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Musica

Capodanno al City Pop

Non siete riusciti a organizzare l'ultimo dell'anno in qualche luogo esotico? Grazie a questa playlist la vostra festa sarà teletrasportata nella Tokyo degli anni Ottanta.

Quando ero piccolo, mio nonno, che era fabbro, soleva dare fuoco letteralmente all’anno precedente: tirava su quattro lunghe aste di ferro ricoperte di stracci a formare i numeri e le consegnava alle fiamme purificatrici, sotto i nostri occhi incantati di bambini. Voglio fare simbolicamente la stessa cosa con voi, fornendovi una colonna sonora incendiaria per la notte di Capodanno. E c'è solo uno stile di musica che coniughi tutta la gioia e l'ottimismo dell'inizio dell'anno nuovo con la forza da party nichilista della fine di quello vecchio: il city pop giapponese.

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Recentemente, infatti, è uscita una bella e giusta raccolta intitolata Tokyo Nights (che era anche il titolo di un brano dei Bee Gees dell’89) contenente 12 brani che ripercorrono la storia di questo genere che negli anni Settanta/Ottanta era lo specchio di un Giappone in pieno sviluppo. In pratica si tratta del suono dell’economia che galoppa, della vita notturna in città con i suoi neon e i suoi suoni sempre più digitali, di uno stile di vita nuovo e scintillante, proiettato verso il futuro, verso scenari di benessere, di vacanze perenni, di pranzi quotidiani al ristorante senza badare a spese — e della mutazione dei valori che ne consegue. La cosa interessante è che la musica è un frullato di fusion, AOR, synth pop, R&B e new wave, chiaramente suonata con il classico piglio giapponese, che porta ogni stile all'estremo fino a superarlo e migliorarlo.

La raccolta prende in esame principalmente la “female zone” di questo genere, divisa per tracce/episodi: io vorrei proporvi invece una playlist mista di dieci album da sparare a capodanno, per ballare sballare e sperare in un futuro al neon come se voi foste il Giappone — anzi, come se voi foste Godzilla e l’anno nuovo il Giappone. Perché solo dieci? Beh, ovvio: perché il countdown non parte da dodici, non me ne vogliano Eli Cohen e Deano Sounds che hanno curato Tokyo Nights. E allora, andiamo a incominciare.

Tatsuro Yamashita - For You (1983)

Ex Sugar Babe, meglio conosciuto in patria come l’autore di una degli standard di natale più famosi del Giappone ("Christmas Eve"), ha fatto parte di “uno dei sei supergruppi che hanno cambiato la musica in Giappone” recita Wikipedia a proposito della sua collaborazione con Eiichi Ohtaki e Ginji, ovvero i Niagara Triangle. Immaginate una sorta di disco soul funk illuminata da un ottimismo spaziale e da un leggero erotismo piacione e allo stesso tempo romantico, in cui non c’è nulla fuori posto, con largo uso di fiati il più delle volte sintetici. Insomma, roba forte, tanto che diventerà il produttore di Mariya Takeuchi, con la quale si sposerà un anno prima di questo disco.

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Mariya Takeuchi - Miss M (1980)

L’abbiamo citata ed eccola qua: un missilone city funk fatto per farvi entrare a gamba tesa nell’anno nuovo. La nostra eroina fino al 2009 aveva venduto 16 milioni di dischi, tanto per farvi capire di che pasta è fatta: autrice per se stessa e per altri musicisti nipponici, ha spesso coinvolto produttori e sessionman nordamericani come David Foster o Jeff Porcaro, per citarne solo qualcuno, dando ai suoi pezzi la spinta delle hit che contano. Female power insomma, non si scappa, altro che i Daft Punk che hanno da sempre saccheggiato impunemente questa roba.

Takako Mamiya – Love Trip (1982)

È proprio un trip d’amore questo disco, roba da stappare champagne a rotta di collo con la vostra bella o il vostro bello in una jacuzzi, per un capodanno intimissimo (va bene anche la doccia in piedi male che vada). Qua è tutta roba meravigliosamente al neon, un cool jazz funkettone, dai suoni levigati e tondi e grande assortimento di piani elettrici e sintetizzatori garbati ma pungenti e deliziosi cortocircuiti culturali ("Chinese Restaurant" è un capolavoro in questo senso). Si sa molto poco di questo disco e soprattutto della sua autrice, che pare abbia registrato solo questa perla per poi svanire nel nulla come una meteora. Per alcuni rappresenta una pioniera del genere Shibuya–kei, ovverosia il pop anni Novanta giapponese che ha fra i maggiori esponenti Pizzicato Five, Cornelius, Cibo Matto e compagnia cantante, quindi non si scherza.

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Taeko Ohnuki – Sunshower (1977)

A mio parere un fottuto capolavoro già dalla copertina. Antesignano del genere, è un disco del quale mi comprerei minimo sette copie per paura di consumarlo. Tutto perfetto, tutto che gira, pop ma con dei cambi fusion funk da capogiro, orchestrazioni da brivido e una voce quasi idol ante litteram, che conduce il gioco con carattere ed evoluzioni canore ardite rimanendo però delicata e accessibile. Nella scuderia abbiamo nomi eloquenti: Harumi Hosono e Ryuichi Sakamoto, tra gli altri. Sparatevelo prima del countdown e vi farà esplodere i petardi in mano.

Masayoshi Takanaka – An Insatiable High (1977)

Disco allucinante per il suo ottimismo quasi anfetaminico, si dipana in scalate fusion/funk sparate a mille a volte in globi di tastiere psichedeliche (come da titolo che direi quasi didascalico più che subliminale). Meglio noto per essere il chitarrista della seminale Sadistic Mika Band, potremmo accusare Masayoshi Takanaka di essere un jazzettaro, in realtà tutto quello che esce da questo disco è la summa del city pop applicato alla fusion (e non il contrario, è importante). Per cui ecco, se ti vuoi lanciare verso l’anno nuovo con le aspettative di goduria a mille questo disco ti accompagnerà tra i fumi dell’alcol e dello zampone.

Himiko Kikuchi – Flashing (1981)

Una tastierista micidiale che ci dedica degli strumentali pop/fusion che non si sa bene se sono materiale per ascensori, grandi alberghi illuminati o per habitué dei sexy shop. Insomma una roba che più urbana non si può, a volte erede delle svisate di Deodato ma con quella patina artificiale e profondi phaseroni che tanto ci piacciono. Perdonatemi se indugio sul pop jazz perché si sa, a capodanno è tutto polvere di stelle e sta roba ci sta come le lenticchie sul cotechino.

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Junko Yagami – Communication (1984)

Una mina vagante di campionamenti, synth incazzatissimi e roba di plasticaccia, con una voce femminile che ci trasporta in un mondo di bellezza e di felicità. Fra i nomi di punta del cosiddetto “new music movement” giapponese, per molti è considerata la migliore cantante giapponese di sempre. Come negarlo? Mena una cifra (tra l’altro nel disco ci sono anche parecchi campanelli natalizi, se proprio vogliamo darle un valore aggiunto in base al contesto).

Junko Oashi – Magical Album (1983)

Alcuni estratti di questo disco sono presenti nella compilation Tokyo Nights, io però vorrei concentrarmi su tutto l’album che è, appunto, magico. Nato da una permanenza di Oashi a New York, rappresenta uno dei suoi dischi più rari. Morbide e serpeggianti bassline e sintetizzatori freschi come una doccia di spumante, a metà fra un viaggio in crociera e una spa nello spazio.

Mai Yamane – Tasogare (1980)

L’album di debutto della nostra eroina esce a soli sei mesi dalla sua vittoria ad un contest per giovani voci in Giappone. In Occidente la conosciamo principalmente per il suo lavoro nella colonna sonora di Cowboy Bebop, ma fa parte anche di una band chiamata New Archaic Smile, che sprizza ottimismo da tutte le parti. Suadente musica fatta di perline deliziose di synth e chitarre vagamente rock ad opera di…

Makoto Matsushita – First Light (1981)

Eh sì. A colpi di slap bass e di un disco funk senza pietà ma sobrissimo, visionario e composto come un'aerodinamica sedia di design nipponico, il nostro chitarrista, già nei succitati Niagara Triangle, compone un disco meraviglioso, arioso, scoppiettante come le stelline di capodanno o le fontane di luce. Insomma, ci sta a pennello per accompagnare i botti di Capodanno, per finire in bellezza dove non c’è dolore o paranoia che tenga.

Quindi mi raccomando, amici: stappate una boccia anche per me, non lesinate nei bagordi, e fate che questo 2018 sia una specie di boom economico e spirituale, anche se non avete una lira e siete dei diavolacci (e d’altronde lo scintillante sogno nipponico non era forse così?). L’importante, come dice Mina, è finire (in bellezza, ovviamente). Buon Capodanno a tutti!

Demented è su Twitter: @DementedThement.

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