Cultura

Abbiamo chiesto a professori 30enni com'è insegnare oggi nella scuola pubblica

Supplenze, ritardi nei pagamenti, bullismo e test invalsi: come se la cavano i professori millennial?
Niccolò Carradori
Florence, IT
professori giovani
Claudia. Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati. 

Per la mia generazione—quella dei nati tra il 1981 e il 1996—la prospettiva di entrare nel mondo dell'insegnamento non è mai stata particolarmente rosea. Fin dai tempi delle superiori ci siamo sentiti dire che insegnare nella scuola pubblica è una specie di supplizio autoinferto: stipendi non all'altezza di un compito così importante, graduatorie e supplenze infinite, strutture che spesso versano in pessime condizioni.

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Ci sono poi tutte le polemiche sul livello dei nostri studenti: secondo alcuni dati Ocse, anche se sovrastimati, gli alunni italiani hanno meno facoltà di comprendere un testo scritto rispetto alla media dei paesi membri.

Per capire come sia messo il mondo della scuola pubblica, e com'è insegnare quando sei un millennial, abbiamo chiesto a cinque professori under 34 di raccontarci le loro esperienze. Fra pezzi di Marracash, flame a Don Abbondio, precariato.

CLAUDIA
30 anni. Insegna italiano, storia, e geografia in un istituto di formazione professionale di Meda, Lombardia.

VICE: Come sei arrivata all’insegnamento? Era un tuo obiettivo fin dal liceo?
Claudia: No, è una cosa che mi sono ritrovata a fare col tempo. Alla specialistica di Lettere ho scelto editoria, e una volta laureata mi sono resa conto che lavorare stabilmente sarebbe stato quasi impossibile. Quindi l'insegnamento è stata una conseguenza. Ma ne sono felice.

Come è stato l’impatto con gli alunni?
Dipende molto dalla classe in cui insegni. Diciamo che in questo momento per me è una sfida quotidiana: i miei studenti spesso non hanno voglia di stare seduti, di ascoltare, di fare quello che gli chiedi. È difficile catturare la loro attenzione. Poi hanno gli stage, e magari non li vedi per due mesi: a quel punto quando tornano non si ricordano niente, e devi ripartire quasi da capo.

Come gestisci la disciplina se la situazione si fa caotica?
Cerco di utilizzare l’ironia se si comincia ad esagerare, di smontare la situazione. Diciamo che essendo più vicina a loro, per età, riesco ad avere più dialogo. Non credo molto nelle soluzioni punitive: non metto quasi mai note.

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Ecco: questa vicinanza anagrafica ti spinge a organizzare lezioni particolari?
Certo. Il nostro libro di testo è pieno di fiabe, e probabilmente mi manderebbero al diavolo se gli facessi leggere Pollicino. Guardiamo determinati film o serie su Netflix, tipo Black Mirror, che possono servire per un determinato argomento. Oppure gli faccio sentire delle canzoni trap e rap, e da lì spiego altre cose. Recentemente, ad esempio, ho usato " L'albatro" di Marracash per spiegare il testo poetico e l'uso delle similitudini.

In un'altra classe abbiamo lavorato sui Promessi Sposi, e ho chiesto di scrivere una lettera a uno dei personaggi, immedesimandosi come in un gioco di ruolo. Un ragazzo ha scritto una lettera da hater a Don Abbondio: "Sei uno schifoso, senza neanche gli attributi. Dovresti dimetterti dal tuo lavoro.”

Invece per quanto riguarda il rapporto con i genitori?
Ce ne sono di diversi tipi, ma il problema in generale è che quelli che vengono più spesso sono anche quelli dei ragazzi che vanno meglio. Ci sono famiglie totalmente assenti.

In generale quali problemi hai notato nella scuola italiana di oggi?
A livello generale non lo so, sono esperienze diversissime quelle che ho fatto. Forse c’è poca comunicazione fra le varie parti, ci sono poche forme di confronto su quello che stiamo facendo. Infatti sono curiosa di sapere cosa diranno gli altri miei colleghi dell’intervista.

DANIELE
29 anni. Insegna disegno tecnico ed esercitazioni meccaniche in un istituto tecnico professionale di Ancona, Marche.

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VICE: Ciao Daniele, andiamo direttamente al punto: essere un giovane insegnante ti penalizza con gli studenti?
Daniele: In un certo senso sì, perché spesso l'insegnante deve ricoprire anche il ruolo dell'educatore, e farsi rispettare è più complicato.

Come gestisci la questione?
Con il tempo ho notato che spesso basta essere sinceri, aperti, e offrire delle alternative ai ragazzi. Per farli lavorare e studiare, ad esempio, uso il metodo del "dare e avere." Se gli studenti mi portano i risultati che chiedo, nell’impegno e nello studio, io poi li porto a fare visite o stage in aziende che a loro interessano.

Ti è mai capitato una situazione di mancanza di rispetto grave? In quei casi come ti comporti?
Devi gestire la cosa con freddezza: la prima volta mi è capitato con un bulletto di 15 anni. Mi prendeva in giro pesantemente davanti a tutti, impediva agli altri di fare lezione. Ho provato a contattare la famiglia, senza risultati. Allora ho parlato con gli altri ragazzi della classe—che spesso maltrattava—e ho fatto in modo che non gli dessero può attenzione. Essendo rimasto da solo a far casino, alla fine ha smesso anche lui. Al termine dell'anno non è più tornato a scuola. È un po' cinico, ma anche questo fa parte del lavoro: non puoi rovinare un'intera classe per un solo studente.

Cosa pensi delle notizie sullo stato e il livello degli studenti italiani?
Devo essere sincero: a me è capitato spesso di trovarmi in classi in cui molti studenti sapevano leggere e scrivere, ma poi non erano in grado di utilizzare le informazioni che studiavano. Vedi spesso ragazzi che imparano le cose a memoria, poi gli fai una domanda leggermente più complessa e vanno nel pallone. Può essere frustrante, a volte.

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Ti è mai capitato di avere problemi con i genitori?
Una piccola parte si rifiuta di vedere le mancanze del figlio, si affida a figure terze, come psicologi, per oltrepassarti. Anche lì è complesso.

GIULIO
27 anni. Insegna italiano e storia in un istituto alberghiero di Lodi, Lombardia.

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VICE: Hai sempre voluto fare l’insegnante? E com’è stato quando ci sei arrivato?
Sì, fin dal liceo. Una volta entrato nel mondo dell'insegnamento scopri però che regole cambiano continuamente, e in questo momento tutti i concorsi sono fermi. Non sai mai quando potrebbero chiamarti, e quando lo fanno hai pochi giorni per prepararti. Io adesso sto facendo supplenza a un'insegnante in maternità: mi hanno dato due giorni per iniziare.

E le condizioni economiche?
Con gli incarichi di durata inferiore all'annuale la situazione è complessa: io insegno da settembre e lo stipendio non l’ho ancora ricevuto. Il pagamento per i contratti brevi da parte dello Stato è estremamente lento, e difficile da prevedere. Non è assolutamente un caso raro che i neo-professori precari, che lavorano con contratti brevi, non vengano pagati per mesi. Gli stipendi medi di un professore invece, entrando di ruolo, sono poco sotto i 1500 euro. Al massimo grado di anzianità possono toccare i 1700/1800.

E per quanto riguarda la mole di lavoro? Si sente sempre dire che gli insegnanti sono una classe privilegiata perché lavorano solo la mattina, e hanno tante vacanze.
È uno stereotipo. Quando inizi a insegnare vedi tutto il lavoro sommerso: oltre alle lezioni da preparare, e ai compiti da correggere, oggi gli insegnanti hanno a che fare con delle programmazioni da consegnare, da modificare continuamente, e tutto deve essere documentato. Oggi sei continuamente in contatto con le famiglie, perché c’è il registro elettronico, che è visibile in ogni momento.

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Visto che sei così giovane, come gestisci il rapporto con i tuoi studenti?
Da una parte cerco di sfruttare la vicinanza anagrafica per avere più comunicazione con loro, e dall'altra ho bisogno di mantenere le distanze. È complicato. Paradossalmente la maggior parte degli atteggiamenti che uso in classe sono fittizi. Cerco di capire i miei studenti, e poi di stimolarli in base a quello che gli serve.

Per adesso ho cercato di evitare l’eccessiva esigenza, ma su certe cose sono categorico: per me i contenuti sono importanti, quindi rifiuto di far recuperare un brutto voto in un argomento con un bel voto su un altro. Però capisco anche che a volte non si è potuto studiare—ti lascia la ragazza, avevi la partita, non ne avevi voglia—quindi offro sempre la possibilità di recuperare un argomento.

Qualche risposta assurda alle interrogazioni?
Una volta, durante un’interrogazione sulla rivoluzione americana, uno studente ha fatto scena muta. Allora gli ho chiesto di parlarmi di qualcosa a piacere, e lui ha proposto la Rivoluzione Francese, che neanche avevamo fatto. Aveva studiato l’argomento sbagliato.

Quali problemi vedi nella scuola pubblica oggi?
Ne vedo tantissimi: dal completo disastro di alcune strutture—noi abbiamo avuto la palestra allagata più volte—al reclutamento degli insegnanti. In una delle mie classi, io sono il quarto professore di italiano in quattro anni.

ALICE
28 anni. Insegna storia dell'arte in un liceo scientifico di Roma, Lazio.

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VICE: Come sei arrivata all’insegnamento?
Alice: Non era l’obiettivo principale del mio percorso, perché ho studiato architettura. Però durante gli anni dell’università ho pensato che insegnare potesse fare per me. Quindi mi sono abilitata, e dopo la prima supplenza mi sono totalmente innamorata di questo lavoro. Certo la verità, come supplente, è che quando arrivi a settembre e non sai cosa farai è un po’ destabilizzante. Le probabilità di rimanere molti mesi senza lavorare è alta.

Che tipo di approccio utilizzi, sei una professoressa esigente?
Mi sono scoperta piuttosto severa. Nella scuola ho capito che devi mostrarti sicura, e devi sapere sempre prima cosa andrai a fare in classe. Poi ovviamente creo sempre degli spazi distensivi, in cui ridere insieme.

Tenti di inserire qualche novità nelle tue lezioni, rispetto al programma classico?Assolutamente sì. Cerco di fare dei compiti con qualcosa di attuale, per stimolarli, e anche per impedire loro di copiare, spiazzandoli. In un recente compito, ad esempio, uno degli esercizi prevedeva di descrivere una determinata opera utilizzando gli hashtag.

Cosa si prova a bocciare uno studente?
Per adesso a me non è mai capitato, e mi rendo conto che può sembrare una rarità. Ma le cose in questo senso mi sembrano un po' cambiate da quando andavamo a scuola noi, adesso si boccia meno. Perché la scuola oggi è come una specie di azienda: se ci si fa la nomea di scuola troppo severa, magari si rischia che calino le iscrizioni.

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Hai notato altre differenze?
L’aspetto tecnologico: sta cambiando la scuola. E in generale il livello di confidenza che gli studenti si prendono con i professori. Mi capita spesso di pensare che ai miei tempi certe libertà non ce le saremmo mai prese.

ZAIRA
33 anni. Insegna inglese in un liceo linguistico e in un liceo classico di Catania, Sicilia.

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VICE: Fra le decine di giovani professori che ho contattato per questa intervista, sei l’unica che insegna al sud Italia. Quanto è difficile riuscire a trovare lavoro come insegnante nelle regioni del sud?
Zaira: È abbastanza difficile, perché c’è un percorso lungo e impegnativo da fare. Io sono passata tramite le scuole private, senza avere ancora l’abilitazione, per riuscire a mettere insieme il punteggio. Poi è una questione di graduatorie e di fortuna.

Secondo te come sono cambiati gli studenti di oggi rispetto a quando andavi a scuola?
A me sembra che abbiano davvero una capacità di attenzione più labile. Sono cresciuti con lo smartphone, e quindi hanno difficoltà a concentrarsi su qualcosa che non è stimolante quanto lo sono i contenuti che vedono là sopra. Le lezioni frontali a cui eravamo abituati noi, per loro sono più faticose.

Quindi ti sembra che il livello medio degli studenti sia sceso?
Credo che il livello medio si sia abbassato, sì. Però ho notato anche un’altra cosa: gli studenti molto bravi sono più preparati rispetto a quanto lo erano quelli bravi ai miei tempi. Perché oltre ad essere motivati, hanno anche degli strumenti che gli permettono di integrare gli argomenti fatti a scuola. Io ad esempio insegno inglese, e ho degli alunni che, grazie ai film in lingua originale guardati su Netflix o ad altre soluzioni, padroneggiano la lingua come noi non facevamo.

Non ti spaventa un po’ pensare di continuare questo lavoro?
Ci vuole molta concentrazione. La gente non valuta l’impatto umano: oltre alla didattica, alla burocrazia, hai a che fare con la vita degli studenti. Vedi continuamente ragazzi e famiglie che soffrono, e sei direttamente coinvolta in quei problemi.

Come valuti i cambiamenti della scuola, tipo il test invalsi?
Potrebbero essere cose utili, se ci fosse il tempo per seguirle bene. Io in tre ore settimanali, tolte quelle della lettrice madrelingue, devo concentrarmi sull’insegnamento della letteratura, sugli esercizi di grammatica e scrittura, e poi anche sulle prove invalsi. Ti basta uno sciopero in più, un’assemblea, e hai già perso ore fondamentali per portare a termine tutto. Manca l’organizzazione, secondo me.

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