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Musica

Death SS, 40 anni da cavalieri dell'Apocalisse

Abbiamo intervistato le leggende del metal italiano per parlare di successo, di satanismo e del loro 'Rock'n'Roll Armageddon'.

“Il rock è sempre stata la musica del diavolo. Non potete convincermi che non sia così”. Il Duca Bianco lo diceva (se l’internet riporta correttamente) nel febbraio ‘76, e da allora e fin da prima di allora se ne è discusso in tutti i modi. A volte sono state discussioni proficue, molte altre meno, ma il legame tra il rock, e ovviamente i suoi figli più heavy, e tutto ciò che riguarda il male, l’occulto e l’orrorifico è uno dei cavalli di battaglia della narrazione musicale popolare degli ultimi sessant’anni.

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Verrebbe da pensare, per comune buon senso, che a 2018 inoltrato non ci sia più bisogno di dare spiegazioni sul tema. Concetti come sovversione, teatralità, libertà di pensiero e rifiuto dei dogmi sono sempre stati connaturati alla musica rock e alle sottoculture che la formano, e se il 6114 di California Street poteva essere un civico scioccante nel Sessantasei, oggi qualche spettacolo con croci infuocate e sangue finto non dovrebbe destare scalpore. In teoria. Nella pratica, invece, siamo in Italia. E in Italia puoi essere una leggenda del rock, puoi avere quarant’anni di carriera alle spalle, puoi essere stato dichiaratamente riconosciuto come ispirazione fondamentale per gruppi che riempiono i palazzetti di mezzo mondo, ma ti scontri sempre e comunque con il perbenismo e il provincialismo, con qualche politicante di paese che cerca di metterti i bastoni tra le ruote.

D’altronde, Steve Sylvester infiamma animi e palchi dal 1977, e non sarà certo l’ennesima dichiarazione ridicola rilasciata a qualche giornale locale a fermarlo. Anzi, proprio in questi giorni i suoi Death SS pubblicano il nono album, Rock'n'roll Armageddon, in quarant’anni di onoratissima, ancorché travagliata, carriera. Proprio con questa scusa gli telefono, al numero del suo ristorante in centro a Firenze, per fare un po’ il punto della situazione e presentare una band che purtroppo commercialmente non ha mai davvero raccolto i frutti di tutto quello che ha seminato.

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Prima di tutto, Noisey non è la testata tipica su cui trovare interviste ai Death SS. Come ti racconti, dopo quarant’anni di carriera, ad un pubblico molto giovane, che di hard rock e heavy metal, fondamentalmente, non sa assolutamente niente?
Non è una domanda facile, perché in quarant’anni come puoi ben immaginare sono successe tante cose, ma i Death SS sono ancora l’idea di un ragazzino che nel 1977 voleva unire tutte le sue passioni più importanti. C’è il cinema horror italiano, da Fulci a Bava ad Argento, ma anche estero, con Jesus Franco e tanti altri. Ci sono i fumetti erotici e horror italiani degli anni Settanta, cose come Jacula, Zora la vampira e tutti i loro simili, di cui sono un collezionista sfegatato. E poi c’è un’estetica gotica, legata ad un interesse per l’occultismo. Il tutto unito alla musica: il punk, che era nato proprio in quel periodo e sprigionava un’energia pazzesca, e il glam, inteso come i T.Rex, il primo Bowie, gli Sweet, cose del genere. Mondi apparentemente inconciliabili, ma a me piacevano, e volevo fare qualcosa che avesse a che fare con tutte queste cose.

Da cui è nata una band con un sacco di makeup, ma a tema orrorifico, e con una concettualità strettamente legata all’occulto. Un calderone che mischia Marc Bolan, i Black Sabbath, Bela Lugosi e Aleister Crowley. D’altronde all’epoca avevo tredici anni. Col tempo però l’idea si è sviluppata, in formazione sono passate tante persone, i Death SS hanno ricevuto tanti riconoscimenti, ho collaborato con tante persone diverse e ne ho conosciute ancora di più. Ho avuto tante soddisfazioni, insomma.

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Lancio subito una provocazione: tante soddisfazioni, ma anche tante critiche, come quella seguita alla vostra esibizione all’Agglutination poche settimane fa. Blasfemia, satanismo… Davvero questi sono ancora oggi dei problemi?
Purtroppo devo dire che in quarant’anni non è cambiato assolutamente nulla. Addirittura mi sembra che le cose siano peggiorate. Dopo quarant’anni mi devo ancora “scusare”, chiarendo per l’ennesima volta che noi non siamo assolutamente satanisti e che i Death SS hanno semplicemente attinto da sempre ad una certa iconografia per le proprie esibizioni. Un nostro spettacolo è un po’ come vedere un film dell’orrore, con riferimenti chiarissimi all’estetica grandguignolesca: sangue finto, ragazze discinte, eccetera. Ma è una cosa divertente, è teatro.

E secondo te perché c’è questa disparità di trattamento? Voglio dire: l’hard rock e il metal vengono demonizzati per la loro estetica e i loro contenuti, mentre altri generi sono al riparo da certe accuse. Penso ovviamente al caso del rap e alla questione di genere che solo di recente sta venendo a galla.
L’unica risposta che posso dare è: l’ignoranza. Nel vero senso del concetto, di ignorare la natura delle cose. Puoi anche chiederti per quale motivo vedere un film horror è una cosa che va bene, se non ti piace il genere non lo guardi, ma è “accettabile”. Nel teatro musicale che facciamo noi, invece no: vieni condannato come se questo tipo di rappresentazione avesse una valenza e un peso differente. C’è sempre questo divario che non sono mai riuscito a comprendere. Ancora, la maggior parte delle volte la gente ci critica senza averci mai visto in prima persona, ma per sentito dire. Devo combattere ancora contro i “si dice che abbiate fatto…”. Questo senza nemmeno stare ad aprire la parentesi sulla presupposta laicità dello Stato italiano. Quand’anche satanisti lo fossimo stati per davvero, non vedo che male ci sarebbe stato. È una caccia alle streghe assurda.

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Eppure è strano pensare che altrove nel mondo ci sono band che si sono dichiaratamente ispirate a voi, mutuando la vostra presenza scenica, le quali ricevono un’esposizione mediatica enorme. Penso ai Lordi, o ancora di più ai Ghost, che si presentano sul palco con un personaggio che si chiama(va) addirittura Papa. Perché loro sì e i Death SS no? La colpa è dell’Italia, oppure il merito è della loro etichetta, che idea hai in merito?
Sì, conosco personalmente Tobias dei Ghost… Io credo che sia una combinazione di entrambe le cose che hai detto. Da una parte essere in Italia non aiuta: la nostra storia, la presenza del Vaticano, abbiamo una forte tradizione cattolica e clericale e ancora ci sono queste frange, per fortuna minoritarie, di bigotti fanatici. Ancora, spesso ci sono ragioni di politica interna: per fare l’esempio dell’Agglutination, le elezioni sono vicine, e l’opposizione ha voluto provare a screditare l’organizzazione del festival, che ovviamente è avallato dalla giunta comunale. E il rock è da sempre un capro espiatorio perfetto.

Da un lato è quasi confortante però sapere che il rock non ha ancora perso questa carica sovversiva, nonostante gli anni.
Da un lato sì, dall’altro lato che due palle. Gli inquisitori ancora pronti ad accendere le loro pire magari farebbero bene a concentrarsi su qualcosa di ben più grave, che ne so, la pedofilia.

E invece pensano all’heavy metal, c’è quasi da esserne lusingati. Tu però non ti sei mai lasciato fermare e i Death SS sono ancora qui a dimostrarlo. Tuttavia all’interno della band si sono avvicendati tantissimi membri: come mai questa difficoltà nell’avere una lineup stabile? Credi che questo abbia influito sulle vostre possibilità commerciali?
No, a mio avviso le cose sono separate. La ragione per cui i Death SS sono un gruppo di culto, conosciuto da tutti quelli che bazzicano il genere, ma non hanno mai avuto un successo commerciale paragonabile a quello dei contemporanei è dovuto soprattutto al fatto che siamo nati e siamo sempre rimasti in Italia, un Paese che certo non supporta questo tipo di realtà artistiche. Non abbiamo mai nemmeno trovato la giusta distribuzione all’estero, perché il nome ci ha penalizzati. SS è semplicemente il mio acronimo, ma bisognava spiegarlo al resto del mondo; sembra una cazzata, ma abbiamo un nome che insieme richiama due dei più grandi tabù della società contemporanea, la morte e il nazismo.

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I cambi di formazione invece sono avvenuti in modo del tutto naturale: non potendo permetterci guadagni stellari, non ci si può dedicare alla band a tempo pieno. Necessariamente nella vita le cose cambiano, ed è capitato che ci dovessimo separare da alcuni membri perché questi avevano delle altre priorità. Per questo la band ha sempre avuto dei ricambi quasi generazionali, però il concept è sempre rimasto. I personaggi del Vampiro, lo Zombie, il Fantasma dell’Opera, il Lupo Mannaro e la Mummia sono di volta in volta interpretati da attori differenti, ma il progetto mantiene la stessa coerenza.

È un tema interessante, che tra l’altro per riagganciarci alla tradizione fumettistica, è un po’ quello che si è sempre detto della DC Comics, che la maschera, il ruolo, è più importante del personaggio che la indossa. E a proposito di maschere e ruoli, tu non sei attore solo dietro al microfono, ma sei stato anche in televisione, in un episodio de L’Ispettore Coliandro. C’è chi si è indignato, perché Steve Sylvester non può vendersi alle fiction di prima serata, ma io l’ho visto come un tentativo di portare il metal al di fuori del solito ghetto di cinque persone.
Era proprio questo il mio intento principale. Poi nel caso specifico di Coliandro i Manetti sono degli amici personali e anche dei metallari, così come Carlo Lucarelli, che scrive i dialoghi per la fiction; è stata una cosa tra amici, insomma. E da parte loro è stato anche coraggioso, in un certo senso, perché inserire in un programma da prima serata Rai dei pezzi dei Death SS non è una cosa così banale.

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Conti di proseguire con la tua carriera di attore?
La cosa è nata un po’ per caso. Io ho frequentato delle scuole di teatro, ho lavorato con degli insegnanti di recitazione, ma non ho dei piani precisi a riguardo. Quando capita qualche occasione interessante la prendo, è una porta che lascio sempre aperta perché mi diverto tantissimo. Avevo partecipato anche ad un episodio de Il Commissario Rex, nel ruolo del solito rockettaro.

Una domanda a bruciapelo, visto che si parla di cinema e l’hai nominato in apertura: hai letto il Dylan Dog di Dario Argento che è in edicola in questi giorni?
Assolutamente. Sono un collezionista di Dylan Dog e sono anche comparso come personaggio in una storia, e anche in Nathan Never. Sono un amico di vecchia data della Bonelli, ai tempi di Heavy Demons avevamo composto una canzone che sarebbe dovuta uscire originariamente come flexidisc allegato ad un numero di Dylan Dog, ed eravamo alla prima edizione del Dylan Dog Horror Fest a Milano, dove abbiamo anche girato un video.

Tornando al discorso dell’andare oltre i confini dell’heavy metal invece vorrei chiederti di un’altra collaborazione, ossia quella con Alejandro Jodorowsky. Lo so che si parla di un sacco di anni fa, ma sono curioso di sapere come sia nata questa cosa.
Dunque, con Alejandro Jodorowsky ho collaborato nel 2000, ai tempi di Panic, un disco riferito, come dice già la parola, al dio Pan: è il dio del caos, dell’humor, del sesso. Jodorowsky negli anni Settanta fondò il Movimento Panico, e in particolare La Montagna Sacra, uno dei suoi film, è uno dei miei film culto per eccellenza. Quindi è venuto da sé: registrando il concept di Panic ho cercato di conoscere colui che mi aveva ispirato artisticamente. Quando ho scoperto che uno dei suoi agenti era di Firenze ho preso contatto con lui e successivamente con Jodorowsky, che si è prestato in modo assolutamente gratuito alla partecipazione su intro e outro del disco. E siamo ancora oggi amici.

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Visto che mi parli di panico e divinità, adesso un’altra domanda di rito: che ruolo hanno la magia e l’occultismo nella tua vita e nei Death SS?
Si tratta di un arricchimento culturale personale, un’evoluzione continua iniziata da che ero ragazzino, perché è vero che non si finisce mai di imparare. Ho conosciuto nella mia vita molte persone legate al mondo dell’occultismo e da ognuna di loro ho attinto qualcosa. Alcune mi sono piaciute, altre meno, ma non ho mai professato un dogma o una religione specifica, mi sono attenuto più o meno alla chaos magic, che non è una dottrina ma una filosofia di vita che attinge un po’ da tutto. Penso che il motto di Aleister Crowley “do what thou wilt” (che è anche il titolo di uno degli album dei Death SS) sia fondamentale: comprendi la tua volontà e agisci di conseguenza nella massima libertà, ma sempre rispettando la libertà altrui e secondo buon senso. Una cosa che questi cristiani particolarmente zelanti che ci attaccano non fanno assolutamente.

Non sei il primo, tra i personaggi più criticati dalle frange più conservatrici, a promuovere la libertà di pensiero sempre nel rispetto delle opinioni altrui.
Se una cosa non ti piace, non farla, non andarla a vedere. Io non faccio i miei spettacoli in chiesa, ma in un posto specifico, dove la gente per entrare deve pagare un biglietto. Se la cosa ti crea qualche problema basta che tu non ci venga, è assurdo che poi nascano le critiche perché ho offeso la loro visione del mondo o che altro.

Ora vorrei chiederti qualcosa invece dell’album che hai in uscita in questi giorni.
Rock’n’roll Armageddon è il nostro nono album in studio, è stato registrato qui in Italia nei nostri studi personali. È solo la seconda volta che succede, prima registravo spesso all’estero e con l’aiuto di produttori professionisti, ma a questo punto credo di aver accumulato sufficiente esperienza da poter fare un ottimo lavoro in modo diretto. Il primo singolo, la title track, è uscito poche settimane fa con tanto di videoclip, e il sound che lo permea è molto legato alle atmosfere hard rock anni Ottanta: cori, grandi melodie e assoli, ma con una potenza e un sound moderno, aggressivo.

E non si tratta di un concept, questa volta.
No, sono tredici brani liberi, vagamente collegati tra di loro da un mood abbastanza apocalittico, come si capisce bene dal titolo, dovuto all’attuale situazione politica e culturale sia in Italia che nel mondo, non molto bella. Non abbiamo mai fatto religione né politica, non mi stancherò mai di dirlo, però vivendo è giusto anche essere consapevoli di cosa stia accadendo nel mondo, di quale sia la situazione. E spero che la musica rock, nel senso più ampio del termine, indipendentemente dal genere, possa tornare ad essere quel collante per le nuove generazioni, come lo è stato per la mia e la precedente, per tornare a dare un po’ di coesione, per far tornare la voglia di reagire al marcio che c’è in giro. Per rimboccarsi un po’ le maniche e darsi da fare per pensare in modo pacifico al nostro futuro.

Speriamo, personalmente me lo auguro molto.
Bisogna puntare sulle nuove generazioni, e le cose che vediamo, insomma… Questo Young Signorino e altri come lui… Ognuno è libero di fare marketing nel modo che preferisce, però il rock suonato e sudato aveva un potere di aggregazione diverso rispetto a queste cose, ed è un peccato che stia un po’ scomparendo. Potrebbe arginare, forse, quest’ondata di odio e di razzismo, di follia, che ci sta portando all’Armageddon. Basterebbe un po’ di buon senso, al di là di colori politici e credo religiosi, per ritrovare il rispetto reciproco, che oggi manca completamente, anche e soprattutto da parte di chi ci dovrebbe rappresentare. Figure al potere completamente sgrammaticate che non sono in grado di fare un discorso, persone che si professano professionisti e fanno discorsi quantomeno deliranti. Non solo a livello di sintassi, anche nei contenuti, deliranti proprio. Se hai cinquanta o sessant’anni e ti definisci avvocato, insegnante, educatore, e stai messo così, beh, c’è qualche cosa che non va. E se questo è un messaggio satanico, allora sì, sono satanista.

Andrea è uno dei Lord di Aristocrazia Webzine. Seguilo su Instagram.

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