Le rockstar sono morte per sempre?
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Le rockstar sono morte per sempre?

È uscito un libro che analizza la figura di questi antieroi della musica, dall'ascesa negli anni Cinquanta alla loro definitiva fine nei Novanta.

Quando le rockstar erano al picco negli anni Settanta, Elvis Presley poteva presentarsi alla Casa Bianca, pretendere di incontrare Richard Nixon e fare il suo ingresso nella Sala Ovale indossando una camicia dal colletto mastodontico. Le rockstar erano semi-divinità che avevano un seguito di fedelissimi. Non sbagliavano mai – o, meglio, la facevano sempre franca anche quando sbagliavano.

Ma oggi gli unici musicisti interessati a parlare con il Presidente degli Stati Uniti sono Kid Rock e Mike Love. Non sono più visti come eroi o antieroi; non sono icone che portano un'iniezione di sfarzo e caos nella cultura di massa. È possibile che, dopo tutti gli eccessi dei decenni in cui il rock aveva l'egemonia sul mondo della musica, la rockstar sia definitivamente morta.

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Nel suo nuovo libro Uncommon People: The Rise and Fall of The Rock Stars, il critico rock inglese David Hepworth racconta il viaggio della rockstar come attore nella cultura pop. L'esperto giornalista, nonché ex-presentatore della leggendaria trasmissione musicale della BBC Old Grey Whistle Test, crede che il dominio della rockstar sulla cultura pop sia finito. Il suo libro copre artisti dal 1945 al 1995 e cerca di spiegare che cosa, secondo lui, ha accelerato la dipartita della rockstar.

“Alla gente piace pensare che il mondo si muova più velocemente oggi di quanto facesse una volta. Io non trovo che sia davvero così", dice Hepworth. “John Lennon ha conosciuto Paul McCartney nell'estate del 1957 e in soli dieci anni due quattordicenni di Liverpool sono diventati due star mondiali. Non penso che potrebbe succedere la stessa cosa così velocemente oggi, perché penso che il mondo sia molto diverso".

Da Little Richard e Chuck Berry ai Beatles e i Rolling Stones a Bob Marley e David Bowie ai Beastie Boys e i Guns N' Roses, Hepworth copre tutto lo spettro. Noisey ci ha parlato via Skype per discutere delle prime rockstar a venire catapultate nell'immaginario nazionale, che cosa il termine è arrivato a indicare negli anni Settanta e Ottanta e che cosa significa oggi, anni dopo l'hair metal e dopo che l'hip-hop ha interrotto il dominio del rock'n'roll.

Noisey: Perché pensi che la rockstar sia morta?
David Hepworth: Penso che le mode musicali abbiano una vita ben precisa. L'era jazz comincia alla fine della prima Guerra Mondiale e finisce più o meno a metà anni Cinquanta. La musica country inizia attorno ai tardi anni Venti e all'arrivo dei Sessanta è finita. Non significa che non ci siano persone che suonano in quello stile, ma ti fai una certa reputazione dopo. Le chitarre sono partite con Elvis Presley e si sono sviluppate attraverso i Beatles eccetera, ma si sono fermate negli anni Novanta. Una delle cose che mi colpisce è che l'ascesa dei social media ha reso impossibile diventare una rockstar nel senso classico del termine, come quelle che vedevo negli anni Settanta.

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Penso che se qualcuno oggi si comportasse come facevano nei primi Settanta David Bowie o Robert Plant o Jimmy Page avrebbe grandissime difficoltà. Viviamo in tempi molto sensibili e passerebbero gran parte del tempo a scusarsi pubblicamente per le stesse azioni per cui a quei tempi li idolatravamo. Il mondo è cambiato. La rock star ha avuto il suo tempo e ora l'hip-hop ha preso lo scettro. Siamo naturalmente ben addentro all'epoca hip-hop ormai, ma queste cose non durano per sempre. Una delle cose che mi fa impressione delle rockstar di oggi è che il termine è usato come una specie di metafora.

Si parla di politici rockstar o di chef rockstar o di calciatori rockstar eccetera. Appiccicano le caratteristiche che si usava riconoscere nelle rockstar ad altra gente, perché gli piace pensare di intravvedere certe qualità che erano associate alle rockstar – l'incoscienza, la carica sessuale e una certa selvaggia testardaggine – in altre persone. Quelle erano più o meno le virtù della rockstar. Penso che l'idea della rockstar sia iniziata negli anni Cinquanta, si sia ulteriormente affinata nei Sessanta, sia diventata più intelligente e complicata nei Settanta, super popolare negli Ottanta e poi sia più o meno collassata sotto l'incredibile mole di aspettative che doveva affrontare una rockstar a fine anni Ottanta e Novanta.

Chi sono state le prime rockstar a venire catapultate sulla scena mondiale?
I ragazzi degli anni Cinquanta '50s. Quando ho cominciato a scrivere il libro quattro di loro erano ancora vivi – Chuck Berry e Fats Domino non sono più tra noi, ma Little Richard e Jerry Lee Lewis sì. Ma la rockstar più influente di tutte – a questa conclusione sono giunto durante il processo di scrittura – è stata Buddy Holly. Buddy Holly non aveva il look della star. Buddy Holly aveva il look del ragazzo della porta accanto. Buddy Holly scriveva le proprie canzoni, ispirandosi alla propria vita.

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Gente come Paul McCartney e John Lennon, che a quei tempi avevano 13 o 14 anni, abitavano a Liverpool e assomigliavano a lui, così hanno pensato: possiamo farlo anche noi. Potremmo essere così anche noi. Potremmo scrivere delle canzoni e fare un gruppo con i nostri amici. Penso che Buddy Holly sia stato l'esempio per tutta la generazione che poi è arrivata al successo nei Sessanta. Gente come Mick Jagger e Bob Dylan è stata molto influenzata da Buddy Holly. Loro hanno sempre voluto essere come Buddy Holly, che a metà anni Cinquanta ha cambiato tutto.

In che cosa si è poi evoluto il termine rockstar negli anni Settanta e Ottanta?
La tradizione si può far risalire a Elvis Presley e Buddy Holly. Era una cosa molto sincera. Si trattava perlopiù di uomini che suonavano la chitarra, cantavano e scrivevano le proprie canzoni. Che esprimevano i loro sentimenti. Avevano una certa aria di indipendenza con la quale ci identificavamo e non sembravano stare agli ordini di nessuno. Davano l'idea di esporsi, come dire, senza bussola e di agire spontaneamente. Questo rappresentava gran parte del loro fascino, mentre oggi trovo che sia molto diverso.

Penso che tutta questa tecnologia e interconnessione renda molto più difficile comportarsi in quel modo. L'idea della rockstar – il termine non è stato di larga diffusione fino agli anni Settanta, quando esisteva già da vent'anni. Se guardi Elvis Presley, era una specie di crooner hillbilly, e nessuno si riferiva nemmeno ai Beatles come rockstar negli anni Sessanta. Erano un gruppo pop. Ha cominciato a diffondersi, credo, a metà anni Settanta per definire persone come Bruce Springsteen. Springsteen è un caso interessante a modo suo perché è partito con l'idea di diventare una rockstar. Si sentiva che il pubblico si aspettava che diventasse una rockstar. Ma quell'epoca non poteva durare per sempre. Io ho vissuto quel periodo, quindi mi sono sentito in grado di scrivere di questa ascesa e caduta e penso che la caduta sia importante quanto l'ascesa.

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Di tutte le rockstar nel libro, qual è quella definitiva, il cattivo ragazzo che ha rappresentato in maniera assoluta il mantra "vivi veloce, muori giovane" da sempre associato alle rockstar?
Penso che molte di queste persone siano sopravvissute molto più a lungo di quanto si sarebbe pensato. Keith Richards danza sul bordo dell'abisso da più o meno il 1971, ma è ancora al mondo. Questi sono spesso dotati di un gene di autoconservazione molto forte. Sono molto forti. Come ho detto prima è incredibile che Jerry Lee Lewis e Little Richard siano ancora tra noi, perché se il mondo funzionasse in modo logico non ci sarebbero. Ma sono persone molto, molto forti che sanno tenere duro. La più grande rockstar che abbia mai visto probabilmente non è uno a cui si pensa normalmente come una rockstar: Bob Marley. Ho visto Bob Marley and the Wailers a Londra nel 1975 ed è stato il concerto rock più bello che abbia visto in tutta la mia vita. Era l'individuo più carismatico che avessi mai visto. Purtroppo non è vissuto abbastanza a lungo per sfruttare appieno le proprie potenzialità, ma a causa di un cancro più che della vita veloce.

Perché credi che le rockstar siano "persone fuori dal comune?"
Discendono dalle persone comuni, dalle persone normali. È quella la caratteristica della rockstar, che era il tuo vicino di casa. Erano camionisti o i tuoi compagni di scuola eccetera. Non sono usciti da una scuola speciale o da una scuola di teatro, niente di tutto questo. Quello che hanno fatto è stato rendere se stessi inusuali. Si sono resi notevoli da soli. Se segui la loro storia erano specie di star già prima di salire sul palco. Quando Elvis Presley girava per Memphis a 15 anni, aveva un look strambo. La gente lo guardava e diceva "quel ragazzo è strano". E questo è ciò che lo ha reso una star quando ha cominciato a fare musica. Quello che voglio dire è che loro sono la versione inusuale di noi.

Pensi che negli anni Ottanta, con gruppi come Van Halen e Guns N' Roses, la stravaganza e le pagliacciate esagerate abbiano ucciso la rockstar?
Penso che a un certo punto sia diventato ridicolo. Penso che i Guns N' Roses abbiano interpretato la parte della rockstar o rock band dell'età del video. Assomigliavano alla versione stereotipata di un gruppo rock ed è ciò che serviva nell'era di MTV, quando la cosa più importante è come ci si presenta. La mia sensazione è che abbiano poi sfociato nella parodia di se stessi. Penso anche che musicalmente ci fossero molte cose nuove che prima di allora non si potevano fare. È per questo che la musica ha dato più attenzione all'hip-hop, perché era un suono nuovo, una nuova tecnologia, una nuova estetica, e questo si è dimostrato più soddisfacente per più persone. Penso sia molto difficile entrare in uno studio e fare un disco in stile Led Zeppelin che non sia già stato fatto nel 1972. Penso sia molto difficile.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey USA.

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