Un bellissimo documentario su una famiglia di musicisti di strada ciechi

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Un bellissimo documentario su una famiglia di musicisti di strada ciechi

'Ressurecting Hassan' racconta la vicenda quasi irreale di una famiglia di ciechi che si guadagna da vivere cantando per strada ed è convinta che il loro unico figlio nato con la vista, annegato durante una gita, possa risorgere.
Elia Alovisi
traduzione di Elia Alovisi
IT

Carlo Guillermo Proto è un ragazzo che siede in silenzio a una stazione della metro di Montreal, in Canada. È più di un'ora che è come ipnotizzato: i treni che dovrebbe prendere gli passano davanti, uno dopo l'altro, ma lui non riesce a muoversi. È ammaliato da alcuni classici della Motown, cantati a cappella da tre busker che gli cambieranno la vita per sempre: la famiglia Hartling. Sullo sfondo, le carrozze tuonano e sferragliano. Il padre, Denis, canta come per esprimere un dolore inaudito. Lauviah, la figlia, dondola aspettando il suo turno. Peggy, la madre, resta in piedi accanto a loro tenendo in mano uno spago collegato a un contenitore di plastica. È per tenere traccia degli spiccioli che la gente ci lascia dentro—tutti e tre i membri della famiglia Hartling sono completamente ciechi. Sono passati più di dieci anni da quell'incontro, ma l'importanza che quella famiglia di busker ha avuto nella mente di Carlo non è mai diminuita—anche perché ha passato gli ultimi cinque a filmarli per il suo nuovo documentario, Resurrecting Hassan. Gli Harting ora sono in tre, ma un tempo erano in quattro. Loro figlio Hassan era un miracolo, un bambino con la vista nato da due genitori ciechi. La sua vita sarebbe durata solo sei anni: durante una gita con il suo asilo, Hassan è annegato in mare. Il film comincia quindici anni dopo, quando suo padre fa sogna un messaggio da parte di suo figlio scomparso. A partire da lì, Carlos segue gli Harting mentre tentano di far risorgere loro figlio affidandosi a un guaritore spirituale kazako e al matematico russo Grigory Grabavoy—un uomo che sostiene di avere il potere di annullare la morte, far risorgere i morti, curare il cancro e l'AIDS e teletrasportarsi, tra le vari cose. Insomma, stiamo parlando di un documentario sulle solite cose che succedono quando la realtà e la fantasia si incontrano in un racconto incredibile.

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Dopo aver visto il film al London Film Festival, mi rendo conto che il significato di Resurrecting Hassan può variare in base allo spettatore. Per alcuni può essere un film che parla di un lutto. Per altri, può raccontare il fallimento di una relazione instabile. Personalmente, non mi sono mai sentito più solo in un cinema. Non mi sono sentito a posto con me stesso per giorni. Nonostante avessi visto un film su tre busker, era come se avessi avuto un'esperienza religiosa. "Ti mette di fronte cose con cui non vorresti avere a che fare", dice Carlo mentre parliamo su Skype del film. "A volte, però, devi forzarti ad ascoltare o guardare qualcosa, non per fanatismo o curiosità—ma perché ti trovi di fronte qualcosa che ha bisogno di uno sforzo per essere digerito. È anche per questo che ho fatto il film. Così come tu ti sei sentito solo in sala, io mi sono sentito solo viaggiando insieme a loro per girarlo."

Indipendentemente dalla mia esperienza, l'interpretazione più comune di Resurrecting Hassan si concentra sul modo in cui fotografa la tensione tra pesantezza e vitalità nel fare musica in un modo finora inedito. Considerando il panorama di film musicali attuale—pensiamo a musical come La La Land o alla catena di montaggio di film biografici che sta saturando il mercato—potremmo definire Resurrecting Hassan un'esplorazione unica nel suo genere, capace di coprire non solo la musica in sé ma anche le reazioni che causa in noi. Questo, in gran parte, grazie ai sui protagonisti. Essendo ciechi, i componenti della famiglia Harting accedono letteralmente al mondo grazie al suono. E dato che Denis si rifiuta di accettare aiuti statali, e che né lui né sua moglie possono lavorare, cantare per strada è la loro unica fonte di profitto—una delle poche possibili, nonostante ne abbiano un estremo bisogno.

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"È stata la musica a scegliere loro, non il contrario. Gli permette di esistere, di essere indipendenti", spiega Carlo. Quando la famiglia Harting canta, lo fa come se fosse la cosa più importante del mondo—e per loro lo è, dato che senza quegli spiccioli potrebbero dover passare la notte affamati. Il film è un costante susseguirsi di situazioni di vulnerabilità, molte delle quali funzionano come catalizzatori per momenti di purezza e onestà, portando a crescendo e litigi brutali che portano avanti la storia della famiglia e dando forma alla loro vita. In una scena, per esempio, Denis fa fatica a cantare e la sua voce si spezza quando prova a raggiungere note più alte. È una situazione incredibilmente tesa, e a un cero punto Peggy decide di interrompere prematuramente la versione di "Blue Velvet" di Denis. Essendo il busking l'unico modo che hanno per guadagnare qualcosa, il litigio che ne scaturisce è estanuante: li porta a parlare di soldi, della morte di loro figlio, e del senso della loro relazione.

“La cosa migliore che puoi fare per qualcuno che ha qualsiasi tipo di disabilità è trattarlo come una persona. Non come un reietto."

Gli Harting non sono i soli le cui emozioni vengono colpite da questi momenti di cruda bellzza, e non tutti reagiscono alle loro esibizioni in modo positivo come è successo a Carlo e a me. Durante una chiamata, Denis mi racconta che alla sua gamiglia è capitato di sentirsi urlare contro frasi come "Vai a trovare una pistola e sparati", o "Faresti meglio a tornare a fare il tuo lavoro". Doversi confrontare con ubriaconi, drogati e persone mentalmente instabili ha reso terrificante, a volte, la vita degli Harting. Allo stesso modo, secondo Carlo, molti spettatori si trovano incapaci ad affrontare la realtà della situazione: sono felici di vedere gli eventi susseguirsi sullo schermo, ma quando si trovano di fronte la famiglia Harting nella vita reale gli scatta dentro un goffo senso d'ansia.

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Quando Resurrecting Hassan è stato inserito nella selezione dell'Amsterdam International Documentary Film Festival, gli Harting hanno deciso di esibirsi fuori dal cinema per tirare su qualche soldo—una scena che, a quanto mi dice Carlo, ha messo a disagio alcuni spettatori. "Persino i liberali, i convertiti e i giurati che amano i documentari e li sostengono preferiscono che ci sia il grande schermo a separarli dai soggetti che si trovano a guardare. Gli va bene ascoltare racconti di rifugiati siriani, ma non vorrebbero mai trovarsi di fronte un soldato con il disturbo post-traumatico da stress uscendo dal cinema", spiega. "Il fatto che gli Harting si siano esibiti ad Amsterdam si è rivelato essere parte di una performance involontaria. La gente è uscita dal cinema e se li è trovati davanti in strada".

"Ho visto le reazioni. Ci sono state persone che hanno provato orrore. Credo di aver toccato molte persone con questo film, ma c'è anche chi ha provato unicamente disgusto", continua Carlo, udibilmente frustrato. "Gli Harting continuano a mettersi in condizioni sfavorite perché si considerano sfavoriti, e quindi ribelli. E credo che l'idea di vivere in pubblico, di essere costantemente sottoposti agli sguardi della gente, sia una sorta di 'vaffanculo' a tutti quelli che li vedono. È un'impresa per loro, dopo tutto quello che hanno passato".

Se vi sembra che Carlo resti sulla difensiva, avete ragione. Durante il botta e risposta con il pubblico dopo la proiezione di Londra, quando uno spettatore gli ha chiesto se fare il film è stata una buona idea per la famiglia, se non fosse stato più sano per loro essere soli, si è messo a piangere. È una considerazione che posso capire, data la vulnerabilità, il fervore del dolore e le situazioni preoccupanti a cui la famiglia viene portata di fronte ai nostri occhi. C'è una tensione quasi voyeuristica nell'essere intrattenuti in un modo simile, restando a debita distanza. Detto questo, Carlo ha affrontato la suggestione direttamente, e ha detto che qualsiasi altra cosa a parte un film come questo li avrebbe disumanizzati. "La cosa migliore che puoi fare per qualcuno che ha qualsiasi tipo di disabilità è trattarlo come una persona. Arrabbiati come ti arrabbieresti con chiunque altro, e trattalo come una cazzo di persona. Non come un reietto."

Carlo sa che la famiglia Hartling odia dimostrazioni di pietà, dato che sono dodici anni che li conosce. Il livello di intimità che si è creato tra di loro gli ha permesso di filmare momenti profondamente privati, come le risate tra Denis e sua figlia Lauvia mentre giocano al loro personale quiz sulle celebrità: "Scopane una, sposane un'altra, buttane un'altra ancora nel fiume". Si è trovato in mezzo a litigi brutali, ed è persino finito alle mani con Peggy quando lei gli ha chiesto di ricominciare a girare il documentario dopo quattro anni di riprese. Ha sfidato Denis ad affrontare i suoi problemi, dicendogli di cercare un aiuto serio per gestire la sua aggressività invece di rivolgersi a un guaritore spirituale, e poi si è trovato ad abbracciarlo e consolarlo dopo averlo fatto piangere. Più cose Carlo mi rivela, più diventa chiaro quanto sia stato quasi preso in grazia dalla famiglia e dalla loro quotidianità fatta di scontri alla tutto-o-niente. La sua è una produzione cinematografica il cui obiettivo è "un'empatia estrema". "Credo che sia l'unico modo perché un'opera possa causare dei veri cambiamenti. Sono un vecchio anarchico; un tempo andavo a protestare, ma poi sono arrivato a un punto della mia vita in cui ho deciso di abbassare la testa e cominciare a creare qualcosa che potesse ispirare la gente e cambiare le cose dall'interno".

Vivendo questo esperimento, in uno stato di estrema empatia, qual è la cosa più importante che ha imparato dagli Harting? "La tenacia; la perseveranza. Ogni volta che mi sento di dover affrontare qualcosa, penso a come loro riuscirebbero a farla senza problemi. Sono un'ispirazione". Carlo si prende una pausa. "Se hai pensato che il film fosse intenso, sappi che avrei potuto renderlo insopportabile. Il fatto che loro esistano, che non siano alcolisti, che non si siano suicidati e che non siano dipendenti da nessuna sostanza è un cazzo di prodigio di per sé. È questo uno dei motivi per cui ho voluto girare questo film: la loro capacità di sopravvivenza, la loro tenacia. Non li potrò mai ripagare per quello che mi hanno dato. Ed è per questo che ho provato a fotografarli nel modo più onesto possibile."

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