma esattamente in quello che non voleva essere: una rockstar qualunque. Le immagini di Frankie Boyle e Jay Leno a casa di lei durante il momento più basso della sua traiettoria, intanto, ci ricordano come molti abbiano fatto un business della sua debolezza—in un certo senso, è quello che fa anche il film—allo stesso modo in cui dopo (con lacrime di coccodrillo) hanno venduto la sua morte come una scioccante tragedia.

Il pregio di Amy, comunque, è di dipingere la carriera della cantante in due digeribili orette. In quanto dedicato a un talento originale e ribelle, ha i suoi lati interessanti. E nonostante tutte le pecche, l'immagine di Winehouse resta: bella e affascinante, tossica e insondabile, intangibile e brillante.

Amy uscirà nei cinema italiani a settembre.

@m_pattison