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Musica

Dentro la musica degli assurdi porno italiani di Joe D'Amato

Vi aspettereste che un porno violento girato a caso in Italia negli anni '70, con la colonna sonora di un cantante mezzo fallito, possa essere un capolavoro nascosto? E invece.
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È inutile parlare di evoluzione dei costumi nel 2019. Un nudo artistico postato su Facebook può significare un ban, fosse anche la Maya Desnuda di Goya: la mannaia della censura algoritmica cade comunque senza pietà. Su YouTube i video con contenuti considerati rischiosi vengono cancellati, il primo sentore di violenza scatena processi alle intenzioni. La cosa fa riflettere, considerato che si leggono e vedono ogni giorno incitazioni all’odio e al razzismo scritte, dette e pubblicate senza conseguenze. Insomma, nonostante oggigiorno si possa accedere liberamente a qualsiasi fonte di perversione oscena e dire le peggio stronzate sui social pare che il concetto di pornografia e di oltraggio al pudore si sia assottigliato.

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Quando si tratta di libertà personali la gente sembra quindi aver cominciato ad abbassare il capo e ad accettare regole morali imposte dall’alto, sia questo “alto” una tech company e le sue regole o la politica e i suoi linguaggi. Sembra un paradosso, ma prima di questa follia del visuale alcuni maestri del cinema artigianale degli anni Settanta avevano già incarnato e superato tutto questo. Se ne erano fregati della morale di turno, avevano mischiato i piani e ragionato per quello che sono il fare, il dire e l’agire, che in tutti i sensi fanno l’economia delle cose. Il loro ragionamento era il seguente: “Più sei estremo, più difficile sarà che verrai messo a tacere, dato che non hai nulla da perdere”. Uno di questi personaggi è stato il grande Joe D’Amato, scomparso 20 anni fa, il 23 gennaio del 1999.

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Joe D’Amato può essere facilmente lordato e affossato, dato che è facile considerare la sua opera come parte di una nicchia di genere, come una bizzarria durata una vita. Ma è innegabile che D’Amato fosse il cinema. Il suo curriculum è notevole: fa il fotografo di scena per Mario Soldati, l’operatore per Mario Bava e Jean-Luc Godard. E poi si butta a fare film Western, ispirato dalle mode vigenti e pronto a ribaltarle come fosse un campionatore (era convintissimo di non essere un vero autore, nonostante molti lo forzassero in quel ruolo). Infine dà nuova vita al concetto di crossover filmico, e osa l’inosabile.

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Nella sua carriera il nostro ha fatto di tutto, e con due lire, e alla velocità della luce. È quasi il nostro Roger Corman, il quale gli produsse di persona La rivolta delle Gladiatrici, quasi a siglare un passaggio di testimone. Nulla sfuggiva alla sua onnivora macchina da presa: commedie boccaccesche, Western comici, film di guerra, peplum, fantasy e fantascientifici come la saga di Ator o Endgames, horror, gore (ricordiamo il mitico e indigesto Antropophagus, in cui il mostro cannibale di turno arriva persino a divorare le sue stesse interiora). Ma soprattutto fu il primo in Italia, dopo una serie di film erotici, a prodursi in un film porno (Sesso nero, 1978) e approdare poi all’hardcore vero e proprio, con l’atteggiamento di chi abbatte i preconcetti per preparare il terreno a un futuro inesplorato. Un po’ come faceva Leonardo quando dissezionava i cadaveri senza permesso per capire di cosa fosse costituito davvero l’essere umano.

Il fatto che la stampa alla sua morte abbia ricordato D’Amato come “Il re del porno” non solo è riduttivo, ma offensivo. D’Amato era uno che poteva fare qualsiasi cosa: la sua unica legge era campare di cinema, e per farlo bisognava dirigere nel miglior modo possibile. Nel suo vocabolario, questo significava dare alla gente quello che voleva. Ovvero, non quello che era già reperibile e funzionava quanto quello che nessuno aveva il coraggio di imprimere su pellicola, senza pregiudizi. E i pregiudizi sono completamente assenti in quella che è l’opera in cui c’è prepotente la summa del delirio del maestro, in cui l’acceleratore dell’assurdo governa ogni cosa: Porno Holocaust, anno 1981.

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Porno Holocaust ha un plot in apparenza fantascientifico. Racconta le vicende di un gruppo di scienziati che si ritrova su un’isola colpita dalle radiazioni per studiare il modo in cui queste hanno causa mutazioni nella fauna locale. Quello che non sanno è che queste hanno anche mutato un indigeno che, con una faccia praticamente squagliata alla bell’è meglio e ormai ridotto a entità mostruosa, uccide le sue vittime a forza di fellatio e atti sessuali violenti, dotato di un pene gigante a causa di questi terribili raggi x.

Si tratta quindi di una specie di rape and revenge del buon selvaggio violato dalle manacce del potere occidentale, il quale in un film in cui i pompini sono il cuore dell’azione riesce comunque a rimanere l’ultimo dei romantici: celebre la scena in cui il mostro offre, novello Frankenstein, dei fiori alla sua vittima.

Come potete intuire il film è completamente fuori di testa, nonostante sia in qualche modo il gemello de Le notti erotiche dei morti viventi, uscito l’anno prima, sempre del Maestro. Solo che lì il porno era secondario rispetto all’horror; qui invece la pornografia è in primo piano, ma sostenuta da tutto il resto. Azione, delirio, comicità volontaria o meno, azioni gratuite e inspiegabili si incrociano in un formato cinematografico tanto pop quanto fieramente e brutalmente lo-fi, e il primo Peter Jackson sicuramente ringrazia.

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La copertina della nuova ristampa della colonna sonora di Porno Holocaust, cliccaci sopra per ascoltarla su Spotify.

Ovviamente non c’è film di D’Amato senza un’adeguata colonna sonora. Nel caso specifico di Porno Holocaust, troviamo quella di Nico Fidenco, un artista che con D’Amato ha un rapporto quasi simbiotico. Leggiamo infatti nel numero di Filmcritica dell’agosto/settembre 1982 un’intervista a Joe D’Amato a cura di Enrico Ghezzi e S.G. Germani in cui si parla chiaramente della musica nei suoi lungometraggi:

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Le musiche negli hard pare che siano più o meno sempre le stesse.
D’Amato: Sì, infatti sono più o meno sempre le stesse. Sono quasi sempre state fatte da Nico Fidenco, con qualcosa di repertorio.

Quindi le musiche dei suoi porno sono generalmente di Nico Fidenco: firmate da lui?
Talvolta con lo pseudonimo Donimac.

A proposito di pseudonimi, va detto che D’Amato non era da meno. Ne aveva una lista infinita, di cui il più famoso era Aristide Massaccesi. Inizialmente usati per girare film senza rischiare di bruciarsi la carriera, più tardi divennero uno stratagemma per sfuggire ai capi di imputazione della censura. Addirittura in alcuni film comparivano co-registi non accreditati: in Porno Holocaust fu il caso di Bruno Mattei, altro amante degli alter ego. Insomma, quella di D’Amato era un’identità frammentata per abbattere ogni barriera. E Fidenco a ruota, dato che all’anagrafe era registrato con un più rassicurante Domenico Colarossi. Anche se, lo vedremo, sono altri i metodi che il nostro usava per arrivare dove sembrava impossibile senza farsi pizzicare.

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Nico Fidenco.

Personaggio schivo e timido, Fidenco è stato negli anni Sessanta uno dei primi a essere incoronato come re del pop italiano con il celeberrimo brano estivo del 1961 “Legata ad un granello di sabbia”, che rimase nella top ten per ben 14 settimane, all’epoca un record assoluto. Nonostante lo scemare della popolarità, Fidenco non si ritirò dalle scene e decise anzi di sperimentare in altri campi. Sue le sigle di cartoni animati cult degli anni Settanta e Ottanta come Jenny la tennista, I Cyborg e Ben. In queste Fidenco usò soluzioni inedite, arditi arrangiamenti, sintetizzatori impazziti, e lanciò messaggi subliminali impensabili in prodotti per ragazzi: il “Destra sinistra / Sinistra destra / Si svita il collo, si stacca la testa” in Jenny la tennista o il brutale testo di Ben, lunga carrellata di violenze splatter e sevizie varie.

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Prima di darsi ai cartoni animati Fidenco realizzò però diverse colonne sonore per film Mondo, per un maestro dell’horror come Lucio Fulci, per Zombie Holocaust di Marino Girolami e proprio per D’Amato, nello specifico per la serie erotico/esotica Emmanuelle. Fidenco seppe quindi sopperire alla scarsezza dei mezzi tecnici a sua disposizione con la velocità di esecuzione e la soluzione dei problemi dettata dall’immaginazione. Il suo era un lavoro “per la pagnotta”, ma indirizzato verso il superamento dei limiti, nell’utilizzo della cultura di massa come laboratorio di incredibile modernità – proprio come quella del suo sodale D’Amato.

In Porno Holocaust Fidenco firmò la sua OST più assurda e ci sfogò dentro tutto il suo delirio avanguardista. Non era nuovo a pellicole di stampo porno dato che lavorò anche a Sesso nero e, come già accennato, tantomeno a quelle horror; ma in questo caso raggiunse l’apice di una ricerca basata sulle esclusioni e inclusioni dei generi musicali, sul rimescolamento delle carte sonore e su un’ironia interna atta all’implosione del tutto. Quest’ultima, tra l’altro, cifra anche della regia di D’Amato. Separare il film dalla colonna sonora è molto difficile: entrambi hanno evidentissimi limiti, eppure la magia di entrambi sta proprio nel fatto che gli elementi si scatenano liberi, su binari paralleli ma evidentemente legatissimi, come in tutte le migliori relazioni in cui non si marcisce in ruoli ammuffiti. Entrambi, in soldoni, considerano il loro lavoro come un gioco.

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"Il mostro" di Porno Holocaust (foto via Wikipedia).

Porno Holocaust in effetti è proprio questo: un gioco tra le cui regole c’è la dozzinalità. E la colonna sonora gioca anche lei a metterci di fronte di tutto. In ogni brano c’è come un tassello della carriera del regista, un riassunto delle puntate precedenti riveduto, aggiornato, migliorato e addirittura superato. C’è il funky sporco da commedia sexy. C’è il disastro sperimentale elettronico dell’horror, che però si tuffa in meandri che portano il nome di Vangelis e Drexciya. Ci sono versioni acide delle smoogate de Il guardiano del faro per allucinazioni erotico-romantiche. In "Seq 1", che è quella d’apertura, il nostro Fidenco vocalizza beffardo su un tempo disco clavinet “da scapoli” e ammiccanti flauti assortiti, che non troppo metaforicamente introducono l’argomento di celluloide con una modalità grottesca tanto che a un certo punto, addirittura, si cita stravolgendolo un passo di “Parlami d’amore Mariù”, il celebre brano cantato da Vittorio De Sica.

Spopolano i sintetizzatori malvagi e gommosi, legati da rumori ossessivi creati con tastiere e beat a cassa dritta. A volte tutti questi elementi si sovrappongono e creano una sorta di ambient cosmica con le voci di Fidenco passate per un leslie vibrante, musica sacra per scene di sesso lesbico affascinante nel suo controsenso. Quando si spinge al massimo col rumore elettronico, e con sequenze di rhythm box accelerate, sembra che Fidenco abbia visto improvvisamente nella sfera di cristallo il noise dei primi anni Duemila fare capolino nei suoi macchinari. Vengono in mente nomi come Amnesia Scanner, Luke Vibert, il “sexy sound” dei primi Chrisma, Pharmakon.

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A queste svisate si affiancano anche temi “romantici”, tra new wave, disco lounge, vocalizzi melodici e impazziti, lente e rotolanti stoccate di Arp che sfasano il tutto, assoli di chitarra evidentemente improvvisati e lasciati lì senza correggere nulla, un po’ come faceva D’Amato, che del girato buttava poco o niente. L’entropia è aumentata da richiami interni (“Love Theme”, ballata adatta all’ugola di Debbie Harry dei Blondie, ricompare in una versione stravolta nella “Seq 14”) e dall’uso di gemiti femminili spazializzati che alla lunga fanno uscire di capoccia; altro che erotismo.

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I titoli di testa di Porno Holocaust (foto via Wikipedia).

D’Amato ripeteva che “il porno è la distruzione dell’erotismo”: che sia questa la chiave di lettura per Porno Holocaust? Una pellicola che ancora oggi si prende gioco delle regole e annienta dall’interno la bugia dell’immagine erotica. E che la colonna sonora di Fidenco non sia anch’essa un atto di distruzione? La musica da film oggi è pensata per brani che durino un minuto e mezzo, la colonna sonora è solo un ricamarci intorno, un ammiccare con temi banali, senza osare nulla che non possa essere digeribile da orecchie appannate da troppe melodie piacione.

Il potere ha imparato la lezione e oggi si comporta come se avesse studiato il situazionismo parola per parola per usarlo al negativo: vedi la strategia comunicativa dell’attuale governo, tutto e il contrario di tutto quando meno te lo aspetti. Si commercia con il sangue delle avanguardie e si fa credere a tutti che la gente voglia appiattirsi su cose già masticate, e così si confondono le idee. In realtà la gente vorrebbe tutt’altro: ad esempio essere stupita, ma se nessuno lo fa è impossibile pretendere da essa una reazione. D’Amato e Fidenco invece, nella loro ideale alleanza e senza prendersi sul serio, ci insegnano che dentro ognuno di noi c’è un indigeno post-atomico pronto a ribellarsi a questo stato di cose. Nonostante sia suo malgrado ridotto a pornografia umana, può ancora riuscire a regalarci dei fiori.

Grazie a Donatella Della Ratta, Lorenzo Esposito e Fabio Babini.

Demented tiene per Noisey la rubrica più bella del mondo: Italian Folgorati.

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