Master Sina, i sogni degli immigrati e il rap di seconda generazione

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Master Sina, i sogni degli immigrati e il rap di seconda generazione

In uno shisha di Milano abbiamo scoperto un rapper tunisino che canta in italiano, ispira migliaia di ragazzi a emigrare e crea scene di isterismo in patria.

È una qualunque serata del fine settimana milanese quando mi ritrovo a scoprire, per puro caso, Master Sina in uno shisha in Porta Venezia. Tra un tè marocchino e un narghilè sono profondamente concentrato a rassicurare una ragazza italo-francese sullo stato di salute della scena musicale italiana, quando nello stereo parte un pezzo reggaeton dalle sonorità arabeggianti apparentemente innocuo. Una volta che attacca il primo ritornello mi rendo conto che il brano è cantato alternando l'italiano all'arabo. Mi folgora immediatamente, come un'epifania improvvisa. Scopro di lì a poco che si tratta di "Clandestino", l'ultima hit di Master Sina, rapper tunisino residente in Italia, in collaborazione con il suo connazionale Balti, famosissimo in patria. La potete ascoltare cliccando qua sotto, dato che i nostri amici hanno disattivato l'embed.

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Il pezzo è scritto con un vocabolario piuttosto esile e musicalmente non è certamente nelle mie corde, ma ruota attorno a una serie di tematiche indubbiamente attuali: la voglia di riscatto e le debolezze emotive delle giovani generazioni nordafricane che sperano di varcare il Mediterraneo per entrare nel territorio europeo.

Sono anni ormai che frugo compulsivamente tra i meandri di YouTube alla ricerca di pezzi rap italiani di artisti italiani di origini straniere o comunque appartenenti a quella categoria di persone solitamente classificate come "italiani di seconda generazione". Scoprire "Clandestino", quindi, è stata una folgorazione. Insomma, il rap nostrano non ha una grande tradizione interculturale, come quello inglese o francese: se generalmente la musica di strada è sinonimo di minoranze etniche, le origini del rap italiano sono da ritrovare nei centri sociali della fine degli anni 80' e gli inizi dei 90', nel punk e nelle posse. In pratica, in quel mondo che ha contribuito al perenne stato di jet lag dell'hip-hop nostrano. Ma torniamo per un istante all'attimo in cui mi sono ritrovato, spiazzato, ad ascoltare "Clandestino". In quel momento ho iniziato chiedermi ripetutamente cosa cazzo mi stesse entrando nelle orecchie, visto che il resto delle canzoni trasmesse nel locale erano state sino ad allora di provenienza araba; mai mi sarei aspettato di sentire qualcosa nella mia lingua. Non avendo Shazam sul telefono, ho ordinato immediatamente alla mia amica di shazammare lei quel pezzo senza ottenere però alcun esito. Di conseguenza ho cercato di memorizzare il più possibile alcune parole chiave per poterlo ritrovare con calma successivamente grazie al testo, e fortunatamente si è rivelata una buona idea.

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Screenshot dal video di "Clandestino".

Ciò che mi ha sbalordito il giorno seguente, dopo aver visto il videoclip del brano (diretto tra stazione Centrale e altri luoghi di Milano da Alessandro Murdaca), è stato scoprire che la canzone abbia 29 milioni di visualizzazioni e che Master Sina sia una vera pop star in Tunisia e in Nord Africa, grazie anche ai suoi testi bilingue. Anzi: nella maggioranza dei suoi pezzi c'è una notevole percentuale di frasi in italiano, che in alcuni diventa addirittura la lingua prevalente. È un dettaglio molto interessante se pensiamo che i suoi fan vengano in netta maggioranza dal mondo nordafricano e che solo una piccola parte di loro sia costituita da immigrati in Italia, italiani di seconda generazione o comunque persone che parlino effettivamente italiano.

A giugno, due mesi dopo l'uscita del pezzo con Balti, Master Sina ha pubblicato "Bye Bye", una collaborazione con Reda Taliani, cantante famoso sia in Algeria che nei paesi limitrofi che propone una sorta di ibrido tra raï, aka una branca della musica tradizionale algerina, e R&B magrebino. Taliani, nonostante il suo cognome significhi "italiano" in algerino, è in realtà nato e cresciuto ad Algeri. Le barriere linguistiche mi hanno impedito di andare a fondo sul suo conto ma sono comunque rimasto particolarmente colpito da uno dei suoi brani di maggiore successo, "Denia Karatni", che nella versione reinterpretata con il titolo "Va Bene" insieme al rapper francese La Fouine ha raggiunto più di 30 milioni di visualizzazioni. La potete ascoltare qua sotto.

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Fortunatamente, una mia amica che parla l'arabo si è resa disponibile a tradurmelo sommariamente, e mi sono reso conto che Reda e Master Sina sono molto vicini a livello tematico. Reda ripete come in un mantra che "va bene", e lo fa in italiano, malgrado abbia sofferto nella sua infanzia, perché è cresciuto inasprito dalla criminalità "proprio come un napoletano". Parla di viaggi a Milano e di uno stile di vita "alla Al Pacino". Le parole più famose e facili da memorizzare della nostra lingua, gli stereotipi legati alla criminalità organizzata italiana e una città come Milano—sinonimo di marchi di lusso, nella mente di molti—alimentano un immaginario esotico che si nutre del desiderio di partire dei molti giovani nordafricani.

La stessa visione è ripresentata da Reda e Master Sina in "Bye Bye", dicevamo, che nel momento in cui scrivo è a 31 milioni di views. Nel pezzo a farla da padrone è una serie di commistioni tra gli addii e il senso di rivalsa di chi ha deciso di vivere in Europa per poter "tornare a casa fiero" del proprio riscatto economico e sociale. Il pezzo è ben più vivace e spensierato rispetto a "Clandestino"; e si capisce anche dal videoclip, in cui Reda e Sina fanno la bella vita in una località di mare francese, tra un giro in barca, macchine di lusso e una combo villone + tipa in pareo. Sfoggiare i propri beni materiali prova ovviamente (con un filo di illusione) ai loro fan che aver detto "bye bye" alla vita "a casa" sia stata un'idea sensata. E di nuovo, l'utilizzo massiccio di lingue, iconografie e stereotipi esteri ben delineati nell'immaginario collettivo fanno da collante tra le loro rime.

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Master Sina e Reda Taliani in "Bye Bye".

Confrontandomi con alcuni gentilissimi ragazzi rintracciati su dei gruppi Facebook italo-tunisini ho avuto la conferma di come l'italiano e le altre lingue europee rappresentino per molti giovani tunisini il sogno europeo. Fatma, ventunenne originaria di Biserta e cresciuta in Sicilia, mi ha raccontato di avere un'amica stretta "che ha tantissimi amici in Italia pur non essendo mai uscita dalla Tunisia." "Tutti i ragazzi in Tunisia cercano persone dall'estero: dall'Italia, la Francia, la Germania. Le cercano su Facebook, ci parlano e imparano la lingua", mi dice. I giovani tunisini, tra cui i molti che si pompano Master Sina, "vogliono vivere in Europa, vogliono la vita europea e la ricreano in Tunisia", grazie a internet e alla musica che naviga sui loro router. Questo fenomeno si può facilmente notare all'inverso a un concerto di Ghali, stando attenti ad osservare le emozioni di molti dei suoi fan quando recita barre come "Ndiro lhala sans pitiè fratello ma 3la balich." Se il solo ascolto delle parole in italiano di Master Sina rappresenta un sogno per chi vuole partire, quelle in arabo nei pezzi di Ghali rappresentano un cordone ombelicale che tiene vivo il legame con la madrepatria per chi è già dall'altro lato del Mediterraneo.

Di conseguenza Master Sina, all'anagrafe Anis Barka, ha spopolato così tanto da diventare una celebrità in patria. Per dirvi, in un programma televisivo tunisino gli è stato chiesto di destreggiarsi in diretta a conquistare un'attraente donna di origini tunisine madrelingua italiana con le sue presunte doti da dongiovanni—che dovrebbe incarnare vivendo in prima persona il "sogno europeo": il risultato è a dir poco goffo, con la ragazza che sprona Sina a fare delle avances migliori per convincerla ad uscire con lui.

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Il percorso di questo ragazzo paffuto con la cresta ha forse dei precedenti analoghi solo con Karkadan, che già da anni porta avanti una carriera a metà tra Italia e Tunisia, ma sarebbe sbagliato confrontarli. Karkadan—che per un periodo, ricordiamo, è stato parte della Dogo Gang —ha fatto uscire l'anno scorso un progetto dalle sonorità molto crude, Cairo Imbonati, che ho avuto modo di consumare adeguatamente. Già nella scelta di africanizzare il nome della sua via milanese di provenienza, Carlo Imbonati (che anche i non milanesi conosceranno per le parole di Vincenzo in "Puro Bogotà", "aspetto sbirri armato come in Via Imbonati"), dà l'idea di quale sia la sua posizione culturale: esattamente a metà tra mondo arabo e identità italiana, come si nota anche dal plurilinguismo del pezzo. Ma Karkadan è molto, molto più street e grezzodi Sina, e soprattutto la sua musica—per quanto abbia raggiunto il pubblico italiano data la sua affiliazione con Guè e soci—non è paragonabile a quella del suo collega tunisino né per diffusione né per cifre stilistiche.  Certo, Karkadan non è stato il primo rapper in Italia a dichiarare orgoglio per le sue origini africane. Ma nonostante diversi MC e collettivi siano stati capaci di creare un ponte culturale usando l'hip-hop come pietra angolare, i loro nomi non hanno mai permeato l'intero panorama musicale italiano restando spesso limitati a un pubblico relativamente di nicchia. Un esempio lampante è Amir Issaa (che avete sicuramente recentemente visto nel servizio di Rai Due sulla Dark Polo Gang), il quale ha sempre manifestato il suo orgoglio per le sue origini egiziane e per quella speranza nell'interculturalità che rivede nel suo quartiere di Roma Sud, Tor Pignattara. Amir si è spesso impegnato per sensibilizzare la nostra classe politica su tematiche come la discriminazione e il riconoscimento del diritto di cittadinanza, arrivando anche a parlare in prima persona con Renzi. Ci sono poi Lama Islam, marocchino di adozione bolognese, che usava il termine "kho" già due decenni prima di Maruego (senza nulla togliere al Giovane Maru), e Nest della PMC, che nel mixtape Demolizione pt 2 compariva con un bellissimo brano intitolato "Il cielo d'Africa" in cui raccontava del suo ritorno nel proprio paese di origine dopo quattordici anni.

Master Sina fa colazione nel video di "MAMA".

Qualcosa sta però smuovendo, grazie ai ragazzi di questa generazione. Il successo di Laioung e della RRR Mob è un grande esempio di quanto l'ibridazione culturale possa rivelarsi benefica per le sorti del rap, sia a livello culturale che commerciale. Ci sono poi i sopracitati Ghali e Maruego, e nomi ancora più giovani e promettenti come il genovese Young Slash. Quello di Master Sina è però un caso completamente a sé stante. Innanzitutto, usa l'italiano per comunicare a una fan base in gran parte non italiana, ed è stato (che io sappia) l'unico rapper emigrato capace di raggiungere nel suo paese d'origine numeri talmente elevati da divenire un'icona per le masse—e Sina è un mito, per molti dei suoi ascoltatori più giovani. Ha più di 257000 fan su Facebook ed è spesso ospite in programmi radio e TV tunisini. Per darvi un'idea, vi riporto un commento di una ragazza che ho letto sotto una sua diretta su Facebook: "Per colpa tua sono stata picchiata dal mio ex fidanzato perché parlo sempre di te, ti voglio un bene dell'anima".

Le informazioni che sono riuscito a strappare a Sina, quando sono riuscito a contattarlo, sono davvero poche: sappiamo solo che vive nel Nord Italia da più di dieci anni e che probabilmente sia arrivato nella penisola da clandestino, e che quindi l'omonimo pezzo avrebbe tinte autobiografiche. Mi ha anche accennato frettolosamente che sta preparando delle collaborazioni con vari rapper della penisola e che "vorrebbe estendere il suo pubblico al mercato europeo". Il suo ultimo singolo "Lifestyle" va proprio in questa direzione: è una collaborazione con Laioung, scritta quasi interamente scritto in italiano. Intanto, essere un capo del rap tunisino è un ottimo risultato.

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