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La ridicola impresa dei fascio-scalatori italiani in Kenya

Dei militanti di Lealtà Azione hanno scalato il monte Kenya, 74 anni dopo l'avventura di Felice Benuzzi. Peccato che ogni anno lo facciano migliaia di persone normali, e che i tre non ci abbiano capito un granché della storia.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Tre membri dell'associazione "Lupi delle Vette", legato ai neofascisti di Lealtà Azione, in cima alla Punta Lenana del Monte Kenya. Foto via Facebook.

L’estrema destra italiana, da ormai parecchio tempo, usa associazioni e onlus per fare in maniera surrettizia propaganda. Lo fanno praticamente tutti i partiti e movimenti—da CasaPound a Forza Nuova, passando per realtà più locali come Lealtà Azione.

Quest’ultima, nel caso non fosse noto, è una specie di sezione italiana degli Hammerkins—un circuito di suprematisti bianchi e neonazisti nato negli Stati Uniti nel 1988. Dagli anni Duemila Lealtà Azione ha iniziato a radicarsi soprattutto in Lombardia, aprendo diverse sedi e intrattenendo rapporti con la politica istituzionale (come nel caso di Stefano Pavesi, eletto al municipio 8 di Milano con la Lega Nord, suscitando non poche polemiche anche nelle file del centrodestra).

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I militanti di LA sono anche gli stessi che, il 29 aprile del 2017, hanno sfilato—insieme ai neofascisti di tutta Italia—al campo X del cimitero maggiore di Milano per commemorare la Repubblica Sociale Italiana.

Al di là di questi episodi in cui hanno ottenuto visibilità sui media, i bonehead cercano poi di muoversi sul piano della “rispettabilità” sociale, attraverso associazioni direttamente legate a loro. Le sigle sono facilmente reperibili sul sito ufficiale, e riguardano svariati ambiti. Ne cito solo alcune: Bran.co si occupa di “solidarietà” (ma “solo per italiani”); I lupi danno la Zampa di animalismo; Wolf Of The Ring di combattimento sportivo; e Lupi delle Vette di escursionismo e alpinismo.

Proprio in questi giorni, i “Lupi” hanno fatto una serie di post su Facebook per annunciare la scalata del Monte Kenya (in Kenya, appunto) e l’arrivo a Punta Lenana, la terza vetta più alta dell'Africa (4985 metri). In fuga “da un Paese che quotidianamente rinnega i propri figli,” si legge nel post, “col sole che ancora non si era fatto del tutto largo all’orizzonte, abbiamo dunque issato il tricolore affinché tornasse fieramente a sventolare dall’alto della seconda [ sic] vetta d’Africa.”

Nello status i tre sostengono di aver ripercorso le orme di Felice Benuzzi, l’italiano che nel 1943—insieme a Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti—era evaso da un campo di prigionia inglese e aveva scalato la montagna. Lo stesso Benuzzi aveva poi raccontato la storia nel libro Fuga sul Kenya (1947, ristampato l’ultima volta in Italia nel 2012), tradotto e conosciuto in tutto il mondo con il titolo No Picnic on Mount Kenya .

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A suggello della spedizione dei “Lupi delle vette” è arrivato l’incontro con l’ambasciatore italiano in Kenya, Mauro Massoni, che ha ricevuto il gagliardetto dell’associazione e ha parlato con loro “per parlare di montagna e dell’impresa di Benuzzi ma anche per impararne di più sul Kenya e sulle dinamiche geopolitiche che lo interessano.” Nella foto qui sotto la persona di fianco a Massoni è Riccardo Colato che, riferisce Repubblica, è “già denunciato per discriminazione razziale e danneggiamento e arrestato nel 2007 per violazione del Daspo.”

Filtrata dalla loro propaganda, insomma, l’impresa sembra davvero inaudita e incredibile. L'associazione La Muvra (il gruppo escursionistico di CasaPound) ha incensato su Facebook "i nostri fratelli" che hanno "sventolato di nuovo il Tricolore." Anche alcuni quotidiani hanno rilanciato la notizia: Il Giornale ha celebrato il tutto senza mai menzionare l’appartenenza politica dei tre; Il Corriere della Sera (almeno in un primo momento, poi è arrivata la rettifica) ha parlato di “tricolore che torna a sventolare sul Monte Kenya” dopo 74 anni—come se fosse la prima volta che, dal lontano 1943, qualcuno raggiunge quella vetta.

Per chi conosce bene quella storia, tuttavia, le cose sono molto diverse. Anzitutto—come ha detto lo scrittore Wu Ming 1, autore con Roberto Santachiara di un libro dedicato alla vicenda di Benuzzi ( Point Lenana )—“alpinisticamente parlando è ben poca roba.” Ogni anno migliaia di persone salgono a Punta Lenana, italiani compresi, sulla scia di Benuzzi; ci sono inoltre guide alpine che praticamente campano grazie alla storia e al libro. Su YouTube ci sono inoltre decine e decine di video di scalatori che arrivano in cima, senza per questo finire sui quotidiani.

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A questo proposito, c’è un aspetto ancora più paradossale che riguarda la biografia di Benuzzi e il senso profondo di quell’impresa alpinistica. Pur non essendo un antifascista in senso stretto, l’italiano non era certamente un fascista. Nel 1938—l’anno di approvazione delle leggi razziali—aveva sposato un’ebrea tedesca; e dopo l’8 settembre non aveva aderito alla RSI, optando per la cooperazione con gli Alleati.

In Fuga sul Kenya, continua sempre Wu Ming 1 intervistato dal Corriere, c’è anche “una polemica nei confronti del culto dell’azione fascista, della retorica fascista sull’alpinismo. Dice che il culto dell’azione concentrata ha portato lui e quelli come lui nel campo di concentramento.”

Insomma: non si tratta proprio di una persona che un neofascista può intestarsi a cuor leggero—a patto di non stravolgere la storia, o di capirci poco o nulla. Siamo lontani anni luce, infatti, da alcune figure di riferimento di Lealtà Azione come il nazista belga Léon Degrelle o il fascista romeno Corneliu Zelea Codreanu.

A dirlo sono direttamente loro. “Noi affondiamo le radici in Codreanu e Degrelle”, aveva affermato un militante due anni fa, “per il loro spirito comunitario e di sacrificio. Indubbiamente loro possono insegnarci l’abnegazione di sé per qualcosa di più grande.”

Smontata l’epica dei militanti di Lealtà Azione e il patetico tentativo di intestarsi Benuzzi, rimane quello che—a mio avviso—è l’aspetto più grave di questa vicenda: ossia il ricevimento con l’ambasciatore. Davvero sono sufficienti una sigla e un gagliardetto per celare la propria identità, e ottenere così ascolto presso i rappresentanti dello Stato? Basta così poco?

Il 14 dicembre 2017, otto senatori del Partito Democratico hanno presentato un'interrogazione al ministero degli esteri, chiedendo una valutazione sul "comportamento assunto dal massimo rappresentante della diplomazia italiana in Kenya" e "quali provvedimenti intenda assumere nei suoi confronti."

Nel mentre, l'ambasciata italiana in Kenya—incalzata da alcuni utenti su Twitter—ha infine espresso "rammarico per non avere effettuato preventivi controlli sull’opportunità dell’incontro stesso."

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