Una fermata della metro vicino a Huaqiangbei in pieno fermento al tramonto. Immagine: Lam Yik Fei
Lavoratori al SEG Market, l'emporio di elettronica più grande di Huaqiangbei, impacchettano prodotti da spedire. Immagine: Lam Yik Fei
Per Wu, ciò che definisce un maker si riduce a: sporcarsi le mani e riportare la conoscenza nella comunità. In poche parole, creando e condividendo.“Gli occidentali mi chiamano maker perché costruisco cose,” dice. “Ci metto tempo, sudore — mi sporco, ferisco e brucio. Quando costruisco qualcosa, la porto in strada. Ho persino preso la metro con una stampante 3D sulla schiena per portare la cultura maker in giro. Non l’ho fatto una o due volte per un progetto universitario ma l’ho fatto per settimane intere con l’intento di costruire il più grande repository [un sistema informativo in cui vengono gestiti metadati attraverso tabelle relazionali] di progetti DIY di qualsiasi altro produttore in Cina.”Wu pubblica questi progetti su YouTube, dove è stata in grado di entrare in contatto con il pubblico americano anche grazie alla sua padronanza dell’inglese. La parlata di Wu, infatti, è costellata da americanismi e slang di internet.“Cosa diavolo è un maker a Shenzhen?”
In her studio, Wu displays the wearable LED boot projectors that she created. Image: Lam Yik Fei
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Wu indossa lo zainetto stampante-3D che ha costruito e che contiene una piccola replica di lei stessa. Immagine: Lam Yik Fei
Uno dei mercati di elettronica di Huaqiangbei. Immagine: Lam Yik Fei
![](https://video-images.vice.com/videos/58/18/5818f46ad1c451cc4d69d478/5818f46ad1c451cc4d69d478-1480431260435.jpg?crop=1xw:80xh;center,top)
Vicky Xie dentro allo Shenzhen Open Innovation Lab, uno dei makerspace più noti della città. Immagine: Lam Yik Fei
Lit Liao è la fondatrice di Litchee Labs, uno spazio educativo per maker a Shenzhen dedicato ai bambini. Immagine: Lam Yik Fei
Esattamente come Wu, Liao crede che le donne cinesi siano svantaggiate nella comunità maker. Liao descrive con risentimento un socio uomo che, incontrandola, le disse che sembrava una “ragazzina”. “Ho sentito parlare di storie [di sessismo verso le donne] nella Silicon Valley ma l’anno scorso ne ho sentito parlare anche qua,” aggiunge.La relazione di Wu con gli altri nella scena dei maker è un po’ più complicata. Wu dice che ci sono molte donne che si allineano con la comunità maker cinese ma sostiene anche di essere una delle uniche maker vere e proprie di Shenzhen. Ad un certo punto la sua bio su Twitter recitava “l’unica hobbysta di making della Cina continentale dal 2015”. Oggi la bio non è più la stessa ma l’affermazione ha suscitato diverse polemiche all’interno della comunità.“Naomi è forse la produttrice più nota di Shenzhen. Ma no, non è l’unica e credo che se le chiedessi di commentare quella bio ora non sarebbe più d’accordo,” dice Monica Shen, direttrice delle operazioni per la Maker Faire. Ci sono, infatti, donne a Shenzhen che lavorano nelle aziende, nelle scuole, a progetti come ingegnere, insegnanti e designer."Penso che Naomi stia colmando il divario che c’è tra produttori occidentali e le persone che creano queste tecnologie."
Il proprietario di un negozio osserva Wu in posa nell'iconico distretto dell'elettronica Huaqiangbei di Shenzhen. Immagine: Lam Yik Fei
Un pomeriggio Wu va verso un piccolo negozio. È pieno zeppo di componenti colorati e dietro al bancone c’è un uomo sorridente. È un vecchio amico di Wu, che chiamerò Li. Oltre a vendere prodotti di marche, Li produce la sua versione di un prodotto popolare che non posso citare perché potrebbe collegarlo a lui ma è davvero indistinguibile dal vero. “Ha una famiglia,” mi dice Wu.Anche se gli estremi opposti dello spettro ideologico c’è un’autenticità organica che sia Wu che gli altri emettono innegabilmente. Non è cooptato o importato e mi chiedo se il nuovo movimento di maker stia cannibalizzando le sue culture native o se siano effettivamente simbiotiche. In ogni caso, Wu non sta solo creando, sta anche costruendo una piattaforma che è tangibile e potente.“Naomi sta adottando un approccio per far imparare l’inglese alle persone e sta insegnando come si inizia un’attività,” mi dice Qi quando le chiedo come classificherà il marchio di Wu. “È una specie di testa di cazzo difficile da classificare.” Quando più tardi racconto questo a Wu lei ride e dice “Forse lo sono!”L’ultima volta che vedo Wu, è nella fabbrica in cui stato realizzato sino:bit. Il parco industriale, situato nel distretto Bao’an è sudicio e labirintico ma Wu, che mi ha portata qua per vedere il luogo di nascita del progetto, lo conosce come le sue tasche. Mentre saliamo su in un ascensore traballante Wu è raggiante di eccitazione. E qualcosa che mi ha detto la mattina stessa mi si ripete in testa. “Il lavoro potrebbe non essere ben pagato ma è soddisfacente. L’ho fatto io. E tu, figlio di puttana, che hai fatto?”This article originally appeared on Motherboard US."L’ho fatto io. E tu, figlio di puttana, che hai fatto?"