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Jamil (foto promozionale)

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Musica

Jamil è il rapper più odiato della scena

Abbiamo intervistato Jamil in occasione dell'uscita di 'Most Hated', il suo nuovo album, per parlare di dissing, razzismo e del video di 500Tony.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Io sono cresciuto in provincia di Mantova, il che significa sul lato opposto del confine Veneto-Lombardia rispetto a Verona. E sarei anche uno che odia le generalizzazioni, ma c'è una cosa che in tutti questi anni di stretto contatto ho osservato negli abitanti della città di Romeo e Giulietta: il gusto per la provocazione.

Non è quindi stata una sorpresa per me scoprire che il nuovo album di Jamil si chiama Most Hated, come non mi stupisce il suo particolare dono per la pratica del dissing. Lo so che sembro un vecchio scoreggione, e lo sono, ma non c'è niente di più avvilente che pensare a quante canzoni rap bomba abbiamo perso da quando esistono le Instagram Stories e i rapper preferiscono minacciarsi sul 4G che sulle 16 barre. Jamil invece non se ne lascia sfuggire una.

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In Most Hated comunque non si trova solo provocazione per il gusto di farla (anche se c'è "Me ne fotto della scena"), ma si trovano storielle di pacchi di erba portati in taxi, tuffi rap carpiati tipo "Animali" (con Laïoung), un featuring di J-Ax dai denti particolarmente affilati ("Di tutti i colori") e un suono più o meno a metà tra mazzate hardcore e freschezza trap. C'è anche un pezzo, "Come la Francia", con il featuring del rapper marocchino Lbenj, che promette di far suonare qualsiasi borgo italiano come una banlieue.

Qualche giorno fa sono stato a trovare Jamil e abbiamo chiacchierato di Most Hated, di 500Tony, di razzismo e di dissing.

Noisey: Partiamo da una delle tue cose preferite, il dissing: che cosa significa per te? È solo invettiva o è anche un divertimento, o perlomeno un esercizio per te?
Jamil: Intanto c’è da dire che i dissing che ho fatto nella mia carriera non li ho fatti a caso, ma a persone con cui ho avuto effettivamente dei problemi. Cioè, non ho mai dissato nessuno per farmi la promo, altrimenti avrei scelto altri, persone che mi avrebbero fatto più pubblicità. Quindi nasce sempre dallo scazzo. Poi non c’è dubbio che a me piaccia, appena ho uno scazzo penso subito a come usarlo, perché sono un rapper, sono cresciuto con 8 Mile e roba del genere, vedendo il rap come una sfida. Non c’era tutta questa amicizia e questo leccarsi il culo quando ho conosciuto il rap, capito? Era più una roba da tu e i tuoi amici contro tutti. Quindi se ho un problema con qualcuno o qualcuno non mi piace artisticamente non ho problemi a dirlo in una canzone.

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Qual è il tuo preferito tra quelli che hai fatto?
Penso che “Mike Tyson” sia la diss track migliore in Italia. Non ce n’è un'altra così forte.

E la risposta di Noyz?
Beh, senza voto. È una frase. Penso che avesse il pezzo pronto da buttare fuori come singolo, e abbia cambiato l’ultimo verso per tirare un po’. Ma forse se la sarebbe giocata meglio a rispondere sul serio. Quando ti succedono queste cose penso che rispondere sia la cosa migliore. Io per primo ho risposto a gente molto più scarsa di me, non mi sono mai tirato indietro. Fa parte del rap.

Un altro tema importante nel tuo disco è il fatto di essere un rapper di seconda generazione. Che clima vedi nella scena, vista anche la situazione politica?
Io penso che la mia squadra, Baida Army, sia la prova vivente che siamo la terza generazione. È composta da tutte persone straniere: veniamo dal Marocco, dalla Siria, dall’Uruguay, dalla Guinea, mia madre è persiana… Il fatto di essere tutti diversi è la nostra bandiera. Per questo ho fatto “Di tutti i colori” con Ax, in cui nomino tutte le nazioni d’origine dei miei amici. Ne vado proprio orgoglioso. Quando andiamo al ristorante, dove sono tutti bianchi, ci guardano sempre tutti. È da quando ero piccolo che ci sentiamo addosso gli occhi delle persone perché siamo diversi, e la diversità ci unisce.

La cosa interessante è che, nel momento storico che stiamo vivendo, il tuo rap, pur essendo apolitico, diventa politico semplicemente in conseguenza della tua identità.
Esatto, io l’ho sempre detto che a me non interessa né la sinistra né la destra. Io odio solamente il razzismo, lo dico in “Trap Baida”. Allo stesso modo dico che se vogliamo rendere legale la marijuana non dobbiamo dire “fanculo la polizia”, non è quello il metodo. Ci sono poliziotti corrotti che sono delle merde, come ci sono i poliziotti che aiutano tua nonna quando viene rapinata. Il sistema per rendere legale l’erba, per esempio, che è una cosa che a me interessa, è guardare chi è che impedisce la legalizzazione e votare di conseguenza. Invece di stare a casa a fumare le canne e dire “fanculo la polizia”, informatevi e votate. Questi sono i due piccoli messaggi politici che si trovano nel mio album.

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Qua ci tocca parlare della "mancanza di contenuti" della scena trap italiana. Come ti trovi tu a stare in una scena con un’attitudine anti-scena?
Come dico nel pezzo “Most Hated”, “il mio rap sta nel mezzo tra il vecchio rap del Medioevo e chi fa ogni pezzo che alla fine sembra un pezzo fatto da Quavo”. Io sto un po’ nel mezzo tra la trap super stereotipato delle collane, di Gucci, della solita base e del solito modo di cantare, e la vecchia scuola del rap con le rime. Non mi piace identificarmi né con l’una né con l’altra, perché la nuova scuola non ha contenuti e la vecchia scuola ha un suono troppo vecchio per me. Quindi mi piace stare nel mezzo e prendere spunto da entrambe. Se voglio mettermi un paio di scarpe di Gucci metterò un paio di scarpe di Gucci, ma la mia carriera non si fonda su quello. Il mio disco rappresenta i ragazzi normali, di terza generazione, vestiti in tuta con le scarpe da pusher. Non è un disco sessista, non parla di lusso: è un disco di strada. E in strada ci sono tutti: c’è mia mamma, mia nonna, c’è mia cugina, c’è la mia donna. Non c’è solo chi spaccia, chi ruba, chi fa soldi e chi ha la macchina bella.

Com’è nata “Come la Francia”, con il featuring di Lbenj?
Ho sempre voluto fare un pezzo con quel titolo, perché mi sembrava un po’ un seguito di “Scarpe da pusher”, cioè sul fatto di rivendicare che lo stile che porto è quello di un ragazzo di strada. Poi è il nostro atteggiamento, la mia vita quotidiana che mi fa sentire come in Francia. Cioè, quando guardo i video, ma anche frequentandola, rivedo proprio la mia stessa idea di strada. Quindi il pezzo vuole fare un paragone tra queste due cose. Per il featuring ho subito pensato a un artista marocchino perché anche in Marocco c’è la stessa attitudine, così tramite Nabil di Baida Army siamo arrivati a Lbenj, che secondo me ora come ora è il top in Marocco, e poi mi assomiglia perché ha qualche dissing in ballo, ha fatto “T-Max” che è un po’ la sua “Scarpe da pusher”… insomma, certe cose combaciavano.

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Tante volte, quando si fa un featuring internazionale, il tipo spara una strofa campata in aria, senza neanche mettersi d’accordo sull’argomento e il pezzo non parla di niente. Invece noi con Lbenj ci siamo sbattuti, non parliamo neanche la stessa lingua ma ci siamo fatti tradurre tutto per riuscire a capirci tra di noi e dire insieme “facciamo un pezzo che parla di questo”. Abbiamo anche fatto il ritornello metà per uno, insieme, dove lui addirittura ripete in italiano “come la Francia”.

Come funziona la collaborazione tra te e Jaws, che ha prodotto quasi tutto l’album?
Jaws fa parte di Baida Army e ha seguito tutta la produzione del disco. Questa scelta è proprio dovuta al fatto che a me piace tantissimo mettere mano direttamente alle mie robe, dall’arrangiamento alla produzione. Per questo anche i video li fa sempre la stessa persona, Francesco Cosenza, perché con lui mi trovo bene e mi permette di metterci del mio in fase di montaggio e post-produzione. La stessa cosa succede con Jaws, perché posso dare il mio input sulla base e sugli arrangiamenti. Abbiamo creato insieme il mio stile, lui sa cosa mi serve e io non ho bisogno di altro. Non cerco il nome del producer famoso, mi piace che la base sia cucita a pennello addosso a me. La stessa cosa vale per il video.

Per esempio, gli special guest (Wairaki, Syler, Prod By Enemies e Tom Beaver) ci hanno passato tutte le tracce separate, e l’arrangiamento della base l’abbiamo fatto io e Jaws.

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Infatti è un disco molto coeso, suona davvero come un album pensato dall’inizio alla fine. In generale invece la tendenza è di pubblicare perlopiù singoli, come mai tu hai fatto questa scelta?
Questo ha sempre a che fare con quello che dicevo prima, di essere mezzo vecchia scuola e mezzo nuova scuola. Il fatto è che fin da piccolino sono sempre stato affascinato dall’idea dell’album, di avere un disco in mano con il mio nome sopra. Il mio sogno non è avere il pezzo in classifica su Spoti, è avere un progetto vero, effettivo, reale tra le mani e dire “cazzo, me lo sono sudato”. Sono sempre stato più per la qualità che per la quantità, quindi non sono uno che sforna singoli uno dietro l’altro. Ogni progetto è come un figlio per me. Per quello ci ho messo due anni a fare Most Hated.

Taxi” è un pezzo molto divertente, che racconta una strana storia e ha uno skit al telefono tra te e Vacca. Com’è nato?
La storia è che Vacca e io non abbiamo la patente, quindi avevamo questa cosa in comune. Anche in questo caso, ci abbiamo lavorato insieme, non è che gli ho mandato della roba a caso e gli ho detto “mettici una strofa”. Per non fare la solita roba cattiva che facciamo io e Vacca, abbiamo pensato di trovare una chiave nuova, allegra, e ci è venuto questo pezzo sui taxi perché non guidando prendiamo sempre il taxi. Visto che ci conosciamo bene e abbiamo fatto tante cose insieme, ci è venuto facile fare la strofa alternata tra me e lui, come fosse un dialogo, e quando l’ho finita ho pensato che ci sarebbe stato bene anche uno skit, per dare un’altra dimensione alla narrazione del pezzo. È figo perché è una cosa che io e Vacca non avevamo ancora fatto insieme, è come se fosse un feat nuovo da zero.

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Un’altra cosa che hai fatto con Vacca è il featuring con 500Tony, che ha avuto una risonanza mediatica gigantesca. Che cosa puoi raccontarmi di quell’esperienza?
Vacca li conosce da tempo, io ho avuto il piacere di conoscere 500Tony e suo padre Fiore quando sono venuti a un concerto, e mi sono sembrati persone rispettose ed educate fin da subito, ho molto rispetto per loro. È nata subito una certa complicità, e ci siamo detti da subito che se Tony avesse fatto un pezzo giusto per me avremmo collaborato. Era da un po’ che girava questa idea, sapevamo da un anno più o meno che l’avremmo fatto. Quando Fiore mi ha detto “ho sto pezzo di Tony in cui rappa, è quello giusto per te” ho subito detto di sì. Una volta fatta la mia strofa restava il buco del ritornello, ho proposto di farlo io e loro hanno detto “ma sentiamo Vacca”. Alla fine sia io che Tony siamo figliocci suoi, quindi c’è stato immediatamente. Quindi è anche simbolico il fatto che ci siano le strofe fatte da Tony e me, e il ritornello in mezzo di papà Vacca… capito? Mi faccio viaggi assurdi su qualunque cosa! E poi io avevo la mia solita smania da presuntuoso di fare sempre i video più belli degli altri, così li ho convinti a farlo fare a me e Francesco. Anche perché lì al campo c’era una situazione mai vista prima in Italia, e ringrazio ancora tutti per averci accolto e permesso di filmare lì.

Come ti sei sentito quando hai saputo che Matteo Salvini aveva commentato il video e le vicende giudiziarie della famiglia di Tony?
Guarda, tutto il casino dopo l’uscita del video è gossip e non mi interessa parlarne. Posso solo dire che mi dispiace per quello che è successo a Tony, perché un bambino di 9 anni non si merita parole di quel tipo. Quello che si meritava era che si dicesse wow, figo questo ragazzino che in una situazione come quella riesce a tirar fuori musica e video; figo suo padre che si fa un mazzo tanto per portarlo in giro, per portarlo in studio, per fargli conoscere gente e creare musica; figo che questo è un campo Rom e dentro ci hanno costruito uno studio per far registrare il bambino. Io nei due o tre giorni che passato con loro per girare il video ho notato la dolcezza delle persone. Per il resto, le loro vite sono una questione privata e non ne voglio parlare.

Che cosa ti ha reso il più odiato secondo te?
Il fatto che me ne fotto della scena. Che se ho un problema con qualche altro rapper mi piace parlarne pubblicamente, perché è così che funziona il rap, perché dobbiamo tenerci i nostri scazzi in privato? Siamo musicisti, mettiamoli in musica.

Chiudiamo parlando di Verona, che è una città che ha uno stereotipo piuttosto radicato per il resto d’Italia: quella di patria del leghismo e del razzismo. Ma com’è la Verona che vivi tu, visto che le hai dedicato l’ultimo pezzo del disco?
Secondo me è anche grazie a me, alla Baida Army e ai miei video che Verona sta un po’ perdendo questa fama di città razzista, almeno per i giovani. “Verona” non l’ho scritta per parlare di Verona o dei suoi lati positivi o negativi, ma per celebrare me come artista di quella città, paragonandomi a vari personaggi positivi e negativi che hanno lasciato un segno sulla città.

È anche interessante che tu non ti sia trasferito in città più grandi, dove c’è più “scena” o cose del genere…
Perché non mi interessa omologarmi. Ora pare che funzioni la roba tutta uguale, ma io sono del mio posto e parlo con le mie parole. Ma su questo la responsabilità è anche vostra, di chi scrive di musica. Se uno fa un disco che è fresh e ha contenuto, come ho fatto io e fanno tanti altri, sta a voi spingerlo a dovere, invece di pompare sempre i soliti quattro rapper tossici. A me interessava, oltre a fare un disco che spaccasse, portare qualche contenuto, qualche tema di cui parlare nelle interviste. Non volevo trovarmi davanti a Noisey a discutere di una tracklist di dieci pezzi tutti intitolati “King del bong”, perché è questo che fanno tanti rapper oggi. Volevo un disco di cui si potesse parlare, discutere. Certa roba uscita quest’anno non ha un cazzo da dire, se la riascolti tra due anni ti viene voglia di spararti.

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