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Musica

Loscil suona l'uomo che cambia il mondo

In pieno antropocene, servono album che raccontino l'influenza umana sul pianeta Terra—ed è quello che fa in forma ambient Loscil, che suonerà presto a Milano.
Fotografia di Mark Mushet.

Loscil è uno di quegli artisti che ha passato la sua intera carriera ad oscillare tra due estremità musicali: da un lato la techno più liscia e minimale, dall'altro le carezze dell'ambient. Non un percorso inedito, dato che termini come "contemplazione", "ripetizione" e "groove" sono spesso concettualmente e praticamente legati. Particolare è però il modo in cui Loscil è arrivato a rendersi conto del suo valore. Scott Morgan nasce come batterista, cresciuto nella scena indie rock canadese nei Destroyer di Dan Bejar, suo compagno all'università. Ma è sempre nelle aule del campus di Vancouver in cui passa i suoi vent'anni che scopre la teoria musicale e la composizione, e comincia quindi a pensare al ritmo—e a sé stesso—come a un protagonista invece che a un semplice attore sonoro.

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Il suo primo album Triple Point esce nel 2001 per Kranky, ai tempi già casa di maestri del minimalismo chitarristico come Labradford e Stars of the Lid. Sarebbe stato l'inizio di una collaborazione che continua fino a oggi, con il suo ultimo LP Monument Builders a segnarne il provvisorio punto di conclusione. La distanza che separa quei due album non sembra massiccia come i quindici anni che li dividono: i suoni che compongono entrambi sono evanescenti come il vapore emesso da un blocco di ghiaccio che, toccato da qualcosa di incandescente, sta tornando a essere acqua. E lo stesso potrebbe essere detto per i numerosi album che li dividono, tutti nati da quelli che Morgan definisce raw sounds, cioè suoni puri, grezzi, crudi, trascinati in software che li rendono mattoni di costruzioni complesse. Monumenti, potremmo dire.

Al centro di Monument Builders, l'album che Loscil porterà dal vivo lunedì 30 ottobre nel contesto dell'Auditorium San Fedele di Milano assieme ad Anna Zaradny per il nuovo appuntamento della rassegna INNER_SPACES, c'è un film visionario del 1982. Si intitola Koyaanisqatsi e ha una colonna sonora a firma di Philip Glass. Non ha né trama né dialoghi: è una serie di video che ritraggono città e ambienti degli Stati Uniti, filtrati attraverso un suggestivo lavoro di editing autoriale. Mentre il celebre Samsara, trent'anni dopo, avrebbe raccontato il nostro mondo tramite la varietà umana che lo anima, Koyaanisqatsi si concentrava su ciò che gli umani hanno costruito, creando una sensazione di terrificante enormità. È da qua che comincio a parlare con Scott del suo ultimo lavoro.

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Noisey: Che cos'è stato, specificamente, a convincerti a usare Koyaanisqatsi come base tematica e sonora per lavorare a Monument Builders?
Loscil: Quando lo vidi per la prima volta, in un vecchio cinema qui a Vancouver, era già uscito da una decina d'anni. Non riesco a pensare, ancora oggi, a un film in cui la colonna sonora giochi un ruolo così importante a fini narratologici. Sono immagini potentissime, ma se ti restano dentro è proprio grazie ai suoni che le accompagnano. Rappresentano una realtà impietosa, anche distopica in un certo senso, ma con una certa positività alla sua base. Credo che quell'equilibrio sia davvero affascinante già di per sé, ma mi sono davvero convinto che avrei dovuto farci qualcosa quando ho rivisto il film in VHS. Guardarlo su un medium già in via di degrado invece che su uno schermo cinematografico è stato come fare un viaggio nel tempo—tornare indietro a venti, trent'anni fa e rendermi conto che eravamo già stati allertati su molto di quello che sarebbe successo nel mondo. A tutto questo si unisce il discorso musicale—il modo in cui la colonna sonora di Glass unisce elementi acustici e sintetici, il battito che sembra portarla avanti… Ci sono tanti elementi che mi hanno sempre accompagnato, e avevo voglia di cominciare a esplorarli anche nella mia musica.

Se il tuo obiettivo era quello di fare musica apocalittica che però suonasse anche piena di speranza, devo dire che l'hai centrato. Monument Builders non mi sembra un album pessimista.
Non mi definirei ottimista in alcun modo, direi che posso considerarmi un realista! Penso che sia sano accettare la propria indecisione, i propri conflitti individuali. Ci sono cose terribili e terrificanti, e abbiamo bisogno di modi per digerirle. Ma ci sono anche cose splendide, e a volte questi due insiemi si intersecano. È da un po' di tempo che vivo in questo spazio mentale per cui provo la necessità di confrontarmi con la realtà invece di deprimermi per quello che vedo. E così sembra davvero tutto più facile.

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Possiamo dire che "Anthropocene" sia la chiave dell'album, date le immagini che evoca?
Sì, è uno dei punti chiave. Ci sono alcune correnti che attraversano l'album a cui tengo molto, sia musicali che filosofiche. Quel pezzo nasce in parte grazie al lavoro di Edward Burtynsky, un ragazzo canadese che scatta fotografie aeree. Ora sta lavorando a un film che si intitola, appunto, Anthropocene e ha come nucleo tematico le problematiche legate ai paesaggi industriali, all'artificialità, all'idea di creazione e distruzione come parte dello stesso processo. Sono temi collegati direttamente a quello che dicevamo: per poter creare qualcosa di bello devi estrarre energie dalla natura, e sfortunatamente il capitalismo ci porta a farlo nel modo più economico—e quindi brutale—possibile.

Fotografia di Steve Molter.

Ci sono stati dei concerti a cui sei andato come spettatore che hanno influenzato particolarmente il tuo live show? Così da non farti la solita domanda su cosa possiamo aspettarci dal tuo show. Loscil: Fammi pensare… nel 2004 ho suonato a un festival insieme a Carsten Nicolai. Sono piuttosto sicuro che fosse una sorta di retrospettiva sul catalogo Raster-Noton, per cui non si esibiva a nome Alva Noto. Erano lui e Frank Bretschneider, e fecero questa esibizione audio-video minimale incredibilmente bella. All'epoca non avevo mai visto nulla di simile, e rimasi davvero impressionato. Fu quel concerto a farmi venire voglia di inserire un elemento visuale anche nei miei concerti, anche se all'epoca non avevo davvero i mezzi per poterlo fare. Con il tempo poi è diventato tutto molto più semplice e intuitivo, e mi è anche venuto più naturale lavorare con i video. Un'altra band che ho adorato dal vivo sono i Dawn of MIDI. Essendo un ex batterista, adoro i poliritmi, e in generale tutti i ritmi complessi. Già loro sono molto fighi su disco, ma quando li vedi interagire sul palco ti rendi davvero conto di quanto siano bravi a comporre.

A proposito di batteria: quando è che hai smesso di suonare con i Destroyer? Ci fu un evento specifico che ti portò a concentrarti su Loscil? L'ultimo a cui ho partecipato è stato Rubies, nel 2006. Se non suono più con loro è perché a Dan piace cambiare i musicisti con cui suona, e a un certo punto non sono riuscito a seguire la band per un tour a cui lui voleva partecipassi. La mia uscita è avvenuta in maniera organica, diciamo.

Vedere Koyaanisqatsi su VHS e trovarlo affascinante esattamente per il medium su cui lo stavi vedendo è un gesto che dice molto sul fascino del lo-fi—una passione che negli ultimi anni si sta palesando un po' ovunque, ed è andata anche a toccare l'hip-hop. Che cosa ne pensi?
È interessante, perché quando andavo all'università ho scritto un paper proprio su questo argomento. Erano gli anni Novanta ed eravamo in piena esplosione indie rock—andavano un sacco band come gli Smog, i Pavement, e c'era un forte interesse nel lo-fi. È almeno dagli anni Ottanta che esiste questo fascino per i vecchi media, per la bassa qualità. Credo che il motivo stia nelle enormi possibilità insite nella tecnologia. Ti bastano poche cose, relativamente economiche, per fare un album che suona davvero bene: un microfono, un portatile, un sampler. Quindi tornare a tecnologie del passato è sia un gesto di nostalgia che una reazione a questo alzarsi dell'asticella della qualità, la ricerca di un senso di anima. Non so se poi questo sia vero nella pratica, ma mi sembra che l'idea generale sia la ricerca dell'autenticità. Monument Builders è uno dei tuoi lavori più brevi, se non il più breve. Come ti rapporti al tempo, nella composizione?
Ti parlerei di un progetto totalmente opposto rispetto a quello che vuoi dire—qualche anno fa ho pubblicato da solo questa app chiamata Adrift, una collezione di composizioni che si rigenerano casualmente e proseguono finché l'ascoltatore ha voglia di restare ad ascoltarle. Quindi sono una sorta di musica infinita. Non è una cosa nuova: mi sono ispirato a Brian Eno, e anche i Sigur Rós hanno fatto qualcosa di simile. Credo sia un'idea affascinante, quella di creare musica non-lineare che muta lentamente in eterno. Per quanto riguarda Monument Builders, se dura relativamente poco è perché ho tenuto da conto le limitazioni del vinile scrivendolo. Essendo un artista indipendente, la mia fonte di guadagno principale sono i dischi che vendo—e non intendo i CD. Ho sempre pubblicato tutti i miei album in 2LP, mentre stavolta volevo provare a restare su uno solo. E devo dire che… è stato frustrante, e che ricomincerò a scrivere senza impormi alcun limite [ride]!

Per ulteriori informazioni sulla rassegna INNER_SPACES visita il sito del Centro Culturale San Fedele. Ascolta Monument Builders su Spotify. Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook. Leggi anche: